giovedì 30 aprile 2009

Rifiuto

No, io mi rifiuto e dico no.

Non entro nel merito della questione che peraltro trovo piuttosto squallida nei suoi contenuti, da entrambi i punti di vista, e di dubbio interesse per la nostra società. E per me, che però conto molto meno e solo per uno.
L'impatto mediatico è devastante, totale, dittatoriale. Evidentemente gli italiani non hanno di meglio.

Che una signora inviperita con un marito fedifrago e laido debba usare il palcoscenico mediatico per imporci, ancora una volta, la presenza immanente di entrambi mi sembra indecoroso: nessun altro cittadino di questo paese potrebbe permettersi lo stesso spazio, la medesima risonanza, per sciacquare in pubblico le sue beghe familiari. Private.
Abbiamo bisogno di questo spettacolo? Di questa forma di viltà che appassiona tutti come al circo? Bordello.

Saremmo mai più capaci di ribellarci a questo stato di cose che ci impone di essere clienti invece che cittadini? Finché morte non ci separi?
E clienti di ciarpame tanto inutile. Tanto demenziale.

Io non sono cliente di quei due, non comprerei da loro nemmeno un pacchetto di caramelle. Figuriamoci se li posso considerare rappresentativi di qualcosa. Quelli che ci dettano gli argomenti, che ci forgiano il sentire e il parlare. Il pensare. Maîtres à penser...

Usiamo le loro parole, usiamo la loro testa come fosse la nostra. Ma vi sembra, scusate la parola, normale?! Basta, ecologia della mente. Puliamoci.

Dello schifo si può parlare, additandolo. Rifiutandolo. Non sempre è necessario farsi coinvolgere nel fango. La mia passione, i miei sentimenti li tengo cari per altro. Si può dire no, IO NO.
E voi, cittadini?

Buon primo maggio.

mercoledì 29 aprile 2009

Tempi lunghi


Ritrovare questo libro, uscito nel 2005 senza che alcuno se ne accorgesse, certo non sconvolge le certezze letterarie di nessuno ma sicuramente mette il lettore di fronte ad alcuni pensieri.
Perché la storia che vi è narrata ha qualcosa da dirci.
Ovvero che è pur sempre una questione di modelli e di come questi si adattano al mondo che intendono rappresentare. Prima ancora di cominciare qualsiasi “attività formativa genitoriale”, prima insomma di prendere in mano un qualche testo sacro, sia esso un agile manuale o un seriosissimo trattato di psicopedagogia, i modelli coi quali ci confrontiamo (e valga per le donne così come per gli uomini) sono quelli che abbiamo conosciuto: i nostri.

Certo, visto l’andazzo di declino, ormai storicamente ben definito, forse noi babbi ci meriteremmo qualcosa di un po' meno duro e impietoso (da queste parti si usa dire “agli storpi, grucciate”) ma, va detto, Mottinelli non indietreggia di un millimetro nel raccontarci la vicenda di una lacerazione terrificante (quasi un evento contronatura, se si potesse usare questa espressione), quella della morte di un figlio, in questo caso Andrea.
E la sua prima diretta conseguenza: la fuga (la scomparsa, il sottrarsi al dolore? alla responsabilità successiva che ne deriva?) del padre, Roberto.
Poi, la seconda conseguenza: quella che trasforma il fratello minore, Mauro, in “semplice” fratello unico, in un sopravvissuto suo malgrado che si ritrova sopravvissuto nel nulla. E senza padre pure.
Infine, anche le conseguenze tornano da dove sono nate, per realizzare le storie che ci stanno dietro: Mauro, il figlio che ha fatto a meno di suo padre, diventerà babbo a sua volta. E qui, a pagine chiuse, si intravede un’altra storia. Un'altra lacerazione, ereditata stavolta e non vissuta in prima persona.

