mercoledì 22 settembre 2010

Sarà l'autunno

Sarà l'autunno che ci scompiglia le carte?
La profe ha cambiato ancora scuola (la terza in tre anni) e stavolta è più spaventata che mai in passato; la donna grande è entrata in crisi con le sue lezioni di piano e dice che vuole abbandonare (dopo aver detto basta anche al nuoto, anno scorso); l'uomo piccolo ha cambiato piscina e siamo in attesa di capire come siam capitati; desian, che soffre sempre l'avvio autunnale, è preso da malinconie ancestrali.
Mmh, l'autunno...
A qualcuno bisognerà pur dare la colpa.

In compenso: la profe si sta dedicando alla cucina con una passione e un divertimento (e successi bloggheschi, qui) mai visti prima; la donna grande vuole iscriversi ad un corso di arrampicata sportiva; l'uomo piccolo ha un enorme rigurgito di passione per la sua bicicletta e sta diventando sempre più abile; desian ha scoperto, alla bellezza di quarantaquattro anni, il piacere, direbbe quasi la gioia mistica, di andare a nuotare in piscina.
Ah, l'autunno!
Per fortuna si cambia pelle. Ogni tanto.

mercoledì 8 settembre 2010

Il viale e il fiume

Avete mai ascoltato - alle otto del mattino, sotto il cielo che è una cappa plumbea ma niente affatto fredda, nel riverbero di una luce tutta strana tagliata sotto le nuvole laggiù in lontananza, sul bordo di una piscina all'aperto che si fa largo tra il viale trafficato e il fiume -, avete mai sentito il fragore che fa una massa d'acqua presa a ceffoni da un intero branco di brufolosi ma vigorosissimi nuotatori sedicenni che si allenano?
Con quei corpi che, prima ancora di calare in acqua, s'attardano sul bordo e non sono né belli né brutti, non esageratamente muscolosi come quelli gonfi dei culturisti ma danno invece un'impressione nettissima: quella d'essere corpi ben piantati. Sani e forti.
Ché, se vi fosse capitato di sentirlo, quel fragore, vi rendereste conto così come ho fatto io (magari astraendovi un momento dai rumori circostanti) che c'è una sorta di eco in quel fragore di liquido che va in frantumi ad ogni bracciata. E' come un riverbero, un cristallìo chiarissimo che si rincorre, e se ti metti a guardarli mentre vanno avanti e indietro, avanti e indietro e avanti e indietro sul pelo di quell'acqua vagamente azzurrina e al cloro, sembrano tanti vagoncini lanciati a bomba verso un domani che si frange, e ritorna virando, sulla sponda opposta.
Perché quell'allenamento va proprio nella direzione del futuro, della speranza di cavar qualcosa da tanta fatica: una medaglia o tante, una raffica di articoli di giornale, i ricchi premi della federazione nuoto e, se va ancora meglio, una finestra televisiva magari dentro un qualche "grande fratello".
Io invece, che per mestiere amo distorcere le immagini o i pensieri che mi si parano davanti, li vedo ora come se fossimo in una piscina di Pechino o di Omaha, Nebraska, o come se fossero sotto le amorevoli cure di un trainer sovietico o tedesco orientale e mi sembrano gli stessi ragazzi che fanno gli stessi identici gesti. Stessa fatica, chissà.
Ma già settimana prossima, quando riprenderà la scuola, quella piscina alle otto del mattino resterà deserta, l'acqua al cloro ferma immobile sotto il telone di protezione. E quei ragazzi - fra solo qualche anno potrebbe toccare ad uno dei miei svegliarsi alle sette per andare a fare allenamento - torneranno a fare un'altra fatica forse più adatta alla loro età che cerca formazione alla vita, una strada per l'esistenza adulta.
Sui banchi di scuola, a cercare altri limiti, altri tempi, altri record e la massa d'acqua resterà silenziosa e nessuno guarderà là dentro.
E il viale rumoroso e il fiume continueranno a scorrere.

giovedì 2 settembre 2010

Appendice (post)vacanziera

La luce era radente sull'acqua, a quell'ora. La separazione tra dentro e fuori era nettissima.
La donna grande, dall'alto delle sue prime certezze, e l'uomo piccolo (regolarmente equipaggiato di braccioli - due stagioni di corso di nuoto non sono riuscite a dissipare tutte le difficoltà...) guardavano giù dentro il lago domandandosi se mai ce l'avrebbero fatta.
L'acqua era buia.
Avevano sulle labbra il sorriso stirato dall'incertezza: tutti lo conosciamo, tutti l'abbiamo avuto uguale, almeno una volta a quell'età. Magari un pomeriggio.
Loro guardavano noi, che li guardavamo ancora più incerti, con l'incredulità di quello che stavano per fare. Che dovevano fare. Saltare dentro l'acqua, "tuffarsi", dalla piattaforma dei tuffi, quella vera, alta abbastanza lassù sopra una prima volta.
Era uno scambio di sguardi fortissimo, direbbe il poeta; a ripensarci, soltanto a pochi giorni di distanza, è stato un momento sospeso tra il desiderio di saltare, la paura di farlo, l'incertezza assoluta negli occhi di coloro che dovrebbero rassicurarti.
Non so se quel momento, quell'infinitesimale lunghissimo attimo, sia stato sufficiente a far di loro persone migliori. Non so se se lo ricorderanno per il resto dei loro giorni (magari no, magari se lo sono già dimenticato...) ma il passaggio del dubbio, del senso del limite, della paura in quei loro occhi fiduciosi è un effetto che lascia qualche scia di riflessione. Per giorni.
Non so loro. Io, in quel momento, ho sentito che avevo paura con loro, vivevo il loro dubbio, assaporavo lo stesso senso del limite.
Il lago era immobile, fermo come una pozzanghera. Ho smesso di respirare per un attimo.
Poi, si sono tuffati.

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