domenica 28 febbraio 2010

Marianne enceinte, une pub polémique

Questo post l'ho preso in prestito, interamente, titolo compreso, dal sito/blog http://www.taninoferri.com/.
Mi sembrava molto interessante e per diversi motivi
.

Nicolas Sarkozy, Presidente della Repubblica francese, ha deciso  di utilizzare il simbolo repubblicano, La Marianne, per promuovere la campagna per un grande prestito, 35 miliardi di euro, per programmi di ricerca, investimenti nel settore digitale, ed aiuti alle piccole e medie imprese.
 
Ma la Francia non è l'Italia, l'opposizione è in guardia ed il partito socialista francese ha denunciato un "triple scandale" politico, democratico e budgetario e ne ha chiesto l'annullamento  perché "l'Etat a une obligation de neutralité" soprattutto alla vigilia delle elezioni regionali. Insomma rimproverano al Governo di utilizzare della "propagande politique au service des listes de l'UMP aux frais du contribuable".
 
In un contesto elettorale segnato da un forte dibattito sull'identità nazionale, utilizzare il simbolo della  Marianne, a favore di una sola parte politica, solleva un grosso problema di unità nazionale.
 
Inoltre questa particolare rappresentazione della Marianna è contro la simbologia tradizionale:"Moitié Athéna, moitié Jeanne d'Arc, c'est une figure d'amazone vierge et protectrice de la cité. Elle n'est pas censée être mère!".

giovedì 25 febbraio 2010

Eden (ovvero: Italiani ladri 2)

Qualche giorno fa, durante la pausa pranzo, in un tavolo accanto al nostro era seduta una giovane signora spagnola, di Madrid.
Lei e il suo collega parlavano della nuova tramvia di Firenze. Il giudizio era a metà tra lo sprezzante e l'incredulo: "ma come, una cosa vecchia e obsoleta come un tram spacciata per l'infrastruttura che vuole modernizzare la città". Questo era il succo.
Ligio al mio dovere di scassamaroni quando sento discorsi un po' qualunquisti, mi sono sentito in dovere di intervenire, temendo/cercando lo scazzo. Invece è nata un'amabile conversazione.

La giovane donna spagnola vive e lavora in Italia ormai da anni. Quando parla, dice spesso "noi italiani".
Non poteva non succedere: a un certo punto siamo arrivati al nocciolo. Come ci vedono dalla Spagna, a noi italiani?
Sorriso amaro ma scintillante.
"Beh, ogni tanto ci torno a Madrid".
Sorriso amaro ma amaro.
"I miei amici prima mi chiedono se è tutto vero. Poi cominciano, ci prendono in giro. Ma alla grande, eh".
Mezzo sorriso e scuotimento di testa. Abbassa gli occhi sulla tovaglia, di carta.
"Beh, loro ce l'hanno un'idea di che fine faremo".
Ah sì?
"Dicono che siamo destinati a diventare una specie di giardino, un posto buono per gli europei per venire in vacanza, pieno di belle cose da vedere, arte e musei, le spiagge e il mare. E per fortuna, dicono, tanto poi tutti tornano al loro Paese e arrivederci Italia".
Non sorride più, ora, la giovane signora italiana che è nata a Madrid ma vive qua. Ed ha figli italiani.

Ecco, un parco giochi siamo destinati a diventare, un giardino (zoologico, aggiungo io) per chi dall'Europa viene a cercare un po' di folclore, un po' dei vecchi sole, pizza e mandolino. Altro che le colline del Chianti.
Colonia saremo, il parco-divertimenti dei popoli civili, la passeggiata di allegri pensionati bulgari.
O di madrileni che verranno, increduli di questo Paese-baraccone, a trovare la loro amica ormai irrimediabilmente italiana.
Un giardino.
L'eden.
"Voi, laggiùùù! Spostate quel vaso... Ehi, e quella siepe così irregolare, chi me la potaaaaa?! E la fontana, avete dato da mangiare ai pesci rossi"?
Giardinieri per il mondo intero.
Come non esserne orgogliosi?

mercoledì 24 febbraio 2010

Italiani ladri

Capita spesso, parlando con le persone delle nostre disgrazie nazionali, commentare dicendo "vabbè, ora abbiamo proprio toccato il fondo".
Capita spesso anche qui, sulla rete, che rimbalzino, dall'Alpi alle piramidi, gli sconforti di tanti.
Oggi siamo a "una delle più colossali frodi poste in essere nella storia nazionale".
Scusate, lo vorrei ripetere un po' meglio:

"UNA DELLE PIU' COLOSSALI FRODI POSTE IN ESSERE NELLA STORIA NAZIONALE".