Non è però sullo svolgersi del racconto che mi interessa soffermarmi, quanto sul contributo che questo romanzo ha portato al mio orizzonte, alla mia ricerca letteraria e narrativa intorno alla figura (allo stereotipo, direi) del padre.
Romanzo che ha saputo donarmi squarci di riflessione non da poco. Che mi ha fatto vedere, direttamente, la sindrome dell'abbandono paterno, tentando una ricognizione dei sentimenti, della vertigine, dell’assoluto rancore, dell’incomprensibilità di tale abbandono.
Un libro che mette in scena il dramma completo e contagioso (sulle vite di chi resta, nell'abbandono) della mancanza di figure di riferimento. Insomma una riflessione che trova posto tra le parole, nella storia che si srotola come un gomitolo. Quasi a segnare un percorso che porta dentro il cuore del labirinto: l'amore paterno e quel che vuol dire. Perderlo.
Un tassello che non avevo nel mio puzzle e che ho messo al suo posto. Magari accanto ad altri meglio riusciti. Ma il posto delle cose non è nella compiutezza e nel valore letterari (non solo almeno), ma nelle emozioni della lettura, semplicemente.

Riassumo tutto in poche righe prese da pagina 155, è Mauro che confessa:
E' stato questo il mio imprinting di padre: mio figlio mi ha soggiogato fin dai primi istanti e davanti a lui mi sono sempre sentito un po' a disagio, come dovessi costantemente dimostrargli di essere all'altezza.

In effetti, qui avevo promesso che ne avrei parlato. E' passato parecchio tempo.
Evidentemente i bisogni si sedimentano in noi, in me, con tempi lunghi, distesi.
Oggi ho saldato il debito.
Per chi se lo ricordava.

martedì 28 aprile 2009

La perdóno?

Stamattina, come sempre, accompagno l'uomo piccolo a scuola.
Sull'uscio incontriamo il suo complice... oooppps il suo amichetto del cuore (ve lo ricordate, vero?) e immediatamente iniziano col tentativo di ribaltare l'edificio scolastico.
Tento il placcaggio (di entrambi i soggetti) subito in corridoio: ottengo solo che mi scivolino via dalle mani. Saponette umane.

Arrivo in classe, coi due che continuano a rincorrersi, mettendo in mezzo la donna grande e rischiando di buttarla giù ad ogni impatto. Aiuto l'uomo piccolo a togliersi il giubbino e rendersi presentabile al resto della classe. Intanto l'altro babbo se ne va, senza batter ciglio, tranquillissimo, mentre i due continuano le loro evoluzioni da stunt men. Ci sono io ed ha valutato che basto e avanzo. Sic!
A un certo punto, non capisco nemmeno quale sia stata l'evoluzione risolutiva, riesco a infilarli dentro la classe e mi avvicino come al solito all'insegnante di turno, per scambiare qualche impressione.

Ci guardiamo: dopo aver detto entrambi e contemporaneamente la medesima parolina magica, "valium?", e dopo aver ricevuto da parte dei pargoli presenti una valanga di "ma che sarebbe valium?!", decidiamo all'unisono che "no, forse non è il caso". Ripieghiamo sulla sana educazione e disciplina. Che, tradotta in soldoni, suona più o meno così: "certo che l'uomo piccolo ultimamente ha fatto tanti progressi nel comportamento, nell'introiezione delle regole e del loro rispetto, nel rispetto dell'autorità degli adulti... ma con la maestra di inglese e con quello di musica non c'è proprio niente da fare; sono entrambi disperati, lui non ne vuol sapere di obbedirgli".

Poi l'insegnante chiosa, accidenti.
"Certo, qua ci vorrebbe l'autorità della profe! Non questi babbi BBBUONIIIII", ammiccando all'infinito sulle i.
Ora io dico: e sono anni che tentiamo, noi babbi BBBUONIIIII, di affrancarci da quelle vecchie figure orchesche di babbi lontani ed autoritari. Sono anni che facciamo esercizi di emotività espressa e autorevolezza compressa. Secoli per togliere ragnatele da una recuperata figura di babbo presente e consapevole del ruolo. E guarda te, stamattina in mezzo minuto, m'hanno buttato giù tutto il castello.
Per fortuna che l'insegnante di turno stamane, E., è simpatica e in gamba e che i sentimenti di simpatia e stima mi sembrano reciproci. Perché sennò...

E allora, secondo voi, la perdóno?!

N-NO!!!
Si dia inizio al dibattito.

Paradosso emozionale


Mi capita, ogni tanto, di rimettere a posto i giorni nel mio calendario emozionale.
Allora piglio e li risistemo secondo l’estro del momento, l’ordine cronologico è decisamente superato. Sfogliando sfogliando passano sotto gli occhi non soltanto emozioni e ricordi: certo, il calendario è fatto di quelli. Anche di cacche e pannolini ma questi, dopo un po’, scompaiono, dimenticati.

