lunedì 18 gennaio 2016

Chiudere "Il Cerchio"

"Non è che non socializzo. Io sono abbastanza socievole. Ma gli strumenti che create voi in realtà producono bisogni di socialità innaturalmente estremi. Nessuno ha davvero bisogno del numero di contatti che fornite voi. Non porta a nessun miglioramento. Non è nutriente. E' come le merendine. Sai come le studiano? Determinano con scientifica precisione di quanto sale e quanti grassi hanno bisogno per farti continuare a mangiare. Tu non hai fame, non senti il bisogno di mangiare, quello che hai davanti non ti stuzzica, ma continui a mangiare queste calorie vuote. Ecco quello che spacciate voi. La stessa cosa. Un numero incalcolabile di calorie vuote, il loro equivalente digitale e sociale. E le calibrate in modo tale da rendere altrettanto dipendenti i loro consumatori".
(Dave Eggers, "Il Cerchio", Mondadori, 2014, pagg. 110-111).

venerdì 15 gennaio 2016

Ashley Olsen

Io Ashley Olsen non la conoscevo. Pur vivendo nella stessa città (una città tutto sommato piccola, dove in questi anni ho sperimentato di continuo l'incrociarsi di amicizie e conoscenze - "Firenze è piccola" diciamo tutti) non credo nemmeno mi sia mai capitato di incrociarla per strada. La sua vita era probabilmente quanto di più lontano dalla mia, quasi un altro pianeta.
Eppure per giorni, ed ho aspettato giorni a scriverne, mi sono chiesto perché questo omicidio mi avesse immediatamente colpito con tanto dolore. Ho pensato subito la solita formuletta banale - "uomini che odiano le donne" - e sapevo di averci azzeccato.
Uomini che pensano di averne il "possesso", uomini violenti perché in fondo le donne sono attributi e se ne possono liberare con una spinta, con una manata. Via!
Purtroppo, purtroppo, purtroppo avevo ragione. Una facile profezia, oltretutto: in questo tipo di vicende c'è quasi sempre una violenta mano maschile che colpisce.
Non frequento facebook o altri luoghi simili (mi limito a twitter) ma mi è capitato di leggere, ad esempio proprio qui, di deliranti offese alla sua memoria. "Oltre al femminicidio", si dice in quel post, "anche l'onta del se l'è cercata".
Il disprezzo totale di una morte bestiale in cambio di una crocifissione postuma: come ci piace la vendetta e il fango che vola da una parte all'altra... Sembra quasi che il "sessismo" sia il vero centro, il vero argomento. Il bullismo degli adulti, di CERTI adulti, che non hanno fatto in tempo a praticarlo altrove. O forse lo praticano ogni giorno senza che alcuna istituzione, alcun osservatorio se ne occupi.

E poi il peso, tutto cattolico, del 'giudizio'. Dove c'è qualcuno che divide il grano dal loglio e fa giustizia. Sparlando, infangando la memoria della/e vittima/e, violentando persino la morte.
Ci ho messo una vita intera (e continuo a farlo ancora, ogni giorno) per liberarmi della mia asfissiante educazione cattolica piena di gelosie, invidie, (pre)giudizi, ignoranza, meschinità, del dio terribile e vendicativo della bibbia. E ci ho messo una vita a capire quanto quel tipo di giudizio non serva a niente e non sia altro che una 'condanna'. E non c'è perdono, non c'è pietà umana, se nemmeno dopo la morte una donna, morta come è morta Ashley (quasi con nonchalance, nelle prime dichiarazioni dell'assassino...), può avere RISPETTO.