C'è chi è vissuto all'epoca di Mazzini e Garibaldi, chi in quella di Leonardo da Vinci. E chi è nato e cresciuto all'ombra di questa gente qui.
Oggi, la nostra storia nazionale parla di LADRI SISTEMATICI. E impuniti: giurateci e scommettete, lo saranno anche stavolta.
Vedrete.

E non stiamo parlando di una costola deviata della società (la criminalità organizzata, "o' sistema", come dice Saviano).
No.
Parliamo di due delle più visibili aziende del Paese. Una nata da pochi anni, con una propaganda politica, sociale, mediatica, pubblicitaria da urlo: la modernizzazione, la fibra ottica fin dentro le vostre budella. Con l'ex presidente Scaglia che è "ricercato" (storia già vista?). L'altra è "l'Azienda", quella coi profitti d'oro, quella dei bilanci megagalattici e sempre in crescita (fino a pochissimi anni fa, almeno).
Questa gente, questi capitalisti ignoranti tronfi cialtroni e ladri, questi montezemoli d'accatto, ha rubato, ruba e continuerà a farlo. Lorsignori stornano fondi per comprare il sesto yacht (ché due non bastano) a quel Tronchetti-come-diavolo-si-chiama. Creano fondi neri per comprarsi la mafia e, con essa, la politica. Quella grossa, quella dei capintesta, non quella del parlamentarucolo eletto all'estero. Per poi ricambiare il favore. E ripartire. "Teniamo famiglia".
Questa gente ha incistato un cancro nella società italiana e l'ha lasciato a noi: loro restano superiori, sono ad un livello di beata yachtitudine che noi facciamo fatica persino a concepire.

(Pausa) Cosa deve insegnare un padre (o una madre, beninteso) a dei figli, in un Paese siffatto?!
Non certo se scappare all'estero o restare, nel dubbio amletico dell'ingenuo di turno.
Piuttosto bisogna scegliere tra insegnare a rubare ("rubate tutto, figli miei, arraffate quel che potete e fottetevene degli altri. Compratevi il concorso per un posto alla Asl. Compratevi le persone. Arricchitevi") per rimanere al passo coi tempi oppure insegnare la povera rassegnazione muta ("lasciate che vi portino via tutto, bambini, noi siamo onesti: lasciate che vi rubino le scuole, gli ospedali, il lavoro e che facciano pagare a voi le tasse che loro si scolano in champagne, in droga, in armi, mignotte e chissà che altro").

(Reprise) Io che non ho mai rubato nemmeno una mela nelle crisi di fame adolescenziali. Io che mi vergogno a contrattare cinque lire di sconto persino al mio amico Iba che mi vende i fazzoletti fuori da scuola (se il prezzo è quello, lo pago, è la mia regola).
Io che noi.
E noi? Quanti di noi rubano sistematicamente? In quanti siamo ad essere corrotti e mafiosi come loro? Chi di noi maneggia fondi neri, denaro sporco e riciclato?
C'è qualcuno, là fuori?!