Tra le immagini che s’impongono con più forza ci sono quelle della nascita della donna grande: dopo il giorno del lungo doloroso travaglio, la notte ci accolse nel silenzio più immobile. Le luci soffuse, le avresti pensate solo per noi. Un ospedale addormentato: mai prima l’avevo visto.
E quel profumo di pelle rosa appena uscita nell’aria che ricorda, non saprei definirlo altrimenti, panni, un armadio e sacchetti di lavanda. Il profumo di famiglia, di dentro. Di risonanze e sentimenti. Venature sul legno.

Poi.
Il mattino dopo. La luce violenta di luglio (anche dietro le tende), il primo abbraccio bardati di tela sterile con la donna ancora tanto minuscola, ben lungi dall’essere grande.
Dietro il vetro della nursery. Dentro la cornice, nel quadro.
E sei separato. Perché gli amici arrivano, gruppetto, e vogliono vedere: ah, lo sguardo.
Sei separato perché tu sei dentro il quadro, con la donna minuscola nell’incavo del gomito. Al calduccio, come fosse un utero. Paterno.
Insomma, ci mostriamo. Fuori. Per gli altri.
Il babbo, mestiere che s’impara, non istinto ma società. Esposizione, suscipere.

Alla madre che la vita la dona, biologica, il padre risponde con un misero atto di volontà.
Eccolo il paradosso del padre. Esplode, immediato, in tutto il suo splendore!

lunedì 27 aprile 2009

Piccadilly Uffizi


In una vita precedente devo essere stato un entomologo.
Per quanto mi piace partire dalle osservazioni più semplici, da episodi che si potrebbero definire microscopici, e trarre auspici per i macro comportamenti, per i costumi sociali.
Sarà per questa attitudine che l'altro giorno, trovandomi a passare da piazza Signoria, nel fragore di un temporale primaverile che stentava a decollare, è stato un lampo diverso che ha catturato la mia attenzione: l'ho fotografato (purtroppo col cellulare, quindi la qualità...).
Sul fianco di quel ponteggio, ci sono lavori di ristrutturazione in corso, è stato montato un bel mega schermo televisivo. Sotto, la scritta col nome dello sponsor e la dicitura “per la cultura”.

Non so voi, a me fa una certa impressione vedere la prospettiva degli Uffizi che si staglia sullo sfondo di un qualsiasi spot pubblicitario, trasmesso in piazzavisione per tutti quelli che passano di lì: ma questo potrebbe essere un mio problema, un retaggio della mia vecchia visione delle cose.
Poi però faccio un ulteriore, ancor più vecchio, passaggio: è mai possibile che sotto la dicitura “per la cultura” si debba trovare un televisore?!
Insomma, non c'è speranza. Per noi, noi italiani, noi contemporanei 2.0, noi non so cosa, l'equazione dev'essere necessariamente cultura-tv. Ce l'hanno insegnato fin troppo bene, a questo punto.

In questa città, dove la parte più conservatrice si scandalizza, solo per biechi motivi ideologici, per il passaggio del civilissimo ed ecologico tram da piazza Duomo e poi non batte ciglio se la potenza narrativa del Perseo di Benvenuto Cellini deve specchiarsi con l'idiozia di spot demenziali trasmessi a getto continuo.
Se l'espressione formalmente più perfetta del Rinascimento fiorentino viene trasformata in una volgare Piccadilly Circus. Con tanto di pubblicità su mega schermo.

A quando il ritorno strombazzante delle auto?

domenica 26 aprile 2009

Ospiti


L'input arriva da mammagiramondo che, con la sua famiglia, è una gran viaggiatrice e ci racconta sempre un sacco di avventure.

E' lei che ci ha presentato Flat Stanley e, devo confessare, ci è piaciuto subito: l'abbiamo adottato, verrà con noi alla prima occasione, che sia il mare di giugno o uno dei nostri fine settimana, di relax e di aria primaverile. Ammesso che arrivi davvero, la primavera...

Intanto ci piace l'idea e, pargoli inclusi, stiamo pensando cosa farà e dove fotograferemo Stanley. La vacanza che penseremo, sarà pensata anche per lui. E poi, come da regolamento, vi racconteremo tutto.