(Parentesi. Che razza di uomo sono, io, se dopo i primi articoli di giornale - molti di essi morbosi, voyeristici, nella sostanza colpevolisti verso la vittima! - anch'io sono stato sfiorato da quel sospetto?: "Certo, però, che vita sconclusionata. Forse se l'è cercata". Che razza di uomo sono, io, se malgrado tutto, malgrado rivendichi il mio pensiero, ho per un attimo fatto lo stesso volgare pensiero di tanti? Allora credo ci sia un lungo cammino ancora da fare. Un cammino però non difficile se certe orrende vicende ci fanno porre domande e ci fanno dare risposte, anche quando crediamo di essere immuni dal sessismo. Forse un cammino a cui, ogni povera vittima, aggiunge un tassello di consapevolezza. Fintanto che bisognerà che smettano di esserci vittime e la nostra consapevolezza di uomini ce la troviamo dentro noi stessi: "che razza di uomo sono, io?".)

Io di Ashley non so nulla e, almeno in questo caso, non mi interessa sapere. Non mi interessa portare fiori al suo portone o creare quei ridicoli hashtag tipo #prayfor.
A me piacerebbe, intanto, che una donna possa essere libera davvero come chiunque altro. Come un uomo, anche se spesso noi uomini dimostriamo di non meritarcela, la nostra libera libertà.
Che una donna possa tornare a casa una notte in compagnia di qualcuno che si è scelta e svegliarsi ancora, il mattino dopo. Come un uomo.
Che una donna possa interpretare a suo modo la propria esistenza. Come un uomo.
Che una donna non debba mai sentirsi sporca. A differenza di un uomo.
Non ci sarà libertà fintanto che ad una donna si affibbierà qualche epiteto volgare e violento solo perché è donna. Solo perché ci sfugge e non si fa "possedere" come oggetto, dal maschio.
Io spero allora, infine, che Ashley non riposi affatto in pace ma venga a tormentarci l'anima quando ci comportiamo da benpensanti, quando qualche delirio ci fa anche solo per un momento confondere i pensieri, quando ribaltiamo senza pudore il ruolo di carnefice con quello di vittima e quello della vittima liquidato con "se l'è cercata".
Spero vivamente che Ashley, con quello spirito allegro e solare che pare la guidasse, ci visiti ancora a lungo e ci faccia stare scomodi nei nostri panni. Me, senz'altro.
Spero anche vada a svegliare la notte quei beceri ignoranti cafoni che ne offendono la memoria.

giovedì 7 gennaio 2016

Fantasmi

Avvertenza. Questo non è un articolo pieno di grafici e numeri e tabelle che corroborano la notizia, dimostrando cioè che essa è "numericamente" rilevante. Non è nemmeno uno di quei pezzi di fact checking journalism (come parliamo tutti forbiti...) nel senso che non ho intervistato parte e controparte né citerò fonti o bibliografia. Questa è una piccola, insignificante storia. Che però accade, senza numeri. E' accaduta stamane. Prendetela come una storia, anzi come un racconto di fantasmi, di ectoplasmi evanescenti. Di quelli che si racconta(va)no accanto al fuoco, nelle serate invernali. E spero, crediate o no ai fantasmi, che vi faccia almeno un po' paura.