Spesso ci guardiamo specchiati dalle grasse risate che all'estero si fanno di noi. Da stamattina, la Terra intera si vergogna di averci sul mappamondo.
"Italiani ladri". Forever?
E buona giornata, coscienza.

lunedì 22 febbraio 2010

Gli accessori del babbo (14): la playlist

"Crescendo la vita diventa più bella", disse una volta l'uomo piccolo.
E anche i gusti musicali evolvono, migliorano.
La compilazione della playlist (così si dice, no?) sembra essere la funzione primaria (l'unica?) di un padre oggi: persino un critico musicale di grido come Francesco Adinolfi si è esibito in un interessante articolo su "Alias", l'inserto culturale del "manifesto", al riguardo.
Io invece, non sono di quei babbi che hanno una playlist pronta per ogni occasione: la playlist per ogni settimana di gravidanza, la playlist per le doglie, quella per le spinte, quella prima, quella durante, quella dopo il parto. Quella nella culla (mi è capitato di leggerne con brani hard rock dentro: vabbè che la vita è dura ma non così), quella per il primo giorno di materna, e via e via.
Ai miei pargoli non ho propinato le mie canzoni, mi sembrava troppo passare i loro primi anni sotto l'egida dei martelli dei Pink Floyd e anche i Police fanno, a mio avviso, un discreto casino. Ci sarà tempo, mi son sempre detto.
Così, abbiamo optato per un'educazione musical-banale: abbiamo cominciato con le canzoncine da bambini, ninne nanne (una però di Pascal Comelade: esoterici, eh?!), al massimo un po' di Zecchino d'Oro. La solita mefitica zuppa, direte voi.
E dìtelo pure, perché poi invece abbiamo scoperto Sergio Endrigo e le canzoni su testo di Rodari e tutto un mondo di cd molto meno banali, con canzoni scritte appositamente, con un po' di gusto o con grandissimo talento (i fiorentini sanno tutto di "Gallo Cristallo" di Susy Bellucci) o il riarrangiamento in chiave-bambino di vecchi brani di Mina, Lauzi (no, non solo la Tartaruga...) e cose così. Naturalmente il tutto ascoltato decine e decine e decine di volte, compulsivamente. E abbiamo anche testimoni che possono confermare...
Dalle origini abbiamo fatto qualche passettino, nella formazione musicale pargolesca.
Recentemente, poi, il gran salto di qualità: abbiamo scoperto il jazz ed è successo, ancora una volta, senza clamore. E' arrivato questo cd in casa, una sera, e l'abbiamo messo su. E' solo un demo ma da allora i pargoli hanno una nuova cantante preferita, che riconoscono già quando prende fiato: "ma è la zia Veronica"!!!
Sì, è la Veronica (zia è titolo nobiliare acquisito...) che per vivere fa tutt'altro mestiere - ah quanto talento sacrificato per uno stipendio! - ma che quando canta si trasforma, così:



In bocca al lupo, Vero: tu sai per cosa.

domenica 21 febbraio 2010

Cinefili da laboratorio

La direzione di questo laboratorio ci pensava da un po' di tempo: la creazione del cinefilo in vitro. Eravamo stufi dei cartoni. Certo, qualche deroga l'avevamo avuta: il "Mago di Oz", Pippi Calzelunghe in tv, ma niente di che.
Ieri sera ci abbiamo provato.
Giuro che non tenterò subdolamente di spacciare il film come un manuale ante-litteram sulla genitorialità, sarebbe irriverente, ma tutte le cose assumono contorni diversi, a seconda degli occhi con cui le guardi. Altro insegnamento per i grandi.
Insomma dicevo, l'abbiamo buttata lì: affrontiamo il gotha, voliamo alto. Abbiamo scelto "Gli anni in tasca". Truffaut.
La donna grande, ormai in età di ragionevolezza e contrattazione, ha deciso che poteva andar bene, ad una condizione: "se dopo cinque minuti che lo guardiamo non ci piace, lo togliamo e mettiamo un'altra cosa". L'uomo piccolo, ça va sans dire, non ne voleva sapere: contorcendosi come un indemoniato ha tentato di distruggere un tappeto spergiurando che lui si sarebbe chiuso in camera se solo "mettete quella schifezza". Poi ha scaraventato per terra il più rassicurante dvd di "Hello Spank!" che aveva scelto e se n'è andato.
Calma e gesso, fermezza: "uomo piccolo, facciamo come dice la tua sorella: se dopo cinque minuti non vi piace, cambiamo, ok"?
Mezzo secondo di dubbio.
"Ok"?
"Ok".