A guardarsi attorno, l'idea non ha colpito solo noi e ci pare proprio che Stanley stia per avere un futuro piuttosto movimentato: diventerà davvero il giramondo che merita di essere. E allora: "Buon viaggio, Stanley!!!".

venerdì 24 aprile 2009

Mimma cara


Mimma cara,

la tua mamma se ne va pensandoti e amandoti, mia creatura adorata, sii buona.
Studia e ubbidisci sempre gli zii che t'allevano, amali come fossi io.
Io sono tranquilla. Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonna e gli altri, che mi perdonino il dolore che do loro.
Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo.
Abbraccio con il pensiero te e tutti, ricordandovi

la tua infelice mamma



(lettera di Paola Garelli "Mirka" di anni 28, pettinatrice, nata a Mondovì, il 14 maggio 1916.
Dall'ottobre 1943 svolge a Savona attività clandestina nella “Brigata SAP Colombo - divisione Gramsci”. Assolve compiti di collegamento e di rifornimento viveri e materiali per le formazioni operanti nei dintorni della città.
Arrestata nella notte fra il 14 e il 15 ottobre 1944 nella propria abitazione di Savona ad opera dei militi delle Brigate Nere.
Fucilata il 1° novembre 1944, senza processo, nel fossato della fortezza ex-Priamar di Savona).

Per le mamme.
Per la memoria, che non passi.
Per i miei figli.
Buona Liberazione.

giovedì 23 aprile 2009

Giornate


Avete mai sentito parlare della giornata mondiale del forno a microonde? (Ce l'abbiamo quasi tutti, almeno qua in occidente).
Oppure del forum sulle scarpe da tennis? (Ce ne sono in circolazione miliardi di paia, che ogni anno compriamo e ricompriamo).
E vi è mai capitato sott'occhio il giorno della promozione del respiro? (Eppure respiriamo tutti, sarebbe un gran successone).
No, eh?
Strano: perché oggi invece è la Giornata Mondiale del Libro.

Sarà perché del libro non interessa a nessuno (nessuno rispetto alle infinite galattiche potenzialità; pochissimi, praticamente una enclave assediata, secondo le statistiche reali) e allora bisogna far qualcosa. Bisogna intervenire.
Ah che bello!, un giorno (all'anno) di sensibilizzazione: praticamente come chiudersi nella riserva. Confortevolmente indiana.

Qui in Italia, il mercato librario lo consideriamo un mercato certo, sicuro: sono anni, tantissimi ormai, che i fatturati sono invariabili, immutati, li si può prevedere con precisione pressoché assoluta. Le statistiche dicono anche che, in realtà, quelli che leggono sono sempre gli stessi, una quota piccola della popolazione che non cresce. Mai.

Usiamo risorse (poche a dire il vero), si inventano festival, proliferano le iniziative a sostegno della lettura eppure non accade nulla: il grande successo di alcuni festival (Mantova), il buon seguito di note trasmissioni radiofoniche denotano soltanto che la comunità dei soliti lettori si sposta, sempre la stessa, da un luogo all'altro. Perché poi quando ci confrontiamo con la realtà, ecco cosa accade.

Perché, in realtà, diciamocelo, i libri non ci servono a nulla. Non sono mica come una pentola (bisogna pur mangiare), come le lenzuola (dovremo dormire confortevolmente) o come una gonna o una camicia. E non sono nemmeno necessari come il frigo, l'auto, l'impianto hi-fi: chi davvero si sentirebbe oggi di considerare superfluo il suo stereo?

Mediamente un libro, per tutti quelli fuori dalla famosa enclave dei resistenti, è superfluo, non rientra nelle pratiche quotidiane. Non rientra nell'orizzonte dei bisogni. Invece cullo il mio sogno, quello che soppianterebbe la giornata del libro: averli come pentole, accanto alle magliette, sotto le mutande nel cassetto della biancheria. Leggere libri con la stessa incoscienza con cui ricarichiamo i nostri telefoni cellulari senza badare a quanto ci costa parlare. Mentre invece tutti fanno le pulci al prezzo dei libri: “eh, ma costano troppo”.

Vabbé, dai, oggi festeggiamo: usciamo di casa e compriamoci un nuovo forno a microonde. Di carta e rilegato, però, proprio con una bella copertina accattivante. Se lo cercassimo, lo troveremmo di sicuro.
Buona lettura, enclave!

(Ringrazio Tiziano per il promemoria. Confesso la colpa: io me n'ero proprio dimenticato).

martedì 21 aprile 2009

Tempi duri


Tempi duri, per l'uomo piccolo.

