giovedì 29 dicembre 2011

Il campo invernale

A giudicare dalla lussuosa indifferenza con la quale siamo stati accolti al rientro dal  suo primo campo invernale (che, nel frattempo, sarebbe potuto trasformarsi in tragedia visto che la donna grande ha la bronchite e l'uomo piccolo l'ha dovuto affrontare senza "supporti emotivi") direi che l'esperienza si è svolta positivamente. O senza traumi, almeno.
- Uomo piccolo, hai avuto un po' di nostalgia?
- Sì, babbo, tantissima. Vedi, questa è una scala: c'è l'1, il 2 e il 3. E vedi dove tocca il mio dito?
- Sì, uomo piccolo, tocca il 3. Non vorrai mica dire che la nostalgia è stata di livello massimo?!
- Certo, babbo. Il massimo...
- E allora hai avuto voglia di piangere? Hai pianto un pochettino?...
- (scrollata di spalle) Neanche un po', babbo.

Insomma, come sempre, gli adulti si macerano, son lì che pensano e ripensano (magari un po' segretamente) temendo che "quella" telefonata prima o poi arrivi e invece quei piccoli esseri trovano le loro grandi emozioni e le governano come meglio non si potrebbe. Una filastrocca ossessivamente ripetuta (l'uomo grande è campione universale di reiterazioni ossessive...), mettere in mostra la promessa (sarebbe il fazzolettone che gli scout portano al collo) come il vero trofeo del campo, appartarsi con quello che abbiamo capito essere stato l'amico di giornata per un ultimo saluto, tutto fa parte di un rito liberatorio: quello di essere rientrato in famiglia avendo superato brillantemente la prova.
Ché di sorella maggiore ce n'è una sola e riuscire a fare qualcosa prima e senza di lei è la più grande delle conquiste. Per ora la donna grande ha dato uno sguardo distratto alla promessa: solo per un attimo ha temuto di essere l'unica del branco a non averla ancora. Poi, quando ha capito che diversi erano i bambini ad aver saltato il campo, si è tranquillizzata. Ha ripreso la sua strada, guardando l'uomo piccolo con la solita prospettiva. Dall'alto in basso.
Vediamo se nei prossimi giorni l'uomo piccolo dimostrerà di aver fatto tesoro di questo piccolo traguardo o se la sua esistenza sarà, come al solito, subordinata al pollice-su o pollice-verso della donna grande.
Per ora, dorme di là beato nel suo letto. La promessa ce l'avuta al collo fino a due secondi prima di mettersi sotto le coperte.
Quando ha deciso che era arrivato il momento di toglierla è crollato addormentato. All'istante.
Missione compiuta, per adesso. E buonanotte!

lunedì 12 dicembre 2011

Filastrocche

Cantilenando:
"Sotto il ponte di Verona
C'è una vecchia scureggiona.
Ne fa una al limone
Fa puzzar tutto il Giappone.
Ne fa una all'arancia
Fa puzzar tutta la Francia.
Ne fa una al caffè
Fa-pu-zza-re-pro-prio-te".

........

Comincia bene, la settimana. No?!

venerdì 9 dicembre 2011

Sport per tutti

Ci siamo fatti prendere la mano, quest'anno.
Cioè, non che avessimo mai rinunciato alle attività extrascolastiche (la celeberrima "piscina con tutti e due un pomeriggio a settimana", citata persino nel mio profilo...) ma stavolta abbiamo davvero esagerato.
La piscina è diventata per uno soltanto, è vero, però in compenso abbiamo messo in cantiere (e stiamo facendo): palestra di arrampicata sportiva, evoluzioni aeree sui teli e lezioni di inglese la donna grande; piscina e judo l'uomo piccolo. Per i fine-settimana (in effetti ci sentivamo un po' scarichi...), come già anticipato qui, ci siamo dati allo scoutismo.
Le nostre settimane volano via come alianti impazziti, ruzzolano, si avvitano, precipitano per poi risalire. E viceversa.
Più viceversa, che altro...
Quasi mai riusciamo a tirare il fiato, per capire davvero cosa stiano facendo e, soprattutto, se quel che fanno sia di loro gradimento "vero", se gli faccia bene o meno, se siano contenti, se stiano facendo progressi. Boh.
Un'agenda fittissima di impegni, praticamente c'è qualcosa da fare (quindi un dove verso il quale correre) tutti i giorni tranne il lunedì, che ci impedisce di fare persino le cose basilari.
Un esempio? L'uomo piccolo non ha più una capigliatura sulla testa ma un cespo ribelle. Invece di cercare pidocchi o lendini, come è sempre successo nelle teste dei bambini, nella sua ormai siamo a caccia di fagiani. Potrebbero benissimo starcene un paio, in quella giungla! Eppure non si riesce a portarlo da un barbiere. E sono settimane, giuro, che ci stiamo provando.
Chissà, se prima o poi.
Nel frattempo aspettiamo le vacanze natalizie per fare il punto. La donna grande, è deciso, abbandonerà le sue evoluzioni aeree. L'uomo piccolo dirà addio al nuoto. Così contiamo di cominciare l'anno nuovo un po' più leggeri, meno frenetici e con la possibilità di godere di quel che fanno.
Eh sì perché sia gli scout che il judo sembrano essere "la scarpa per il suo piede", come si dice qui da noi: entusiasmo massimo su entrambi i fronti (mentre la donna grande ha dimostrato passione e predisposizione all'arrampicata già dai tempi del seggiolone per cui anche la sua palestra di arrampicata non è in discussione).
Insomma, cercheremo di ragionare invece di correre a destra e a manca come dei folli. Cercheremo anche di capire cosa stiamo facendo, dove e perché.
Speriamo.

mercoledì 7 dicembre 2011

Reminiscenze estive (in autunno)

Non c'è niente da fare.
Puoi essere presente quanto vuoi. Puoi cambiargli i pannolini. Puoi dargli da mangiare, foss'anche una sola volta in vita tua.
Puoi accompagnarli a scuola. Puoi portarli in piscina due volte la settimana.
Puoi persino fare il rappresentante di classe. Andare a tutte le riunioni sulla scuola, sulla riforma Gelmini, dei Cobas, della CGIL, del Tavolo Regionale sulla Scuola Pubblica. Potresti addirittura avere la balzana idea di metterti a capo di un Comitato di Genitori. E lo fai.
Eppure arriverà prima o poi una torrida serata di fine estate. In cui il caldo si appiccica alla pelle come una sanguisuga. E tu passi la serata a tavola con tua moglie (nel caso specifico, naturalmente, la profe) e una comune amica. E si chiacchiera delle vacanze appena trascorse, della scuola che sta per ricominciare, dei pargoli e dei comuni problemi educativi.
E mentre tu ripensi che hai anche scarrozzato i tuoi deliziosi pargoletti su e giù per le Dolomiti dentro uno zaino quando erano infanti. Fatto di tutto perché, una volta usciti da quello zaino, si appassionassero a camminare sulle loro stesse gambette, su e giù per quegli stessi monti.
Non c'è niente da fare.
Mentre accade tutto questo, nel momento esatto in cui ti dici "beh, in fondo non ho fatto proprio così schifo, come babbo. Almeno fino ad oggi", ecco che salta fuori una sacrosanta verità: "certo, voi uomini. Non fate proprio niente, eh?!".
Per fortuna che ci sono, le donne.

lunedì 5 dicembre 2011

Questioni storiche

Storia.
La Terra prima dell'uomo.
"Con un singolo morso, un tirannosauro poteva frantumare più di 200 chili di carne e ossa".
- Babbo, tu quanto pesi?
- Beh, io sono anche abbastanza grosso, uomo piccolo, direi all'incirca 80 chili (clamorosa sottostima, d'altronde; eheheh).
- Un morsetto, qualche masticatina e via.

Uno li alleva, gli cambia i pannolini, li scarrozza di qua e di là, li fa (letteralmente) studiare, ci scrive sopra un blog.
E quelli ti mettono tra le fauci di un t-rex. Come stuzzichino...

mercoledì 30 novembre 2011

Ehi, babbi, siamo famosi!!!

Mah.
Che dire?
Qualcuno finalmente si accorge dei babbi blogger. Qui.