Chi non ricorda la sequenza iniziale del film con quell'orda di ragazzini che corre a perdifiato giù per i ripidi viottoli scalinati di Thiers? Una delle sequenze più gioiose e, a un tempo, misteriose della storia del cinema: in effetti, dove corre quell'orda vociante? Sotto il broncio (tenuto magnificamente insieme ad occhi spalancati e curiosissimi) s'ode una vocina: "babbo, ma dove vanno"?
Partita vinta, al terzo minuto! Non c'è stata più gara: persino morto di sonno (la donna grande in perfetta forma), si è rimesso ritto sul divano ipnotizzato dallo splendore di quel film, dal fascino della storia. Un film dove ci sono loro, i bambini. Dove gli adulti sono comparse, scenografia.
Da lì è stato tutto un chiedere che succede, un domandare perché: chi è il ragazzino appena arrivato e da dove viene, perché arrestano sua mamma, cosa fa quel bambino sul davanzale della finestra, perché scappa, perché si guardano, perché si nasconde. Perché.
Abbiamo passato un paio d'ore d'incanto, adulti e pargoli: ci siamo divertiti, abbiamo riso e temuto, ci siamo interrogati e abbiamo sobbalzato. Abbiamo visto il cinema, quello che ci piace. Quello che vorremmo insegnargli, se si potesse.
Presto per dirlo, ma la direzione stavolta sembra aver fatto la scelta giusta: esperimento riuscito se l'uomo piccolo sbadigliando ha chiesto "domani lo vediamo di nuovo, vero?".
Ecco a cosa vanno incontro gli scienziati pazzi, a fare esperimenti nei loro oscuri laboratori...

sabato 20 febbraio 2010

La paternità su Google

Ci interroghiamo da tanto.
Questi padri, che figure sono?
Quale può essere il nuovo ruolo genitoriale per i maschietti?
Confrontiamoci con le mamme e vediamo dove porta la discussione.
Se le madri sono già tutta una serie di competenze, affettività, ruolo già ben (pure troppo?) definito, noi cosa inventiamo?
Insomma, anche noi uomini cerchiamo di riflettere sul noi stessi-genitori per vedere cosa ne salta fuori.
Alcuni di noi sono così tanto ingenui da tenere persino dei blog, sull'argomento.

Poi accade che un pomeriggio, proprio perché cercavi del materiale per un postarello, digiti sul grande moloch della ricerca on line le semplici parole "paternita oggi". Ho detto: "non metto l'accento sulla a, magari sennò fa confusione".

Orbene, guardate qui i risultati della ricerca...
Persino google è sessista: "Forse cercavi:".
"NO!, io invece cercavo proprio "paternita oggi", va bbbene?! Sono un tizio strano, oh".
Abbiamo tutti dei muri da abbattere.
Chi è che chiama quei due nerd di Page e Brin e gliene dice quattro?!
Proprio oggi ho finito la scheda del cellulare.
E anche la pazienza, devo dire.