Càpita che un amico, malato da tanto tempo, ci lasci. Muoia.
La vita è come una scatola di cioccolatini, diceva la mamma di Forrest Gump, non sai mai cosa ti càpita. Qualche volta ti càpitano lacrime e dolore e condividerli ci fa sentire meno soli. Più umani, direbbe qualcun altro o diremmo noi.
Così accade che le persone sentano il bisogno, prima ancora che il dovere, di stare accanto a chi resta colpito dal lutto e di partecipare, esse stesse, alla cerimonia funebre.
C'era una volta (ecco che subentra la narrazione) un semplice metodo: si chiedeva un permesso al lavoro e, di norma, veniva concesso il "privilegio" di assentarsi. Per lutto.
Ammettiamo, in questa storia, che il protagonista possa essere un lavoratore del pubblico impiego. Mettiamo che si tratti, che so io, di un insegnante. Per di più, di uno di quegli insegnanti motivati, partecipi, membro di innumerevoli commissioni. Non un lavativo, insomma, ma uno di quelli che lavorano con coscienza. E nemmeno 'uno' ma 'una'.
Profe.
E la profe, ligissima al dovere come ogni giorno, ha chiesto il permesso, a preside e vice-preside. Facendolo per tempo: il funerale era stamani e ieri, pur in giornata di festa, si è attivata e si è messa in contatto per avvisare. Con l'anticipo possibile, vista la situazione. Nessuna risposta ieri, malgrado la mail (o meglio, una non-risposta via sms dalla vice, 'spallatonda'). Stamattina invece una bella risposta telefonica. E la risposta, ufficiale, della preside, è "no".
"Comunque le porgo le mie condoglianze, cara profe".
Eccolo, il livello delle persone.
Sia chiaro, chiarissimo, che la dirigenza ha ragione da vendere, in questa storia. Perché esiste una circolare interna alla scuola in questione in cui si dice che non ci si può assentare (nemmeno per motivi gravi ed improvvisi come un lutto?, aggiungo io) se non con un preavviso di giorni 3.
Quindi la storia è già finita?
Chissà...

Antefatto. Durante una riunione in cui la circolare è stata discussa (niente tabelle né check facting, mi spiace), la dirigente scolastica, forte del suo sacrosanto ruolo, ha dichiarato appunto che, da quella circolare in poi, sarebbero stati necessari 3 giorni di preavviso per qualsiasi richiesta di permesso. Quando la RSU ha fatto notare che ci potevano essere casi in cui non sarebbe stato possibile avvisare 3 giorni prima, la preside, forte del suo sacrosanto ruolo, ha ribattuto che "se 3 vi sembran troppi, allora facciamo 5".
Eccolo il clima, della storia.

Ora io non credo che le responsabilità dei "climi" e dei loro cambiamenti siano mai di uno e di uno soltanto. Non immagino che la cosiddetta "buona scuola" abbia già messo in moto tali meccanismi di uso del potere da parte di questi piccoli burocrati meschini che sanno essere alcuni dirigenti scolastici. Immagino che i cambiamenti hanno sempre storie lunghe e percorsi che partono da lontano. Eppure, a sentir raccontare chi nella scuola ci lavora oppure le rappresentanze sindacali, qualche gelido soffio di dirigismo affiora. Ora comandano.
Il potere logora chi non ce l'ha, diceva uno dei peggiori, ma il piccolo potere di certi ottusi inservienti della burocrazia a me pare, sinceramente, ancora più laido. Più meschino e più solitario. In qualche modo, se la parola avesse un senso, più "inutile". Una forma di debolezza e di mediocrità che a me, opinione personale, sembra la cifra distintiva e peculiare di un "nuovo" modo di pensare, di fare, di agire nella società. Una mediocrità che sta diventando la sostanza stessa dei rapporti (legali, sociali, politici e ancor di più umani) che ci legano, cittadino con cittadino, persona con persona.
Sappiamo anche che, in tempi in cui le condizioni materiali di molti sono peggiorate rispetto alle ragionevoli aspettative o agli standard, si risponde restrigendo i diritti degli altri in modo che il peggio sia comune. Si abbassa il livello, nello spirito del "mal comune, mezzo gaudio"...
Niente da dire, nell'economia della nostra storia di fantasmi: la mediocrità può essere liberamente esercitata e chi si trova a subirne le conseguenze sa che deve adeguarsi. Contratto e regole alla mano.
Possiamo però vederle, queste persone grette e tronfie, nascoste dietro la loro cattedra, che esercitano con fermezza il loro piccolo e insignificante nulla. E possiamo raccontare delle piccole insignificanti storie. E dobbiamo (nel senso che questo invece è proprio un 'dovere civico') tenere sempre a mente chi ci troviamo di fronte. Ed averne l'opinione che si merita.

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