Oh, è Repubblica eh!, mica La Gazzetta di Roccacannuccia.
In prima pagina.... Svengo.

Insomma, siamo famosi babbi!
E siamo contenti, nevvero?! :)

martedì 29 novembre 2011

È dura essere un uomo piccolo

Certe volte l'uomo piccolo è proprio insopportabile: basta invitare un amico, basta che la giornata sia andata un pochino storta (un rimprovero dalla maestra?...), basta la solita stanchezza serale o sul finire della settimana che diventa ingestibile. Urlante, ipercinetico ed eccitato, non capisce più niente. Confessa senza remore che, in quei casi, è in preda a una specie di trance.
"Ma io non ce la faccio a darmi una regolata, come vorreste voi".
Non riesce a riprendere il bandolo di un comportamento accettabile.
Quando capitano serate così mi sento davvero stretto in un angolo. In preda a pensieri balordi sul fatto che allora bisognerebbe essere ancora più inflessibili, che le punizioni non sono mai troppe, che forse è un bambino amplificato e allora ci vorrebbe l'intervento di un esperto. Uno vero, non un semplice genitore... Per di più impotente.
Certo, se uno ci riflette un attimo si rende conto che, dal suo punto di vista, è davvero dura essere un uomo piccolo. Che tanti sono gli elementi che lo disturbano, che ne turbano l'equilibrio. In effetti l'uomo piccolo è un congegno piuttosto delicato: un tenero puffo ancora dedito alla coccola pre-nanna, allo stropicciamento totale con l'adulto che perde ogni ritegno riportato nel suo elemento, l'essere un "semplice" ragazzino.
È quella identità che ancora ondeggia e barcolla, sono le sue paure che si affacciano dietro quegli strepiti serali, l'insicurezza lo spinge oltre il confine.
Se l'adulto di turno si chiede allora cosa stia succedendo e non riesce a darsi risposte adeguate, forse è il caso di continuare a cercare. Di capire. Di andare avanti nel costruire piccoli mattoni, nel mettere in campo pazienza e comprensione. Perché se è difficile sapere cosa fare, è davvero tremendo non conoscersi ancora del tutto.

lunedì 28 novembre 2011

A volte, ci sono padri

A volte negli occhi dei padri si vede come un velo, quando parlano dei figli.
Forse una distanza ("se ne occupa mia moglie, in fondo, e va bene così"). Oppure "non li capisco, non sembrano quasi essere figli miei" che è esattamente la stessa cosa.
Forse un rimpianto, come di qualcosa andato "storto" ma che ora è difficile, molto difficile, raddrizzare.
Altre volte c'è una complicità (soprattutto quando i figli sono adolescenti) giovanilistica, un'amicizia paritaria che facilmente può essere fraintesa. E sfuggire alle regole, ai ruoli, ai compiti.
Ci sono padri presenti che vivono la responsabilità come un peso schiacciante. Come una fuga da tutto il resto. Come un cercare se stessi in quel nuovo "lavoro".
Alcune volte silenzi ottusi che interrogano senza fine, domande che si rincorrono e che sembrano senza risposta ma anche, scusandomi per l'involontario bisticcio di parole, anche senza domande.
Padri che c'erano e oggi non ci sono più. Padri che non ci sono mai stati. Padri-ragazzini che chiedono comprensione come se si trovassero di fronte a un genitore altro da sé.
Padri che fanno a gara nel conquistare vette che non avevano bisogno di essere scalate. Padri che nemmeno ci hanno mai provato, sconfitti dalla fatica del solo pensarci.
Padri che scompaiono, nascosti dietro se stessi o dietro qualcun altro che li sostituisce.
Padri che hanno i figli all'altro capo del cellulare, ogni tanto, ogni qual volta. Spesso o poco, chissà.
A volte guardo me stesso e mi dico chissà quante altre volte inciamperò e ogni volta che fatica ma anche che grande conquista rialzarsi. E ricominciare.

mercoledì 23 novembre 2011

Uomini al bar

Stasera, io e l'uomo piccolo seduti al tavolo di un locale. Uno di quelli dove, dopo una certa ora, si radunano orde di adolescenti con gli ormoni in orbita.
Ci siamo sentiti, almeno io, davvero "in".
L'uomo piccolo sgranocchiava patatine da un sacchetto prima di entrare in piscina (chissà cosa ne penserà la profe...), il sottoscritto sorseggiava acqua. Via, anche un caffè.
Una semplice domanda, spesso elusa dalla noia ("come è andata oggi a scuola?"), ha scatenato invece un racconto appassionato e pieno di dettagli.
Anche l'uomo piccolo cresce, sale la strada che lo porta un po' più lontano di ieri. Le parole scelte con cura, le osservazioni sui comportamenti di una nuova supplente, l'emozione per il saluto di un amico che fino al giorno prima nemmeno lo guardava, l'orgoglio di aver portato in classe "quel libro sui dinosauri che abbiamo guardato tutto il giorno". La maestra era contenta, dice l'uomo piccolo, e lui gongola. Nella certezza di aver trovato un centro.
Con quella zazzera esagerata, con ciocche che vanno in ogni dove, sembra un ragazzino più grande della sua età. Un piccolo uomo.
Appunto.
Un uomo piccolo. E davvero divertente.

domenica 20 novembre 2011

Gli accessori del babbo (20): il sussidiario

Perché non te le ricordavi, le tue domeniche di quinta elementare. D'inverno, quando il mare soffiava umido verso la città. E il sussidiario era un libro divulgativo rispetto alla complessità multidisciplinare di oggi.
Così hai potuto millantare quanto tu fossi veloce e ligio, nel fare i compiti, sempre da solo, senza genitori a ronzarti intorno. E, dopo che li avevi finiti, via a giocare, ad appiccicare figurine in un album (la stagione delle raccolte adesive era più o meno la medesima di questa), a spostare soldatini dentro un forte di compensato.
Questo hai detto, per scalfire la noia dei tuoi pargoli e istigarli a "darsi da fare".
In realtà stare lì, sotto le coperte, a ripassare l'antica Grecia, la geografia (fisica, demografica ed economica) del Piemonte, i cinque sensi con tutti quei nervi che trasportano stimoli elettro-chimici fin dentro il cervello è stata una gran bella cosa. Un'immersione totale dentro un mondo lontano, non tanto antico o moderno ma proprio distante.
Una distanza abissale, di metodi, di tempi, di cultura. Persino il Piemonte sembra cambiato, visto dall'oggi.
E rotolarsi con quei due, uno alla volta per non mescolare materie e programmi, come due compagni di classe è un privilegio di valore inestimabile: vedere uno sguardo che guizza quando la mente ha trovato la parola esatta, cogliere l'incertezza di fronte ad un accento difficile, ridere assieme di una parola storpiata in maniera irresistibile è più di un regalo. Più di un premio, forse un impegno. Leggero, tenue come un alito di zefiro.
E domani, il lunedì, sarà più facile. Senz'altro.

martedì 1 novembre 2011

Pensieri su strade bianche

Oggi la donna grande era su un altro pianeta. Ha camminato quasi tutto il giorno a testa bassa, capelli sugli occhi.
Pensava.
Trascinava i piedi ma senza noia, senza ritrosia. Era solo un'andatura, un modo di procedere.
La donna grande, come dice la parola stessa, sta diventando grande. Sempre di più. Pensa, comincia a impigrire, prova a fare qualche resistenza ai programmi imposti dall'alto. Una sorta di preadolescenza. Ormai, si vede lontano un miglio. Anche standole accanto. E coccolandola, dentro i suoi silenzi.
Oggi, però, la giornata è stata quasi magica. Sarà stato il tempo, tutto sommato clemente e caldino. Sarà stata la passeggiata, organizzata dagli amici del cuore (e per fortuna che nei cuori ci si sta tutti, in tanti...), la campagna colorata come in un Van Gogh.
Perché il Chianti, al di là delle cartoline o proprio per quelle, è davvero qualcosa di unico. Vigne e rossi e gialli e querce e cinte senesi brade al pascolo e tronchi tagliati che stillano resina profumata e borghetti che si vedono sui crinali come sull'onde. Insomma, paesaggio da sogno e passeggiata dolce, su strade bianche.
Qualcosa tipo questo:

domenica 30 ottobre 2011

Colpi bassi

"Eh no, mamma, tu non ci sai proprio fare con l'ironia".
Parola di donna grande.

giovedì 20 ottobre 2011

E' passata catena!