giovedì 18 febbraio 2010

Più scuola per tutti

Se da noi la riforma Gelmini sta continuando impunita lo scempio thatcheriano della scuola pubblica, in questi stessi giorni i francesi si interrogano sul perché il loro sistema scolastico, "le collège" (più o meno l'equivalente italiano delle scuole medie inferiori), sia diventato uno dei più iniqui e inefficaci tra quelli dei Paesi Ocse. Qui le statistiche del P.I.S.A.
Lo spunto viene da un articolo su Le Monde di qualche giorno fa, in occasione dell'uscita del libro (un po' di pazienza: l'apertura completa di questo link la richiede!) del sociologo François Dubet che, senza giocare a fare il sofisticato, denuncia il fallimento del modello dell'ascensore sociale, che l'ultra-liberismo politico di questi anni ci ha allegramente elargito come la panacea di tutti i mali di tutte le società.
Dubet individua invece nella riduzione delle differenze di partenza (ossia di classe sociale) tra gli scolari l'unica possibilità di rimettere in piedi un sistema scolastico efficace. Che raggiunga cioè gli scopi che ha, che permetta a tutti i partecipanti le stesse condizioni. Egalité.
Se in Francia, negli ultimi dieci anni, i ragazzini svantaggiati dalle condizioni socio-economiche non hanno raggiunto, al termine del ciclo scolastico, un livello di apprendimento accettabile, è evidente come questa filosofia della scuola quale eden delle opportunità, premi pochi e lasci invece sul campo tanti caduti.
I numeri per la Francia dicono che su 10 ragazzi della classe media entrati al collége nel 1995, 8 erano ancora studenti dopo dieci anni e solo 1 aveva abbandonato gli studi senza alcun diploma. Un po' diversa la situazione se scendiamo ad un livello sociale più basso: su 10 ragazzi, solo 3 proseguono gli studi fino alla maturità mentre 5 abbandonano la scuola prima di arrivarvi.
In altre parole, il libro di Dubet sostiene che, vista dalla scuola, la società francesce si accontenta di mettere delle toppe qua e là alle ineguaglianze invece di pensare una società più giusta.
In maniera ancor meno elegante, il sociologo francese giunge alla conclusione che questo gap di risultati tra ragazzi di diversa estrazione non va risolto con l'aiuto individuale ma tagliando alla radice le sperequazioni: l'aumento dei salari. Ancora una volta, si passa di lì.
Insomma, oltralpe il livello della discussione e dei contributi teorici sulla scuola mantiene quote che qui da noi non riusciamo neppure a vedere: i tagli selvaggi contro l'interrogarsi, la privatizzazione contro l'uguaglianza effettiva, concreta e materiale, tra le persone.
"Continuiamo così, facciamoci del male" oppure siamo in grado di trovare anche noi un'alternativa un pochino più decente?

martedì 16 febbraio 2010

(Senza) parole

Siccome odio la frase "io l'avevo detto", non dirò nulla.
Leggetela soltanto.

Tram... via!

La notizia del giorno è sulla bocca di tutti: dal fornaio, in ufficio, alla macchinetta del caffè, al ristorante durante la pausa pranzo.
Pur senza raggiungere le vette della fantascienza (interrarla, farla sospesa su cuscinetti magnetici, con percorso aereo su monorotaia - mancava solo l'opzione-Nasa), tutti hanno voluto dire la loro.
E, ancora una volta, guelfi di là, ghibellini di qua.
Da domenica, Firenze ha la sua tramvia.
Certo, è solo la linea 1 (ne sono previste altre due, di là da venire...), ma è nuova di zecca. Pulita, silenziosa, ecologica.
La vecchia iconografia del tram sferragliante a centinaia di decibel è solo uno sbiadito ricordo, piuttosto una scena da film. Un soffio maigrettiano (anche se i suoi erano autobus, per lo più).
Domenica, giorno dell'inaugurazione, ci sono saliti in 40.000.
No, non tutti insieme...
Ieri mattina, già all'alba, le fermate erano gremite, tra curiosi e primi pendolari. Dopo aver ascoltato le opinioni più disparate ho deciso: "bene, ci salgo anch'io, vado a vedere".
Naturalmente le carrozze erano piene (malgrado avessi scelto un'ora non di punta) ed era tutto un gran vociare: sorrisi, scherzi, quasi una certa timidezza nel guardarsi intorno e vedere tutto nuovo, non ancora distrutto dall'uso quotidiano. Qualcuno si prendeva gioco dei più impacciati, improvvisandosi controllore e chiedendo la verifica del biglietto (dopo gli annosi ritardi, è stato deciso che la prima settimana di tram fosse completamente gratuita).
Una cosa mi ha colpito più di ogni altra, una particolare sensazione. Guardando i visi delle persone, ascoltando le conversazioni più buffe ed empatiche tra persone sconosciute una all'altra ma accomunate lì per lì dalla prossimità della poltroncina, ho colto una gioia bambinesca in molti. La sorpresa del giro di giostra, la vertigine del paesaggio che corre al finestrino.
Pian piano il cuore (la memoria, io che di tram non ne ho quasi mai visti?) ha fatto un salto, non so se indietro o in avanti. Ho visto una piccola epopea popolare, in un viaggio di poco più di sette chilometri; si è spiegato quel mondo fatto di relazioni tra persone, di chiacchiere dispensate senza ritrosie o falsi pudori, di sguardi un po' increduli e per quello giocosi: eppur si muove.
Con in più lo scambio dell'emozione di essere lì per un'altra prima volta. Della vita o del quotidiano, fa poca differenza. Sorrisi contenti.
Bambini, a giocare col loro trenino su una rotaia piena di nuovo, incontro al sole in una giornata che sapeva di primavera. Come è dovuto a tutti gli inizi.