La donna grande è uno splendore di quasi ottenne, con quelle gamberelle secche che si aggiravano, ad esempio, per calli e campielli veneziani qualche giorno fa. E con tutta la perfidia della donna ormai conscia del proprio fascinoso potere sui genitori, di un'ironia pressoché sarcastica. Soprattutto per ammaliare. Soprattutto per prendere vantaggio, sul piccolo che ancora certi trucchi non li conosce o non li usa.

Tempi duri, sopportare una donna grande per sorella. Con tutta la sofferenza di una passione totale nei suoi confronti, di un'adorazione assoluta e solare. Il suo punto di riferimento, unico e solo, che gli si rivolge contro. Il suo fulgido sole adesso sa che può approfittarne. Che, se vuole, lo stende. Ma sa anche che può osare, che questo suo fascino di donna grande che cresce, che ingentilisce con ironia, che sa come ottenere senza sotterfugi, stende tutti. E la fa vincente.

Tempi duri per l'uomo piccolo, trovarsi la donna grande che lo prende per mano all'improvviso e lo guida sui marciapiedi delle nostre passeggiate: non per nulla, nei loro giochi, ultimamente a lui tocca il ruolo del cagnolino. Gli tocca abbaiare, riconoscente per un osso gettato con ostentazione. L'osso del farlo partecipare alla sua esistenza di gioco.

Una piccola tirannide, ma tutta giocata sui toni della dolcezza quasi dovuta, su un equilibrio che si incrina poche volte. Quando proprio il troppo è troppo. Se è troppo.

E anche le famose, in casa, brontolate hanno un peso diverso, procurano reazioni del tutto opposte. La donna grande ormai grande ed avvezza alla gestione del rimprovero, sa come squadrarti, sa come farti capire che ha capito. E che tutto sommato, non si preoccupa più. Di tanto.
Tempi duri, invece, per l'uomo piccolo. Che adesso si sente solo, a far fronte senza schermo alle brontolate tutte su misura. La sua. Con continuità e costanza.

La donna grande, lei, schiva alla grande.
E l'uomo piccolo, sbotta, sempre più spesso, sempre più frustrato, sempre più impotente: "mamma, ma lei non la brontoli mai".

sabato 18 aprile 2009

Lisergia


- Babbo, giochi con me?
- A che giochiamo?
- A battaglia!!

Ma và, strano per un ragazzino tanto riflessivo...

- E in cosa consiste?
- Cosa?
- Sì, insomma, come si gioca?
- Ah. Allora: questa è la moto del pinguino che è un gigante poi c'è l'automobile che vuole uccidere il pinguino con una puntura però il pinguino è un gigante e quindi la puntura per lui è come una formichina e la può spiaccicare così il pinguino scappa con la sua moto da cross che distrugge il mondo, ma tutti proprio. E adesso è finita.

Ecco.
Ma l'avete passata tutti la fase lisergica o è una prerogativa tutta nostra?
No, perché sennò ci preoccupiamo.

venerdì 17 aprile 2009

Libri alla catena

Bene, facciamo outing: anche i babbi giocano. Mica solo i pargoli.

Cominciamo ad essere abbastanza: personalmente ringrazio Extramamma (ma altri riferimenti rimbalzano da qui, qui e più a ritroso anche qui) che mi ha messo tra i partecipanti. Per uno il cui hobby principalissimo è la lettura, finire in questa catena è come infilare Winnie Pooh dentro una petroliera piena di miele. Senza neanche il mal di mare.

Le regole sono semplicissime: se volete giocare lasciate un commento a questo post o scrivetemi via mail (l'indirizzo lo trovate qui accanto, nel mio profilo). Per ora mi sembrano quasi solo le mamme a partecipare al gioco ma non mi dispiacerebbe trovare qualche babbo di buona volontà: non vorrete mica dare ragione alle statistiche che dicono sempre, da anni ormai, che in Italia leggono più le donne che gli uomini, vero?

Vi risponderò via mail (dovete lasciarmi il vostro indirizzo) inviandovi un elenco fatto di due nomi.
Scegliete tra i vostri un tascabile che vi è particolarmente piaciuto e che volete far conoscere e inviatelo al primo nominativo nella lista. A questo punto, il grosso del lavoro è fatto. Dimenticate il primo nome di quella lista.
Compilate una nuova lista mettendo al secondo posto il vostro nome e indirizzo, mentre al primo sale il nome che era al secondo.
Ora trovate sei persone che sapete desiderosi di giocare (e soprattutto di leggersi poi i 36 libri che riceveranno) e che lo portino avanti davvero: a questi sei manderete la nuova lista.