No, non stiamo parlando di una riedizione in DVD Blu-Ray del classico "Radici". Né delle catene da perdere in una qualche rivoluzione. E neppure dell'ennesimo prodotto della famiglia Fiorello.
"E' passata catena" vuol dire che ora siamo negli scout. Cioè, ad essere precisi, sono i pargoli che sono negli scout, da nemmeno una settimana, hanno già fatto la loro prima giornata in tana e domenica prossima ci aspetta la caccia.
Così, ieri sera è passata catena ovvero "la" (per antonomasia) successione di telefonate con le quali ogni bambino passa al suo compagno di gruppo la notizia che arriva da akela. Che in tempi di tecnologia suona davvero con un clangore fuori dal tempo eppure i vecchi lupi ci confermano che, quando ancora il mail era di là da venire, i gruppi scout hanno sempre fatto così. E tutto ha funzionato, ogni informazione è riuscita a sopravvivere. Ormai gli scout, nel mondo, hanno più di cent'anni. In barba al mail.
Insomma, l'evento clamoroso non sta tanto nella telefonata in sé. Sta piuttosto nella reazione dei pargoli.
Va premesso che i due, pur essendo tecnologicamente più che alfabetizzati (mail, appunto, ma anche giochi su internet, nintendi vari, mario bros e chi più ne ha più ne metta), hanno una fortissima idiosincrasia col telefono. Lontano anni luce dalla scena di "Caro diario" in cui un Nanni Moretti costernato aveva a che fare sempre con dei bambini che rispondevano al telefono, i nostri pargoli non hanno mai familiarizzato col ferrovecchio di Meucci: non rispondono mai quando squilla, non amano usarlo per parlare con amici o parenti lontani, ne hanno quasi un timore reverenziale.
Invece ieri sera, non appena ha squillato, è partito il grido di giubilo: "è la catena, è la catena. Ci chiamano per la caccia di domenica"!
E così è andata: immediatamente dopo aver preso appunti (vedere il casinista uomo piccolo prendere carta e penna e appuntarsi diligentemente tutto quanto veniva detto dal suo compagno telefonico mi ha creato un certo sconcerto. Mi ha fatto anche capire come le cose fatte e imparate da sé abbiano un valore che nessun "insegnamento" può eguagliare), l'uomo piccolo è corso alla lavagnetta dove ci sono i numeri di telefono del gruppo. Ha composto il numero sulla tastiera, quasi senza aiuto, ed ha chiamato akela per dire che la catena era passata anzi, con lui, si era chiuso il cerchio telefonico.
"Sì, tutto a posto. Pronto?! E' passata catena. Ci vediamo domenica, vero?... La parola d'ordine è 'abbecedario'. No,... sono l'uomo piccolo".
Insomma, si era persino dimenticato di dire il suo nome, tanto era l'entusiasmo.

La donna grande, invece (perché in tutto questo entusiasmo generalizzato, i due sono pure in due gruppi diversi), ha raccolto la sua telefonata con il solito aplomb. Ha preso appunti sul solito foglio (ha immediatamente rinfacciato al fratello di essere stata molto più precisa e ordinata, nello scrivere - ah, un po' di santa cattiveria!), dopo aver chiuso il telefono ha riletto ogni cosa per capire meglio di cosa si stesse parlando. Poi ha guardato l'elenco dei numeri telefonici e individuato chi dovesse chiamare.
"Pronto, sono la donna grande. Sì, mi ha chiamato la mia compagna di gruppo per dirmi che domenica c'è la caccia. Volevo dirti che mi ha detto questo e quest'altro e bla bla e bla bla. Sì, certo: pranzo al sacco. Sì, biglietto dell'autobus. Due, sì certo...... Come, parola d'ordine?!... Quale parola d'ordine"?!?!?!
E' rimasta di sasso. La sua compagna si era dimenticata di lasciarle la parola d'ordine.
Se questo è l'effetto, il primo giro di telefonate scout, li lascia strafatti di emozioni, 'sti pargoli.E domenica, prima caccia.

P.s.: per tutti quelli che, come me, degli scout non hanno mai saputo niente, nelle prossime puntate cercherò di svelare il significato di alcuni termini che possono sembrare esoterici. ("Akela" proprio vi è rimasto sullo stomaco, eh?!). :)

venerdì 2 settembre 2011

Altri tempi

Giornata d'altri tempi, oggi. Mentre la profe professava la sua professione altrove, tra collegio dei docenti ed esami di riparazione, il sottoscritto si caricava sulle (metaforiche) spalle ben quattro pargoli (ai due d'ordinanza s'erano aggiunti un paio di amichetti), faceva uno zaino di mera sussistenza (acqua e qualche biscotto - quasi come Pollicino) e partiva lancia in resta, deciso a farli sganzare al fiume. Sì, eravamo in campagna e passeggiare lungo il fiume è una cosa della massima naturalezza, quasi come l'asfalto in città. Non c'è nemmeno stato bisogno di convincerli: è bastato pronunciare la parola 'fiume' ed è partita, immediata, l'ovazione. In due minuti erano tutti pronti a partire: lavati, vestiti, calzati come si deve. La passeggiata è iniziata come la spedizione dei Mille: nel tripudio generale. Urrà, evviva, cappelli per aria. Davvero, mancava solo lo sventolio del tricolore. Inoltre, nella mia infinita magnanimità, avevo promesso una giornata "rules-free": nessun massacramento di maroni, libertà assoluta, niente impedimenti ad un sano divertimento, alcuna censura. Soltanto due semplici raccomandazioni: rispetto del pericolo (traduzione: non voglio cazz.... ehm, cavolate) e immediato ritorno a casa (per cambiarsi con qualcosa di asciutto, of course) in caso di caduta in acqua. Insomma, mi sono sentito un vero pioniere della babbitudine, un genitore di un'epoca scomparsa (la mia e quella dei miei fratelli, visto che siamo, appunto, quattro) con una siffatta carovana di ultraminorenni al seguito. Ci siamo divertiti, abbiamo costruito ponti coi sassi tra le sponde, abbiamo corso e saltellato tra una pietra e l'altra, affrontato lastroni scivolosi, piccole cascate, tele di ragno tra rami bassissimi. E ci siamo bagnati, dio se ci siamo bagnati. Come pesci, come trote; chi i piedi, chi le gambe intere, chi è caduto in acqua di sedere, chi di fianco. Chi è caduto dal ramo di un albero, chi scivolando ha portato con sé il vicino, chi persino fotografava (ah!, la gioventù moderna e ipertecnologicamente digitale...). Neanche un urlo genitoriale, manco la minima raccomandazione. Soltanto: non fatevi male ed andate. Andate dove volete. Alla fine, quando ho deciso che oramai erano ben zuppi, non ho avuto esitazioni. Come un colonnello sadico li ho richiamati tutti, senza possibilità di replica: "via! È l'ora: adesso si torna indietro". Vedeste come si sono incazz.... ehm, incavolati. Erano furenti. Eppure. Eppure sapevano che il nostro patto era stato rispettato ed aveva funzionato alla perfezione. Piano piano la furia si è trasformata in consapevolezza e, poi, in condiscendenza. Dall'alveo del fiume siam risaliti fino al sentiero CAI. Abbiamo ripreso la strada di casa. Li ho sentiti per buona parte del tragitto discutere tra loro se la mia decisione fosse stata giusta o meno. Ma ormai si stava tornando verso casa. La decisione doveva esser stata giudicata equa. Oh come mi sono divertito: il potere (di colonnello che li richiama), davvero, da' alla testa!

mercoledì 24 agosto 2011

Il prete e l'esattore

Arrivare a Pietralba, come quasi ogni scorcio da queste parti, crea un effetto vertiginoso. Te lo trovi lì, un po' all'improvviso, questo austero santuario seicentesco. Talmente austero che sembrerebbe piuttosto un collegio, una scuola decisamente d'altri tempi, al massimo un ospedale. Talmente austero che, se non fosse per campanile e cupola a cipolla, resterebbe assolutamente anonimo. Vuoto.
Sembra di volare, su questa strada d'altopiano che ti guida leggera fino ad parcheggio sterrato che pare inginocchiato davanti al prospetto immacolato della facciata. E il santuario ti guarda, in cima a un vialetto d'accesso che pende quasi come una pianura, al confronto con ben altri sentieri d'attorno. Arrivare alla scalinata è un attimo.