domenica 14 febbraio 2010

Spinoza a colazione

Stabilendo come nostro principio etico la verità, Margherita Hack è la donna più bella ed elegante d'Italia.
(Oltre ad avere un cervello da lasciarci tutti in panchina...).


venerdì 12 febbraio 2010

Un padre (maturo)

Stasera, un padre maturo d'un figlio ormai grande, mi ha quasi preso in disparte (e sì che io ho fatto di tutto per farmi prendere).
Poi, con una luce tremolante tra le palpebre, ha voluto lasciarmi un segreto (più ancora che un consiglio).
"Leggi ogni sera una storia ai tuoi figli, prima di dormire. Portali in bici sul seggiolino, la domenica mattina. Non ti perdere nemmeno un minuto della loro compagnia. Probabilmente non se lo ricorderanno nemmeno... ma forse qualcosa glielo trasmetti uguale e, da qualche parte, sedimenta. E resterà".
Quel padre maturo d'un figlio ormai grande non è propriamente un amico (poco meno di vent'anni d'età ci separano - praticamente una generazione) ma un grande uomo che ho sempre ammirato, un po' da lontano.
Ne ero certo, ma oggi quell'affetto distante si è rivelato ben riposto.
Tra i regali che mi ha fatto in pochi minuti di conversazione, ne scelgo uno soltanto: quella luce tremolante tra le palpebre (che non era né nostalgia né emozione. Era una bellissima consapevolezza di sé).
Marco B. non sa che i miei figli ormai leggono e vanno in bicicletta senza bisogno di me.

lunedì 8 febbraio 2010

Gli accessori del babbo (13): la punizione

Napoli, stadio San Paolo. La folla è immobile e trattiene il respiro mentre il numero 10 mette giù la palla.
La rincorsa è corta, tonda, morbida.
La palla parte e va.



E l'urlo esplode!...
...zap...
Off.
Nero.

Non capisco molto di pallone e infatti la punizione che intendevo io non era quella.
La punizione che intendo io, anche se ha un modo simile all'altra di fendere l'aria, racconta un mondo diverso, emozioni e sentimenti che proprio non potevano combaciare. Una serata storta, un comportamento che non va, bizze solo per farne, senza motivo.
Qualcosa del genere.

Per la precisione: il momento esatto in cui l'arbitro fischia e interrompe il fluire della partita perché si è accorto che qualcosa non va.
E lo deve far notare. E' il suo mestiere.
Questo intendo: non solo il calcio di punizione che sanziona la scorrettezza e dal quale può scaturire una nuova azione. Il proseguimento del gioco, no.
A me interessa proprio l'attimo del fischio, quando cioè il padre finalmente prende corpo ed entra in gioco (ah, per quanti anni, in molte famiglie, tutta 'sta roba era di competenza femminile!...) e si rende conto di quanto sia importante fischiare.
Quanto sia importante spiegare quale fosse l'irregolarità.
Quanto sia fondamentale applicare alla lettera il regolamento e comminare la punizione.