Avanti di questo passo, inviato un libro, per il più semplice meccanismo della moltiplicazione, ve ne torneranno indietro 36!

Niente male: adatto anche a chi non ha mai avuto una biblioteca, con 36 libri in arrivo potete cominciare con quelli, no?

Insomma, anche se sembra, non è la solita catena. E' un bookcrossing davvero interattivo e molto più divertente: mette in moto attese fatte di curiosità (non sapete infatti che libri vi arriveranno) e, non ultimo, fa circolare le idee. Il che non è mai male...

Io, il mio libro lo spedisco domattina.

giovedì 16 aprile 2009

Ricostruzioni

Quando quello che vorresti dire l'hanno già scritto, non resta che lasciare la traccia: grande lucidità, nessun giro di parole.

mercoledì 15 aprile 2009

Bentornati


San Marco l'abbiamo incrociata un pomeriggio, il caldo e l'umido della laguna a ricorrersi in un gioco opalescente di veli e fantasmagorie: sotto il sole, del campanile, non si vedeva la punta disciolta nella nebbia.
Non è semplice affrontare Venezia controvento, questa quinta teatrale, immaginifica e perfetta, appositamente costruita per ingannare, disperdere, ammaliare. Un alveare stracolmo dove le formichine operose (comprendendo nella definizione anche noi turisti) invece di procedere a 400 km orari, per fortuna vanno a due. La calca è melma.
Certo, se avessimo voluto la calma e la tranquillità, avremmo potuto scegliere, che so, Vigevano oppure Poggibonsi. Ma non sarebbe stata la stessa cosa.
E allora, irretiti dalle suggestioni di una vecchia guida scritta tanti anni fa da due amici e collaboratori di Hugo Pratt, abbiamo percorso altre strade, ci siamo nascosti negli angoli a abbiamo avuto fortuna: godendoci una strabiliante solitudine nei vicoli della sognante Giudecca; passeggiando lungo le osterie di Mazzorbo sul canale separato da un muretto di mattoni; bevendo succhi di frutta e spritz sul molo silenziosissimo dell'isola di San Giorgio; attraversando in lungo e in largo Castello dove, il giorno di pasqua, i gruppetti di turisti, noi compresi, si potevano contare sulle dita di due mani. E nemmeno tutte, le dita.
Alla fine, la calca peggiore l'abbiamo avuta a Torcello, in fondo a 40 minuti di vaporetto, ma solo perché essendoci quell'unico sentiero da percorrere, vederlo percorso in fila indiana, come una processione un po' fessa, da tutti i passeggeri della nave, ci ha fatto davvero una certa impressione.

Insomma, è stata la nostra gita, sono stati i nostri giorni di svago e leggerezza, di risate grasse. Anche di stanchezze lagnose e momenti di cedimento e noia per i pargoli (per qualche tempo, non pronunceremo più la parola museo di fronte alla donna grande: potrebbe morderci); però pure di grandi curiosità e divertimento: sono ormai due giorni che vediamo solo disegni di gondole, motoscafi, vaporetti, persino gommoni.

Facendo il punto con la profe, abbiamo anche realizzato che in effetti è stata la prima vera vacanza dell'intimità familiare, solo noi quattro senza paracadute: senza amici per i pargoli coi quali condividere i giochi, senza filtro allo strapotere un po' autoritario dei genitori, senza pause durante la giornata ma una full immersion 24 ore su 24 lontano dalle abitudini di casa.
E certo su questo argomento, dello strapotere autoritario, avremmo forse potuto dimostrare più elasticità invece di essere i soliti esigentissimi spaccamaroni, sempre pronti al rimbrotto e al richiamo all'ordine e a comportamenti educati e rispettosi. Insomma, chiediamo molto, spesso consapevoli di quello che vorremmo ma forse troppo esigenti nei confronti di due pargoli che hanno bisogno anche loro di ritmi rilassati, di regole meno ferree, di svago totale.
Ecco, qui discutiamo, a volte, sul cosa sarebbe meglio: se lasciare che l'uomo piccolo usi la sua voce come un machete anche in vacanza (facendosi sentire a km di distanza...) oppure che impari a parlare umanamente anche lontano da casa e dalle regole primarie; se comprendere che la donna grande possa qualche volta mollare il suo ipercontrollo caratteriale e lasciarsi andare al cazzeggio più puro e demenziale.
Due scuole di pensiero a confronto, tra desian e la profe, anche in gita, anche in vacanza.
E per ulteriori test, saremmo pronti a ripartire di nuovo. Anche domattina...
Bentornati alla realtà.