Pietralba è il più importante santuario e polo religioso del Sudtirolo: visto dalla cima del Corno Bianco sembra una fortezza senza fossato, una "vigna del Signore" già espugnata ad una fede che, in questi luoghi, si scorge a qualsiasi angolo di strada o di sentiero: un tabernacolo, un crocifisso non mancano mai. Eppure, quando ti avvicini, c'è qualcosa che non ti torna. Sarà il silenzio di un sonnacchioso pomeriggio d'agosto, sarà che in fondo non sei proprio abituato a questa architettura religiosa così in tono minore ma alla fine la sensazione è piuttosto straniante. Ti chiedi cosa davvero possa nascondersi dietro quei muri che già solo dall'imbotte delle finestre si capiscono spessi e massicci. E freschi.
La prima porticina che ti si para davanti è già una scoperta: alla fine di un breve corridoio, che il sole abbagliante da cui arrivi rende ancor più nero di quanto non sia, quella che sembra una cripta eremitica si rivela invece, quando finalmente le pupille tornano a vedere qualcosa, un cimitero, lo scrigno geloso e umido di cadaveri vecchi di tre secoli. Al turbamento che ti sospinge via opponi ancora un poco di fatica, e di attesa, per salire gli ultimi scalini e raggiungere il piano della chiesa e chissà quanta bellezza ci troverai. Tanta devozione artistica, va detto, non viene ricompensata: l'interno è il solito mediocre tripudio di ori e stucchi, di barocco zuccheroso e ridondante. L'epoca era quella, si sa, ma al gusto di chi la vede oggi - almeno al mio, s'intende! - non lascia alcuna traccia. Il romanico o, meglio ancora, il gotico sono proprio un'altra cosa, un altro sentimento.
Eppure, ecco sì davvero il sorprendente: la chiesa è decisamente piccola, quasi uno spazio ritagliato in un angolo. Un sottoscala, un incidente di percorso nella storia sontuosa di santuari simili. E non parlo di grandi strutture dall'appeal internazionale come Loreto, Assisi, Pietrelcina. Basterebbe semplicemente andare in un qualsiasi angolo remoto di Umbria o Marche, giusto per fare un paio di casi, ed ecco comparire chiese di ben altre dimensioni: a Fonte Avellana, misconosciuto monastero sperso nei monti del nord delle Marche, la chiesa "è" il luogo, il resto contorno.
Pietralba no. Te ne accorgi aprendo la porta laterale (la chiesa è a navata unica), alla tua sinistra. Il vero mondo di questo santuario-azienda si apre qui, non appena superata la stanza degli ex-voto che è un autentico trattato di antropologia culturale (e non aggiungo altro). Basta riconquistare l'aria aperta, stavolta dietro la facciata austera, per scoprire la stanza delle macchine, il vero cuore pulsante di un certo modo di fare Chiesa in questo Paese.
Guardandomi attorno non ho potuto fare a meno di ricordare un film documentario di qualche anno fa sulle decine di chiese, sette e congregazioni che letteralmente infestano gli USA, molte delle quali sono - denunciava quel film - ciniche macchine da soldi basate sul tradimento della (buona) fede e della credulità popolare. Se volessimo dirlo in altri termini, per tornare al di qua dell'oceano, qualcosa che sta a metà tra la Napoli di Gigi D'Alessio e Sanremo, inteso come specchio e anima di quella cultura nazional-popolare che ha fatto l'Italia.
Già sulla soglia esterna della stanza degli ex-voto, con un solo sguardo circolare si scorgono le insegne di (e li enumero in elenco perché li si colga meglio):

- bar
- ristorante
- self service
- hotel
- ufficio informazioni
- museo diocesano
- biblioteca
- centro congressi.

In questo giro d'orizzonte ci sono anche un paio di cabine telefoniche, una specie di grotta artificiale devozionale, un altare posticcio esterno con decine di posti a sedere tutt'attorno ben protetti da un paio di enormi gazebo e, soprattutto, una inquietante enorme riproduzione lignea di un Giovanni Paolo II nell'atto di impartire una benedizione con davanti una specie di terrazzino pieno di gerani rossi.
Ebbene, un oggetto di così malvagio cattivo gusto, confesso, non mi era mai capitato di vederlo. In nessun contesto, mai.

Gli spazi interni del bar potrebbero tranquillamente ospitare una partita di calcio, il self service è una struttura perfettamente attrezzata per servire centinaia di pasti a turno. Non ho visto l'albergo ma non ho motivi per ritenere che potesse essere meno grandioso.
Non mi dilungo sulle macchinette mangiasoldi presenti nel sacro bar (aggiungo solo che le toilette di quest'ultimo occupano la superficie equivalente di un signorile appartamento) mentre il vero parcheggio, quello tenuto ben nascosto sul retro, ha centinaia di posti auto tanto che il parcheggio sterrato sul davanti, di cui dicevo all'inizio, sparisce miseramente o, forse, si rivela un falso segno di umiltà atto ad ingannare il viaggiatore frettoloso.
Insomma, una bella aziendina.
Un'impresa economica a tutti gli effetti che produce lavoro, reddito, profitto.
E tanto, così ad occhio e Croce.
Chissà quanto farebbe di ICI (e di tutte le altre tasse non versate) tutto 'sto ben di Dio?!

mercoledì 10 agosto 2011

Scoperte!

L'uomo piccolo ha scoperto la voluttà delle automobili. Ripete come un mantra marche, modelli, allestimenti, potenze. Di ogni auto che incontra nella sua visuale chiede informazioni. Tanto che la donna grande, sinceramente, non ne può più!
All'ennesima richiesta ossessiva lo ha squadrato in tralice: "senti uomo piccolo, ma che programmi hai per l'anno prossimo"?!
Secondo me sta pensando di mandarlo in vacanza su Marte...
E poi mi piacerebbe tanto chiedere ad un neuroscienziato perché il cervello dei ragazzini riconosce meglio (e preferibilmente) le Porsche da, che so, una normalissima Pandina. Al massimo una Clio.
Invece no: siamo lì immersi tra listini prezzi (eh sì, perché l'uomo piccolo è uno che ha sempre badato al sodo) della Porsche e della BMW, indecisi tra una classe 5 tourer (è così che si dice, vero?) e una di quelle "babbo, com'è che si chiama? Che ha quel nome strano, che la fanno vicino casa della zia R"? - oddio, sta parlando della Lamborghini...
Insomma, non abbiamo pace. Che poi sono io, in realtà, quello che subisce l'onda del suo innamoramento motoristico. Io che distinguo a malapena un parabrezza da un lunotto e che confondo regolarmente il cilindro col pistone (e viceversa).

Ieri pomeriggio, dopo aver smanettato lungamente su internet, è arrivato raggiante:
- babbo, babbo ho trovato una Porsche. Costa 87.000 euro, la compriamo?
- ma, uomo piccolo, è quasi quattro volte quel che costa la macchina che abbiamo.
Ha fatto un po' di calcoli mentali, poi giulivo:
- e vabbene, ma almeno una volta nella vita.