Ultimamente la strategia è proprio questa: premi ed incentivi per i comportamenti virtuosi, fermezza assoluta nell'applicare la pena per i comportamenti sbagliati (niente tv oppure niente computer oppure tutti e due).
Insomma trovare una strada e percorrerla, senza isteria, soltanto con fermezza.
Beh, funziona.
Sta funzionando, soprattutto nell'uomo piccolo che ha trovato il giusto solido contenimento alla sua fortissima insofferenza per le regole. E una tranquillità emotiva che prima non aveva.
L'idea di una privazione (seppur minima e momentanea) gli ha chiarito il senso del perché bisogna rispondere delle proprie azioni: "se faccio qualcosa di sbagliato, la reazione opposta e contraria causa una precisa conseguenza".
Tangibile, misurabile, certa.
Il mondo si fa un pochino più preciso.

L'arbitro sta imparando a gestire la partita. Il numero 10 mette giù la palla.
Misura a brevi passi la distanza che lo separa dalla giusta rincorsa.
Poi... calcia.
E la traiettoria è morbida e serena.
Tonda.
Gol.

sabato 6 febbraio 2010

Tempus fugit

Stasera, nella penombra rinascimentale della nostra via, incrociamo la mamma di G., un compagno di materna dell'uomo piccolo.
"Ehi, ma guarda l'uomo piccolo com'è diventato grande!", ci saluta lei.

"Babbo, ma chi era"?!
"La mamma di G. Te lo ricordi G., vero"?
"No, babbo, non me lo ricordo".
"Ma come, uomo piccolo! Eravate insieme alla materna".
"... eh, va beh, ma è passato tanto tempo da quando ero alla materna"!!!

L'uomo piccolo.
Prima elementare...

venerdì 5 febbraio 2010

Voppa

Come non commuoversi, alle prime parole dei propri pargoletti?!
Come non sdilinquirsi e farne un post? Qui.

Come da manuale, prima "mamma" poi "babbo". Mai viceversa, eh?

Ecco, allora..., mi chiedo e mi domando: perché la donna grande, quando pronunciò la sua prima parola, all'epoca, optò per voppa?! Che, tradotto in un lemma comprensibile alla maggior parte, sta per "volpe".

Cosa ci voleva dire?
Che trauma c'era sotto?
Che abbiamo fatto noi per meritarci questo???

Chiii?!

Perdonate la mia ignoranza.
Ma chiii diavolo è, 'sto Morgan?!?!

mercoledì 3 febbraio 2010

ZanTip

Tra le innovazioni possibili che, in forma di applet, sono disponibili per i nostri blog mi è capitato di leggere questo.
Mi è molto piaciuta l'idea: è molto utile, è molto divertente.
Da qualche giorno l'ho inserita, funziona.
Basta cliccare due volte su una parola e una magica finestra si aprirà rivelando la definizione della parola stessa, tratta dal dizionario Zingarelli 2010.
Sulla pagina dedicata al servizio, nel sito dell'editore, qualche spiegazione in più e l'elenco (in continuo aggiornamento) dei blog e dei siti che offrono ZanTip. Se volete inserirlo nel vostro blog, sulla medesima pagina il link per farne richiesta.

martedì 2 febbraio 2010

Vita bassa

Il quesito, stasera, è da Gianini Belotti oppure da Lipperini, fate voi.
Insomma, (ancora) dalla parte delle bambine.
Perché stasera la donna grande arriva e, travolta da una botta di shopping della profe, trova alcune nuove paia di pantaloni.
Uno in particolare la colpisce: pantalone a vita bassa.
Yeah.
Lo misura immediatamente e, saggia donna, subito si trova a disagio: "ma perché li fanno così scomodi questi pantaloni?! Se me li tiro su, mi danno noia sotto".
Perché, in realtà, il giro vita, nel corpo umano, sta un po' più in alto di dove lo posizionano quelli che tagliano i pantaloni alla moda.
Così, su due piedi e senza tentennamenti, la donna grande ha deciso: i "suoi" pantaloni non li vuole e in cambio piglia quelli dell'uomo piccolo che hanno la vita dove deve stare. Comoda, al posto giusto, senza forzature.
Cresce bene, la donna grande.
Idee chiare...
J'adore.
E, soprattutto: perché i pantaloni per le bambine di otto anni hanno già la vita bassa (mentre quelli "da maschio" no)?!?!
Cosa devono lasciare scoperto, le bambine???

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