mercoledì 8 aprile 2009

Venezia è arrivata

Ebbene sì, l'avevo detto qui (si era capito vero?): per qualche giorno ce ne andiamo, Venezia sarà la nostra casa, almeno fino a domenica.
Sono le nostre piccole vacanze, solo noi quattro, dopo un inverno piuttosto difficile, con la profe che era crollata allora. E dietro il crollo c'è sempre qualcosa.
Ora vogliamo distrarci, pensiamo un po' a noi. Ci riposeremo divertendoci e stando lontani dai nostri pensieri, dai medici, dalle preoccupazioni. E col cellulare spento.
In questi ultimissimi giorni, tutti insieme, abbiamo dato un'occhiata a quello che ci aspettava, abbiamo fatto un minimo programma. Essenziale, non vogliamo strafare.
E allora: la donna grande ha solennemente dichiarato che lei non vuole farsi aspettative, tutto deve essere una sorpresa; l'uomo piccolo invece, oltre ad avere avuto una piccola crisi stasera che è culminata con un laconico "a me non piace viaggiare", ha esternato tutta la sua preoccupazione "ma se Venezia è tutta sull'acqua... noi dove camminiamo!?!".
Eh già, non ci avevo mica pensato.

Racconto

Questo è un racconto.

martedì 7 aprile 2009

domenica 5 aprile 2009

Bestiario domenicale, allegorie e metafora


L'aspettavamo da un po', questa domenica di caccia.
L'eccitazione era al culmine, stamattina, quando siamo partiti.
Meta prevista, la Certosa di Calci, pendici dei Monti Pisani: la sede del Museo di Storia Naturale e del Territorio dell'Università di Pisa.
Non potevamo certo prevedere tutte le storie, i personaggi, le paure e le emozioni che ci saremmo trovati ad affrontare...
In fondo, eravamo preparati alla ricerca di semplici dinosauri e, al massimo, un laboratorio didattico. Invece...
Invece non siamo neanche entrati nel vivo che già ci vengono incontro draghi, mostri, demoni, il mitico unicorno.
Abbiamo cambiato ambienti, scenari, stanze. Abbiamo attraversato le epoche storiche e abbiamo assistito a cruente scene di caccia, siamo incappati in iguane e caimani, scesi nelle profondità marine al cospetto del ferocissimo mako, intravisto scheletri di velociraptor e carnotauri, ripulito i fossili come in uno scavo.
Infine, una dolce scalinata ci ha portato in cima: nella galleria dei cetacei, abbagliati dalla luce e dalle dimensioni della balenottera.
Insomma, partiti sotto un cielo plumbeo, col passar delle ore abbiamo persino trovato la primavera.
Ma la vera perla del giorno, la metafora assoluta del sentirsi piccoli davanti a tanto spettacolo, ce l'ha fornita l'uomo piccolo, dopo aver scrutato ben bene gli scheletri delle balene:

- Babbo, ma è proprio vero che la balena più grande che c'è è la balenottera azzurra?

- Beh, uomo piccolo, così ha detto la guida...

- Ah... ho capito: è la sua mamma che le ha messo nome "balenottera" perché era appena nata ed era piccola. Poi ormai il suo nome era quello e non si poteva più cambiare e la sua mamma ha continuato a chiamarla così, anche da grande! Eh.

Ecco. Balenottera non è altro che un dolce diminutivo da culla. Di cui forse liberarsi. Per esorcizzare e crescere.

giovedì 2 aprile 2009

Pubblicità regresso

Ognuno ci ha le sue contraddizioni.
La mia è piuttosto notevole: per uno che di mestiere fa il commerciale, il marketing dovrebbe essere pane quotidiano, aderenza alla realtà, legge. Io no: è uno strumento che uso con difficoltà, mi impaccia più di quanto mi risolva.
Sarà che non mi rappresenta, è anzi molto lontano da me e dai miei pensieri. Insomma non lo amo.