Ecco, ho deciso che passerò le ferie a spiegargli alcune cosette...

domenica 7 agosto 2011

Il bagno all'alba

Chi vive nelle città di mare, e ha meno di sessant'anni, non è mai arrivato in spiaggia in vita sua prima delle undici (mezzogiorno, avendo dei pargoli - tanto per prendere in pieno quello che si potrebbe definire "orario pediatrico"): difficile spiegarne il perché; forse una sorta di tronfio senso del possesso: la spiaggia è lì, sempre lì, tutta l'estate, tutto l'anno, sempre. Non c'è fretta.
Non credo di esagerare, almeno non troppo, è languidamente così. Anche per me, che non abito al mare da ormai più di dieci anni, vale lo stesso modus: quando ci torno, nella mia città di mare, non ho più fretta, non devo correre mai. Non devo scavalcare nessuno.
Eppure esiste un'eccezione, uno di quei riti che nascono quando ci sono forti emozioni da tenere accese: quella di "andare a vedere l'alba sul mare". Per cui, sveglia di buio, colazione velocissima e poi via, di buon passo (e macchina fotografica in spalla - altra cosa che un indigeno farebbe solo con un po' di vergogna...) verso l'arenile. Da lì aspettiamo il sole al varco, l'orizzonte è tutto nostro, non si fa che guardare.
Così, per farla breve, stamattina abbiamo fatto il bagno in mare alle sette.
In un'acqua immota e limpida come una piscina. Una piscina immensa di chilometri, senza un'anima viva se non noi fin dove lo sguardo poteva arrivare. Una piscina privatissima e potenzialmente infinita. Solo gabbiani intorno, persino meno timorosi del solito: il silenzio dell'intimità è cosa che ci rende più simili e vicini, tra tutti.
Abbiamo sguazzato senza freni, nuotato, tuffato, scavato, rotolato.
Persino l'incontro ravvicinatissimo tra la donna grande e una medusa ha causato sì gran dolori e pianti disperati ma è durato poco, solo il tempo di trovare l'ultrasessantenne di cui dicevo all'inizio, sbucato chissà da dove, che senza scomporsi ci ha proposto il rimedio unico e definitivo in questi casi: l'abluzione della parte urticata in abbondante acqua calda. Dopo pochi secondi la donna grande è tornata pimpante quasi (quasi ho detto) come prima. Sì certo, è rimasta il resto del tempo prudentemente a mollo sulla riva ma ha capito che dopo il dolore, per quanto insopportabile possa essere sul momento, si rimane interi.
E chissà che un rito di vacanza come questo non possa insegnare qualcosa. Addirittura senza pedanteria, senza bisogno di lunghe e razionali spiegazioni. È accaduto, si resta interi. La donna grande sembrava convinta. Chissà.
Per ora ci siam goduti il nostro rito marino per il secondo anno consecutivo. E fino al prossimo o, magari, quello dopo ancora.
E ancora, fin quando saremo così divertiti.

giovedì 28 luglio 2011

Tempi (ultra)moderni

Ci sono momenti, passaggi e giorni da ricordare.
Ci sono compleanni speciali, primi giorni di scuola, prove da superare e battesimi del fuoco.
C'è da abbandonare il ciuccio, dire addio all'orsacchiotto (o al "bauetto": ognuno ha i suoi di oggetti transizionali e, soprattutto, li nomina come meglio crede...), mettere l'apparecchio ai denti (e poi portarlo, ogni santo giorno. E ogni notte, pure).
Imparare ad andare in bici, cascare la prima volta coi pattini, arrivare decentemente a nuotare.
Ci sono tempi che non tornano e ci saranno occasioni non ancora colte.
Ma soprattutto.
Soprattutto può capitarvi una sera d'estate, trovare l'uomo piccolo disteso sul letto con le gambe mollemente accavallate. L'auricolare del lettore mp3 in un orecchio, ad ascoltare Litfiba, e un giochino sul cellulare. Con un'espressione serissima stampata in volto.
"Uomo piccolo, ti piace questa musica?".
"Sì, babbo, mi piace tantissimo!".
Tutto ciò contemporaneamente.

Ecco.
Questo vuol dire che abbiamo proprio cambiato epoca.
Ad otto anni non ancora compiuti.

giovedì 7 luglio 2011

Rifugio

Sono nudi i sentimenti, visti su un treno. Si vedono i muscoli, intossicati dall'acido lattico del silenzio. I tendini induriti dalla distanza.
È una famiglia che sale a Bologna e mi si siede attorno: un lui, una lei, una pargola deliziosa.
Lui ha gesti sgarbati nei confronti di lei, le aveva intimato di controllare i posti sui biglietti. Poi, quasi, glieli aveva strappati di mano.
Ora sono seduti ma non si parlano. Lui si attacca al suo iPad e ci scompare dentro. Fino al mio arrivo a Trento, non lo sentirò quasi più parlare (se non al telefono).
Lei compulsa il suo McEwan in lingua originale ma non rinuncia a biasimare "quel maledetto aggeggio" a voce alta, davanti a tutti. Quello che gli sottrae il marito. E lo allontana.
La pargola è il collante: lo sguardo chiarissimo ma triste di un bambino che vede i suoi genitori spesso silenziosi o che comunicano per improperi reciproci.
Forse è solo una giornata di passaggio, forse un viaggio verso le Dolomiti nato storto, forse l'inizio di una cruenta dolorosissima separazione, chissà?
Quel che è certo è che, nelle coppie con figli, momenti così possono capitare: sembra quasi che un pargolo sia un confine, una fatica nel mezzo. E loro che invece fanno di tutto per fare la spola tra mamma e babbo, ricucire la distanza. Provare ad annullare la loro paura più grande. Che una storia d'amore e, con essa, una famiglia, finisca.
Da fuori, guardare dentro uno specchio così profondo devo dire, egoisticamente, che fa bene. Ti fa riflettere, ti fa capire quali sono le priorità, quali le energie da mettere in campo, quali sentimenti coltivare. All'amore, alla vita.
Forse l'iPad può finire in fondo allo zaino, se pesa così tanto.
Forse guardare fuori dal finestrino della vita (o della tua famiglia o di qualunque altra cosa ti stia capitando) è più forte che guardare se stessi spiaccicati su un display ultrabright o come diavolo si chiamano 'sti cosi. Uno di quelli, tra l'altro, sul quale sto scrivendo anch'io questo post.
Accanto a me scorrono le prime cime delle Dolomiti, l'Adige è qui sotto che quasi lo tocco con le dita.
La mia famiglia mi aspetta a pochi chilometri, domani si va in quota. Arriveremo al rifugio Brentei.
Con l'iPad spento, sia chiaro. E sguardi e parole tutti per noi. Guarderemo fuori dal finestrino, senza averci nemmeno il cristallo antisfondamento davanti.
Il cielo ora si è fatto plumbeo. Nuvole pesanti e nere. La situazione, qui davanti, resta la stessa.
E, alla fine, la pargola disegna il muso di un gatto. "Mamma, ti piace?".
Un mezzo sorriso nel buio.
Per fortuna, i bambini esistono.

giovedì 23 giugno 2011

Venti marini

Quali sono gli alisei che attraversano un bambino? I turbini che lo spingono a colpire in aria un mostro immaginario?
Nel ritmico cullare della risacca, l'uomo piccolo è in balia delle correnti: il suo carattere risente di come attorno si muove il "mondo".
Sembra chiuso in gesti suggeriti dagli strumenti di contenzione video-elettronici a cui spesso li abbandoniamo, pargoli dell'ipermodernità, e invece fiuta un qualche profumo che ha sentito solo lui.
Una sensibilità difficile da capire, per noi adulti fuori da quei refoli. Un alito leggero tra mare e anima.

mercoledì 15 giugno 2011

Una fuga semplice

Interlocutori i rapporti profe-uomo piccolo, ultimamente.
Sarà che lei, ogni tanto, non si risparmia in severità. Sarà che lui sta passando un periodo un po' minoritario nei confronti della donna grande e si sente trascurato o, al contrario, iper-osservato. Tanto che si lamenta spesso, a torto of course, che la colpa di qualsiasi cosa la diamo solo e sempre a lui.
Un film già visto, tra fratelli.
Però stasera doveva essere particolarmente fragile. Al sacrosanto rimprovero non ha detto pio.
Ha preso la porta di casa.
L'abbiamo trovato sulle scale che piangeva in silenzio, incastrato in una fuga che ormai non poteva più andare oltre ma che nemmeno poteva tornare indietro, per orgoglio.
Ma la cosa incredibile è quello che si era portato dietro per sopravvivere lontano da casa.
...
In tasca aveva spazzolino e dentifricio.

lunedì 13 giugno 2011

Off topic: la rete e il referendum

Ogni tanto anche i babbi scavallano e fanno cose che non dovrebbero fare.
Un intero post off topic, addirittura. Perché oggi parlo d'altro.

Qualche commentatore faceva notare che, a guardarlo su Fb, nei giorni scorsi, il referendum era ormai ad un quorum del 110%.
Sarcastico, il commentatore, ma neanche poi tanto. Perché aveva visto giusto, aveva visto una cosa che, in altri Paesi del mondo, era già successa e che qui da noi invece tardava ad accadere. Insomma, un'altra classifica nella quale solennemente accomodarci agli ultimi posti.
Ad esempio, era già accaduto in Spagna quando, all'indomani dell'attentato di Madrid, un passaparola fatto tutto di sms (almeno così racconta la "leggenda" ma, forse, anche la cronaca) ribaltò ogni sondaggio: Aznar, che aveva mentito di fronte al Paese, fu sconfitto. Al Governo andò Zapatero.
Non sto a ridire del Maghreb, dell'Egitto e degli altri Paesi dell'area: sappiamo tutti quando sia stato determinante il web.

Il risultato clamoroso del referendum è doppiamente, scusate il raddoppio, clamoroso. Perché avvenuto in un contesto occidentale avanzato, democratico, eppure in assenza di comunicazione e informazione. Ancora una volta, una fazione di oligarchi aveva deciso di mettere a tacere i Comitati Promotori, di nascondere sotto al tappeto la questione.
Il diktat era: "boicottare".
La vera grande campagna informativa è partita da un luogo completamente diverso dal solito. Non le televisioni, non i giornali, pochissimi partiti politici e, alcuni, anche solo all'ultimo minuto (riparliamo di questo, domani).
Ancora una volta, come accaduto in parte per la campagna elettorale delle amministrative, si è mobilitata la cittadinanza, la società civile, quella famosa "base" (comitati, associazioni, cittadini) che ha saputo portare la campagna referendaria dapprima nel tam-tam di internet poi a volare radente sui territori per tornare infine alla rete. Anche alla forma stessa della rete. Maglie, legami sempre più saldi e stretti.
A ben guardare, tra gli altri elementi, sulla rete internet ha funzionato il meccanismo del marketing virale. Ricordo la primissima comparsa dei vari loghi dei Comitati, il "vota sì", le faccine, le scritte, i widget. Nacque una etichetta immediatamente riconoscibile che ha saputo veicolare, all'inizio, l'attenzione e l'interesse verso quella campagna e, di seguito, una forma di immedesimazione: "il problema mi riguarda".
Non so dire quanta parte di chi ha votato lo abbia fatto essendo davvero e concretamente coinvolto, per consapevolezza reale, perché abbia seguito il pochissimo dibattito o si sia informato a fondo sui contenuti (quanti avranno letto davvero i quesiti?).
Quel che so è che la viralizzazione ha funzionato, ha raggiunto persone che non avrebbero ascoltato un dibattito tv, che non avrebbero letto decine di pagine di articoli o di libri (che invece, accanto al web, sono comparsi numerosi nelle librerie). Che grazie a quel contatto così "leggero e facile" ha preso coscienza di un problema e ha dato il suo parere, la sua opinione, Il suo segnale precisissimo.
Per correttezza confesso che sono stato (e forse un pochino lo sono ancora...) molto scettico sull'effettiva valenza di spazio propulsivo del cambiamento del web. Per tutta una serie di motivi che è inutile ripetere qui. L'ho sempre visto come un luogo di invasivo marketing, fatto per venderci qualcosa (e così mi pare sia andata, appunto, anche stavolta) e non come spazio critico.
Stavolta forse qualcosa, nella mia percezione e nella mia testa, cambierà.
Dopotutto, questo clamoroso risultato ha posto non la prima pietra ma il primo macigno.

giovedì 2 giugno 2011

Sponde

L'acqua era azzurra per davvero, immobile come una tavola. E scintillava, al sole.
La nostra battuta era sempre la stessa: "sembra che un gigante ci abbia versato l'olio".
Poi s'arrivava in spiaggia, si lasciavano borsone e vestiti all'ombrellone e ci s'incamminava verso la riva.
Lì, sul bagnasciuga, un paio di manate nell'acqua giusto per saggiarne la temperatura. Allora mio padre si voltava e diceva "torno subito", che in dialetto ha un suono un po' più arrotolato e antico. Un tuffo.
Cominciava a nuotare, verso il largo, fino a che non spariva alla vista.
Stava fuori almeno un'ora, qualche volta anche di più. Mia madre si preoccupava, dalla spiaggia, quando passava troppo tempo.
Poi, però, tornava sempre. Perché tutti i padri sono degli Ulisse in minore e tornano a riva. O dovrebbero.

Oggi, di festa, ho ripreso con la piscina. Erano mesi che non ci andavo, la schiena si stava incriccando. Così son ripartito, per disincagliarmi un poco. Acqua e cloro come uno spruzzo di svitol.
E mentre riprendevo con le mie bracciate da principiante assoluto, faticose e pesanti, mi è tornato in mente mio padre che se ne andava al largo, nuotando d'estate, veloce e leggero come un motoscafo.
Per un momento mi sono guardato, da terra, che lo guardavo sparire nello scintillio e ho capito che cercavo la memoria (e quel ruolo di Ulisse in minore ereditario) tra le sponde di una vasca.
Lo scintillio non era lo stesso ma il gesto antico sì.

lunedì 30 maggio 2011

Feste familiari

Ci sono foto di compleanni nei cassetti di qualsiasi famiglia al mondo. Quella che mi ricordo io è una foto luminosa, su uno sfondo rosso: l'anta d'un armadio.
C'erano bottiglie e bicchieri sul tavolo imbandito, un vassoio pieno di duchesse al prosciutto. E una torta, bianca e marrone, a ciuffi. Un Saint-Honoré.
E coppe di cristallo e spumante e bollicine.
Ma più di tutto, in quella foto, c'è un bambino in braccio che ha appena assaggiato un sorso di quello spumante e, me lo ricordo come fosse ora, dopo un solo attimo d'incertezza (in fondo era la prima volta), il suo viso si allarga in un sorriso straordinario e in un verso di enorme soddisfazione: "aaah!".
Lo spumante era piaciuto.
Il bambino, mio fratello, aveva pochi anni.
Ecco, c'era sempre in quelle occasioni un nonno, una zia un po' matta che si occupava del battesimo del fuoco: far assaggiare per la prima volta un goccio di vino al festeggiato.
Così la festa del compleanno diventava festa doppia, gioia anche degli adulti nel condividere un piccolo piacere con il bambino di turno...
Naturalmente, oggi i nostri tempi sono diversi. Siamo maniacali: niente alcool nemmeno a trent'anni (tanto poi il tempo lo recuperano da sé, alla prima sbronza adolescenziale), niente caffè, anche le bibite gassate centellinate. Niente zucchero, nutella così così. Insomma.
Poi però succede, in una sera di maggio, che anche senza compleanni in vista ci sia da festeggiare perché finalmente il Paese si risveglia, si libera (almeno in parte) di un incubo che era durato troppo.
Abbiamo vinto le elezioni, abbiamo dato una "sleppa" (come si dice a Milàn) al piccolo uomo che ci ritroviamo al Governo.
Dapprima abbiamo spiegato ai pargoli il perché di tanta euforia e poi abbiamo festeggiato: desian è corso a comprare una bottiglia di spumante (per tradizione familiare avevamo bisogno che la bottiglia facesse il botto...), dopocena l'abbiamo stappata e infine abbiamo brindato.
Alla veneranda età di sette e nove anni e mezzo (ben più tardi quindi di mio fratello in quella foto...), i pargoli hanno finalmente potuto assaggiare il primo goccino d'alcool della loro vita.
Per un motivo ben più importante che un semplice compleanno: in fondo, oggi, è il nostro 25 aprile.
La donna grande avrebbe bissato volentieri il suo mezzo centimetro di Moscato d'Asti. Quasi quasi, vista la solennità dell'occasione... No, via: ho saputo trattenermi dal versarne ancora.
Comunque il brindisi è questo (evviva!):

martedì 17 maggio 2011

Il maschio qualunque

Vorrei concentrarmi su alcune parole, una frase di Dominique Strauss-Kahn.
"Oui, j'aime les femmes, et alors"?
Certo, mi piacciono le donne. E con questo?