In questo caso, mi piace ancora meno: qualche giorno fa è comparso sui muri di Firenze un bel mega-manifesto pubblicitario. Di quelli di grande formato e grande impatto. Un ottico.
Nessun pericolo, si direbbe, un ottico! Al massimo ci vende gli occhiali: due grandi occhioni azzurri di una modella posson bastare.
Bene.

Mi dispiace davvero da morire ma non sono riuscito a fotografarlo, quel manifesto. L'avrei schiaffato volentieri qui sopra, per farvelo vedere: quando mi ero deciso, non c'era più! Non sostituito dal mega-manifesto nuovo che si sovrappone a quello sotto.
No.
Coperto da fogli bianchi. Oscurato, letteralmente.

Oh cosa diavolo c'era, su quel manifesto, per censurarlo?!
Ma naturalmente: il mega-faccione di una modella belloccia, occhi da sballo che calzano leggerissimi occhiali.
Di lato.
Perché poi, a tutto campo, c'era il testo, il messaggio, la comunicazione.
L'intelligenza creativa.

Il testo diceva così, a caratteri mega-cubitali: “FIDATI... TE LA DO GRATIS”.

E per fortuna che sono spiritoso ché la profe m'ha battuto sul tempo: “ma via, è pubblicità ingannevole... non la danno mica”!

Ora... capisco... dietro un tale capolavoro di inventiva zen ci dovrà essere un copy, un'agenzia pubblicitaria, una qualche mente sopraffina (individuale o collettiva) che abbia potuto partorire L'IDEA. Qualcuno che abbia studiato le tecniche più moderne della comunicazione. Un laureato. Uno con un master chissàdove.
A me, sinceramente, piacerebbe averlo davanti. Anche per pochissimi minuti. Basterebbero.



Ah, dimenticavo!: in piccolo, nell'angolo in basso a destra, tutto era chiarito. C'era scritto, a caratteri mooolto più piccoli, con umiltà e discrezione: “LA MONTATURA”.
Insomma il messaggio era chiaro, bastava stare un po' attenti, smettere di pensar male, cogliere l'ironia cameratesca... no?

Insomma, se questo è il contesto, alcune mie contraddizioni me le tengo. E, anzi, le coltivo anche.



Non ci credevate, eh?!

mercoledì 1 aprile 2009

Letture

Va detto chiaramente: questo libro non è stato scritto per dare forma compiuta ad un talento letterario, peraltro chiarissimo ed ineccepibile.
A me pare che questo libro sia stato scritto, tanto per cominciare, per scuotere disturbando il sonno delle coscienze.
Questo libro entra un po' più in profondità di una sequela di belle parole messe in fila comme il faut, questo libro parla della orrenda società italiana perfettamente ormai plasmata dai mass media ed in particolare dalla tv.
Di come lo specchio persino dell'orrore più grande non sia altro che lo specchio televisivo.
Non racconterò di cosa parla, perché tanto non serve; dirò invece che mi ha fatto salire ulteriormente la nausea (se ce ne fosse ulteriore bisogno) rispetto alla tv, ai suoi stupidi sacerdoti, alle sue trasmissioni inutili. Mi ha fatto capire che l'unica soluzione (l'unica proprio) è non guardarla più. Abbandonarla a se stessa.

In secondo luogo, questo è un romanzo sulla paternità e non soltanto perché Scurati sta per avere una bambina, alla quale il libro è dedicato. Questo è un romanzo sulla paternità e sul ruolo (su alcuni aspetti di questo) che noi padri possiamo pretendere, nell'immaginario collettivo che ci relega a figure sangiuseppesche (un po' a latere, un po' putativi, un po' impreparati), e che dovremmo poi rispettare. Sul serio.
Su che tipo di presenza deve essere, la nostra maschile, rispetto ai bambini messi al mondo. Per ora Scurati ipotizza, non avendo l'esperienza diretta, ma ipotizza bene, indica traiettorie possibili di riflessione.
Sicuramente un romanzo duro, difficile, che non si nasconde, chiaro e crudo, non sempre impeccabile (ma come ho detto, non credo fosse quello il suo scopo: stupido fermarsi al dito se quello indica la luna!) ma che arriva diritto al punto, al punto dell'esistenza-bambina e quindi, dopo il tempo che ci vuole, di quella adulta.
Il tutto scritto senza personaggi letterari ma indicato con nomi e cognomi. Veri.
Da leggere, per non appassire.

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