Non mi colpisce la candida ammissione da vecchio seduttore (sic!), come ce ne sono altri in giro: spesso l'abuso del potere casca dentro le mutande. Non mi sconvolge nemmeno il primo sottotesto, quello che dice: "al mio posto, col mio potere, cosa volete che mi accada"? Impunità.
No.
Mi fa riflettere invece la banalità del senso ultimo dell'affermazione, ciò che davvero significa quella frase: "le donne sono a disposizione di chi se le prende". Volenti o nolenti.
E con questo?

E' lì che si torna, ancora una volta al senso di possesso che rende la forza maschile (non il potere, non il prestigio e nemmeno la seduzione. La brutalità) in grado di fare propria ogni cosa. E le donne più di ogni altra, territorio di scorribanda da sempre.


Anche la faccia stessa di DSK in aula, davanti al giudice. Un'espressione divisa tra la noia, l'incredulità, la strafottenza e, appunto, l'impunità. "Cosa ci stiamo a fare qui per queste fregnacce. Facciamo presto, ho altro da fare, io".
Le braccia conserte che segnano il confine tra lui, lo strapotente, e gli altri. E con questo?
Così l'uomo più potente della Terra (le classifiche lo posizionano ai primissimi posti assoluti...) è anch'egli maschio qualunque, uomo cresciuto, educato, vivificato da una sola idea.
Quella lì.
Come una passione ricercata fin da bambino, in un cortile grigio, su giornalini per adulti, a sbirciare qualche foto slabbrata o chissà. Una semplice ossessione, avrebbe potuto dire Philip Roth?
L'idea che, in fondo in fondo, "non c'è nulla di male".
Un apprezzamento pesante che fa presto a diventare un'offesa.
Bando ai falsi moralismi, "chi non ha mai" ci insegnano esimi intellettualoni in bretelle, nel prime time televisivo nostrano.
E l'uomo è cacciatore. E via di questo passo.
Le donne in fondo si sa: sono tutte.
E l'uomo?!
Chi è, l'uomo?

venerdì 29 aprile 2011

Addormentarsi

Della serie: addormentarsi "dentro" un libro...


Per dovere di cronaca, il libro in questione è Lo hobbit. La donna grande sulle tracce della profe.

lunedì 25 aprile 2011

Finalmente un vero babbo

Le vacanze di Pasqua, la donna grande le ha prese male: di nuovo febbre. Così addio sogni di gite fuori porta e, se si esclude un fantastico pranzo pasquale a casa di amici (condito di delirante discussione tra la profe e desian), eccoci destinati al "chiusi in casa".
Allora io e l'uomo piccolo ne abbiamo approfittato per cementare una sana complicità maschile: passeggiate in bicicletta. Rigorosamente su pista ciclabile (i pericoli del pedalare in città), rigorosamente sullo stesso percorso. L'uomo piccolo, ancor più di suo padre, è fortemente conservatore.
Da casa all'Arno, andata e ritorno. Una, due, tre volte.
Oggi, alla terza volta, l'uomo piccolo ha vissuto il suo più grande successo: è riuscito a farmi indossare il casco. Cosa che in realtà faccio sempre quando vado in bici da corsa. A passeggio, invece, stento a mantenere la buona abitudine.
Così mi ha guardato.
Mentre lo calzavo di fronte allo specchio.
Poi mi ha apostrofato: "oh!, finalmente adesso sei un vero babbo".

venerdì 11 marzo 2011

Domani

Domani pomeriggio scendiamo in piazza. Coi pargoli, naturalmente.
Perché tanti, tantissimi, innumerevoli sono i motivi per dire "NO". Per dire basta, per coltivare la differenza etica che ci separa da alcuni (tanti?).
Coi bambini questo dovrebbe avvenire ogni giorno: educare vuol dire insegnare, prima di tutto, una forma di civiltà. Le regole e i comportamenti quotidiani e poi pure quelli più "alti", quelli che ci rendono cittadini. Quelli che ci fanno pensare, in modo critico, e riconoscere ciò che non va, quel che ci tolgono ogni giorno, sottraendo diritti, opportunità. Castigando la scuola, la magistratura. Le persone.
Chi fa il proprio dovere.
Quand'ero bambino, il "precetto" principale della mia educazione è stato "il proprio dovere" (e non ringrazierò mai abbastanza i miei per aver coltivato, in tutti noi figli, questa pianta). Probabilmente, in certe fasi della vita, questa idea incombente ti mette un po' d'ansia ma certo ha fatto di me una persona che sa riconoscere ciò che ha valore dalle stronzate. Dal malaffare, dalla furberia. Dal sopruso.
Le scorciatoie sono facili ma non praticabili. Ti sporcano. Così è accaduto, nella mia età adulta, di non prenderle mai.
Ora, questo grande valore, che ha la forza di una "Carta Fondamentale" dell'individuo, è disponibile anche per i miei figli, per la loro formazione. Non ce la lasciamo scappare.
Domani saremo in piazza e poi, ogni giorno, continueremo a coltivare la stessa pianta.

mercoledì 9 marzo 2011

Gli occhi della donna grande

Donna grande, che mi guardi coi tuoi occhi di carnevale. Dentro il tuo costume splendido, vero gioiello di arte nonnesca.
Quello sguardo lungo lungo mi ricorda qualcosa. Quell'espressione seriosa, sempre al centro del tuo centro smarrito.
Perché a nove anni, mi ricordo i miei, si sta così: come le foglie tenere verdissime in attesa di salirci, sull'albero. L'albero della vita.
I pensieri dei novenni sono grandi, importanti, ti riempiono i giorni. Schermano persino la luce del sole, che accarezza gli occhi e li fa brillare.
E le paure. Le paure dei novenni sono enormi, insostenibili, silenziose. Non fanno più alcun rumore (come quelle invece di qualche anno prima). Ogni tanto hai bisogno di cercare col tuo sguardo gli occhi di un adulto, attorno a te, e li trovi, li trovi sempre.
Il tuo sguardo lungo lungo promette una distanza che non vorremo permetterci. Sì, certo: una distanza generazionale, una distanza di regole e rispetto dei ruoli.
Ma le parole? Scopriremo le parole per dirci cosa abbiamo visto?
La distanza, laggiù, sarà un abisso? O sarà un viaggio.

lunedì 7 marzo 2011

Il mostro del giardino (di scuola)

Ci sono mostri terribili, spaventose creature, orchi orripilanti che infestano i nostri tempi. Sembra un bestiario medievale, eppure alcuni sono assolutamente moderni, ipermoderni addirittura. Altri sono talmente inafferrabili che sembrano non esistere neppure.
Poi.
Poi ci sono le foglie che cadono dagli alberi, d'autunno.
No, non sto scherzando perché l'altra sera, durante la riunione d'interclasse, alla scuola dei pargoli, è finalmente apparsa questa nuova creatura. Che sinceramente non avevo calcolato.
Le foglie morte.
Pare che qualche insegnante abbia segnalato il pericolo derivante da questo vero e proprio tappeto rosso e giallo che infesta, in autunno, il cortile di scuola mettendo a repentaglio l'incolumità dei pargoli. Ci scivolano sopra, così cadono, possono farsi male. Ohmmadonna.
Allora qualcuno ha ben pensato a una final solution: dotare il medesimo giardino di una bella tensostruttura che sorregga delle... beh non so come dirlo. Cioè mi vien da ridere. Ok, ce la faccio: mettiamoci delle vele.
(Ho fatto di tutto per non ridere, quando ho sentito la proposta. Non sono certo di esserci riuscito, secondo me un ghigno sotto i baffi deve essermi partito).
Ecco, mettiamoci un bel telone che stronchi le foglie morte sul nascere (!), che impedisca loro di raggiungere il suolo. Basta, ma come si permettono.
Allora ho pensato ad una controproposta ancora più radicale e definitiva. Ma certo!: basta incollare le foglie ai rami.
Si prende un volontario, lo si fa arrampicare sull'albero e, un momento esatto prima che la foglia (fedifraga...) si stacchi, un bel baffo di colla et voilà. Il gioco è fatto, la foglia resta attaccata (anche se contro la sua stessa volontà di natura) e il cortile resta intonso. Nessuno scivola, non si romperanno l'osso del collo inciampando su quella poltiglia.
Ah, naturalmente non abbiamo supplenti, le pulizie sono fatte come si può, c'è un solo custode (uno solo per tutta la scuola. Cinque piani) per ogni turno orario, il materiale didattico e di consumo è fornito grazie al buon cuore dei genitori.
Ma noi mettiamo le vele.
Noi.
Ma quanto siamo fighi? Eh?

venerdì 4 marzo 2011

Lo sport è rilassante

Può sembrare buffo: se uno pensa che andare in piscina sia soltanto fare un'attività sportiva.
Perché negli ultimi tempi, questo primario compito del sottoscritto, si sta trasformando in un briefing educativo. L'uomo piccolo si è ormai trovato a far gruppo coi suoi compagni di nuoto e, fedele nei secoli al suo carattere burlone e ridanciano, è subito diventato il simpatico della combriccola.
Questo ruolo comporta l'essere anche sempre al centro di scherzi, frizzi e lazzi. Risultato? Essere spesso impegnato in altro, piuttosto che seguire l'istruttore. E il babbo mormora: "Uomo piccolo dovresti darti una regolata, siamo qui affinché tu impari a nuotare non per un pomeriggio di festa". Oppure: "Stasera, uomo piccolo, non mi sei piaciuto affatto e, l'hai visto, anche l'istruttore, a un certo punto, non sapeva più come redarguirti". Eccetera.
(Se ci si mettono, i babbi sanno essere quasi più pallosi delle mamme. Quasi).
Così, abbiamo preso la via traversa: lui a scusarsi per aver fatto, in effetti, "un po' troppo casino" (testuale); desian a rimbrottare in maniera un po' troppo diretta e poco intelligente.
La via traversa ha assunto i toni di un pacatissimo incontro di cervelli. Nel tratto in macchina da casa alla piscina, desian fa finta di parlare dei massimi sistemi comportamentali e, se l'uomo piccolo si lagna del fatto che "sono gli altri a mettermi in mezzo", infila qua e là perle di saggezza babbesche sul sottrarsi alle dinamiche del caos, sull'evitare di rispondere agli stimoli al cazzeggio, sul rispetto da portare al lavoro dell'istruttore e via dicendo.
Oh, non so cosa l'uomo piccolo abbia capito. Però funziona.
Davvero.
Si sta dando una calmata.
Yeah.

mercoledì 2 marzo 2011

La scuola è il posto più bello

Uno spettro si aggira per le case: i compiti del fine settimana. Oltre al Papa, allo Tzar, a Metternich e Guizot, anche le maestre sembrano avercela con questi poveri pargoli. Sembra godano a impedir loro un fine settimana rilassante, una due giorni in barca sul lago o alla beauty farm.
Perché sì, di questo si lamentano i grandi: "troppi compiti e ci tocca restare in casa a farglieli fare. Addio weekend".
Ascoltavo alla radio, qualche giorno fa, Paola Mastrocola che parlava di scuola e, tra tante cose con le quali ero in disaccordo, mi piaceva molto come sottolineasse il fatto che proprio noi adulti, prima ancora che i ragazzi, abbiamo perso il senso delle finalità della scuola.
La fatica di studiare, sì, di farsi un'educazione. Perché sembra essere passata l'idea, continuava Mastrocola, che l'unico ascensore sociale in Italia non sia più quello messo in moto dall'educazione ma quello dell'ereditarietà: se sei figlio della persona giusta, se esci da una famiglia che può darti "un aiutino", non aver paura: non hai bisogno di studiare, te la caverai sempre.
E allora goditi il tuo weekend, al mare, sul lago, al luna park. Con babbino e mammina. Invece di studiare, che è tanto faticoso.

Credo nella scuola. Laica, pubblica e libera. I pochi anni dell'università sono stati per me l'idea di una porta che si apriva sul futuro. Un'idea che ho ancora oggi.
Così noi passiamo buona parte dei nostri fine settimana in casa per far sì che la donna grande (l'uomo piccolo è ancora in seconda e ha carichi quasi insignificanti...) faccia quello che deve. Non per punizione, non per noi e (quasi) nemmeno per un qualche motivo superiore.
La scuola è conoscenza, mica competizione. Non è lavoro. E' sapere.
Che lo spettro spaventi ancora. E tanto.
Vuol dire che esiste.

lunedì 28 febbraio 2011

Gli accessori del babbo (19): la consolle dei videogame

Diciamoci la verità: quello che dovrebbe essere un accessorio dei pargoli, è in realtà un accessorio del babbo. Nati troppo presto per le prime, vere consolle (qualcuno, come il sottoscritto, ricorda al massimo i preistorici Atari), ormai troppo grandi per giocare in santa pace davanti al video con gli ultimi ritrovati della tecnologia come quelle manopole che ti permettono, ad esempio, di manovrare racchette inesistenti, i poveri babbi si nascondono dietro l'alibi dei figli "nativi digitali" per (auto)assolversi.
- Come non regalare una consolle ai miei pargoli?

La cosa più divertente di tutte, però, è la dissimulazione. Tutti noi, babbi e mamme, facciamo finta di niente, quando ci capita di affrontare l'argomento: ho visto genitori avvistare Alpha Centauri ad occhio nudo pur di evitare di fare outing.
- Sì, il mio ce l'ha, la consolle, ma la usa pochissimo.
- Mah, gliel'hanno regalata i nonni. E noi non volevamo.
- Eh, va beh: era in offerta al supermercato. Praticamente un affarone.
- L'hanno chiesta nella letterina a Babbo Natale e, lui, si è "dovuto" adeguare.

Ecco, anche la nostra piccola consolle tascabile era in offerta al super.
Così, raccontandoci un sacco di frottole, abbiamo ceduto. E ora, abbiamo sempre gli stessi figli nativi digitali di prima, soltanto un po' più alienati. Soprattutto l'uomo piccolo.
Coi suoi compagni di classe parla solo di Super Mario che è praticamente entrato tra i suoi affetti più cari. Il suo mondo di riferimento è ormai popolato di Super Marii e Luigi e draghetti verdi.
Insomma, una narrazione.
Un universo parallelo, di alienazione completa e profonda.
"Hai mai jackato? Hai mai zigoviaggiato? No, mai. Ah, un cervello vergine... ti faremo cominciare bene! Sei proprio sicuro che vuoi essere collegato? Sì, lo voglio."
Ecco, appunto, chi l'avrebbe mai detto che si sarebbe potuti finire così, iniziando con un'innocente consollina?
Il babbo, che all'epoca aveva minimizzato le controindicazioni lucidamente elencate dalla profe, quello stesso babbo che, tutto sommato, pensava: "Come non regalare una consolle, per quanto minuscola, ai miei pargoli?", oggi si trova in queste condizioni. Ci ha giocato pochissimo, umpf, e ora gli tocca anche recuperare l'equilibrio esistenziale del pargolo.
Tirarlo fuori da lì sarà una sfida. Un'impresa titanica. Un videogame?...

mercoledì 16 febbraio 2011

lunedì 14 febbraio 2011

E ora ancora

Ecco, uno si sente parte. Mondo.
Ieri eravamo tantissime/i, Firenze sorrideva anche sotto un cielo grigio e mezzo piovoso. E ho visto una grande, placida forza. Quella di chi dice qualcosa, di chi afferma.
Non era una protesta, non solo almeno, come blatera chi non vede al di là del proprio naso, per quanto pinocchiescamente lungo. Era un'affermazione colorata, era uno stare insieme fortissimo.
Facce di donne, anche quelle dei tanti uomini mi son sembrate femminili. Ho visto tanta bellezza politica, scritta gridata sorrisa. Disegnata sui volti.
E ora, ancora. E ancora.

martedì 1 febbraio 2011

Giornate

Stasera, tornando a casa, l'uomo piccolo è inciampato su se stesso (gli càpita, talvolta) ed è caduto.
Ha battuto il ginocchio sul bordo del marciapiede.
Quando è tornato in piedi si è subito tirato su i pantaloni per controllare i danni: aveva una sbucciatura.
"Uffa, oggi. Prima le bollicine sulla lingua, poi il mal di pancia e adesso sono caduto. Proprio una giornata sfortunata per me".
"..."
Avreste dovuto vedere che musino.

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