sabato 30 ottobre 2010

Un complimento

Crescevamo tra donne. Gli uomini lavoravano e, nell'Italia del boom, non c'era tempo (non c'era modo?) per stare coi figli.
Ascoltavamo le donne. Anche noi maschietti eravamo spesso catapultati in storie inverosimili di amori traditi, fatiche casalinghe, malanni ancestrali che non avevano un nome ma solo dei segni. Sembravano un miracolo, però al contrario.
Qualche volta restavamo schiacciati da tante parole, in quei pomeriggi uggiosi d'estate, quando il sole era ancora troppo alto per uscire per strada, e bisognava restare in casa. Riposare un po'. A nove anni riposare significava almeno stare ad ascoltare. Il tempo passava più veloce, lo spazio si riempiva di vecchie parenti lasciate in campagna, di lavori d'un tempo, della difficoltà di essere state strappate alle proprie origini. Si stava in città, anche se era soltanto un paesone.
Nella testa, mi frullano ancora parole e storie, situazioni di donne. Racconti.
Stasera, ad un compleanno, un babbo parlava di un altro bambino e diceva: "ah, ha un carattere bello, espansivo. Parla tantissimo, come una donna".
Ecco: un complimento così l'avrei voluto per me. Un piccolo uomo che parla (e quindi magari parlerà anche da adulto), che sa esprimere il suo mondo, che non resta mutanghero e attorcigliato intorno a pensieri che non sa decifrare.
Un ragazzino che racconta.
Fantastico un uomo che parla come una donna.

venerdì 29 ottobre 2010

Ironici e abominevoli

All'ennesimo possibile reato del Presidente del Consiglio, che ormai spazia dai grandi reati economico-finanziari fino ai risvolti malavitosi da marciapiede, stavolta particolarmente odioso, ecco ripartire l'ironia da stadio.
Naturalmente il Premier ci mette del suo: "aiuto chi è in difficoltà". Travestito da babbo natale dell'abuso di potere a favore degli "amici", si rende davvero un ominicchio.
Facebook si traveste da curva e si riempie di "ironici" (?) commenti e facezie da buontemponi (!): "pagami le bollette", "aiuta anche me". Massì, facciamoci quattro risate. Siamo ridotti a questo. Invece di vedere il reato o, almeno, il laido che c'è in quell'uomo, ci ridiamo su. E bravi pagliacci.
Persino Repubblica, che ha un po' perso la trebisonda sulla realtà che ci circonda, ci sguazza, spiegandoci a modino cosa sia il "bunga-bunga", quale siano le, persino!, nobili origini: a questa specie di scherzo da dementi partecipò persino Virginia Woolf. Quindi, che volete voi, o pezzenti?
Ebbene, non ho nulla da dire. Soltanto tre domandine, facili-facili, come quelle dei telequiz:

1) ma sia proprio sicuri che ci sia da fare dell'ironia su qualcosa che significa "stupro di massa"? Ma ci siamo tutti bevuti il cervello, o cosa?

2) ma è possibile che il codice penale, che servirebbe a dirimere e sistemare alcune questioni, quando esse si presentano, non valga proprio più nulla in questo Paese?

3) esiste (o è mai esistita) una opinione pubblica seria, matura e responsabile in questo Paese? O ci siamo tutti, donne e uomini, trasformati in fantastici, splendidi, abominevoli cazzoni?

Buona giornata.

giovedì 28 ottobre 2010

In ritardo

Arrivare tardi. E vederli sfiniti, sulle loro seggioline, che finiscono di cenare ma in realtà la stavano tirando per le lunghe, solo per aspettare te.
Le giornate finiscono e sfiniscono anche i grandi, anche se li pensi da qualche parte, tra le quinte della loro vita quotidiana: in classe, dai nonni, in palestra.
Aspettavano te perché l'appuntamento serale è con la lettura del "nostro" libro: La guerra dei bottoni.
L'uomo piccolo non ce la fa, crolla. La donna grande vorrebbe ascoltarti lo stesso.
Poi però si rende conto che non è la stessa cosa andare avanti con la lettura senza che ci sia suo fratello ad ascoltare, insieme a lei.
"Babbo, spengi la luce. Lo leggiamo domani sera, se torni prima".
Ci puoi giurare che torno prima, domani.
E anche dopodomani.
E dopo.
E.

mercoledì 27 ottobre 2010

Prendere esempio

Ecco, per fortuna, uno gli amici se li sceglie. E spesso ti riconosci senza saperlo, perché le parole passano anche senza dirsele.
Mi spiego meglio.
Sto ragionando intorno ad un mio progetto mentale che dice "ereditare dai figli". E' una frase che mi circola in testa, dopo aver letto un articolo di Giorgio Vasta su Repubblica qualche giorno fa.
L'articolo era molto interessante, parlava di come si sono formati i modelli culturali di noi quarantenni italiani. Eccolo.
Poi la 'povna, l'amica di cui sopra, scrive questo post che parla di molte cose importanti. Che sta facendo lei, da singola cittadina e da insegnante, e che stanno facendo i suoi ragazzi, a scuola.
Cose importanti e belle che, come dice lei, sembrano aver perso smalto e a cui invece dovremmo avere forza, coscienza e lucidità per ridargli un significato profondo.
Forse, si dice talvolta la 'povna, saremmo noi adulti.
Le ultime righe per me una folgorazione, con quel che mi gira in testa.
A dover prendere esempio dai figli.
Ereditare da loro.

Queste sono le ultime righe del post della 'povna, così, come una sottolineatura mia (anche se non ne avrebbero bisogno, io ne ho bisogno):

Credo che si debba riflettere bene, prima di bollare facilmente ogni forma di protesta come sterile e poco meditata. Per la verità, mi pare che gli studenti, pur usando forme che hanno perso, al giorno d'oggi, molto smalto, facciano di tutto per ridare loro un significato profondo e personale.
Forse, mi dico talvolta, saremmo noi adulti a dover prendere esempio da loro.

domenica 24 ottobre 2010

Infiniti

Tuo figlio si è addormentato sul fianco, nella posizione del "4".
Il respiro è regolare e lento, fa alzare e abbassare il pigiamino e, al posto dell'energia vitale (quella che lo fa schizzare in ogni dove sotto lo stimolo continuo delle sue sinapsi), ci sono la rilassatezza e l'abbandono totali.
Ma quale sarà mai questa posizione del "4"?
Il busto leggermente inclinato in avanti con le mani infilate quasi sotto la gota. Le cosce piegate con un leggero angolo acuto e i polpacci verso il basso, stavolta a 90 gradi. Piedini sovrapposti e distesi.
Tu, che sei suo padre, lo guardi per un po' respirare. Lo carezzi: è tenera, la postura.
Poi non puoi resistere. Ti stendi lì accanto e, come una valva, aderisci perfettamente alla sua posizione: busto in avanti, cosce piegate, polpacci all'ingiù. Lo contieni, sei la sua scatola, il guscio.
Siete due quattro, adesso. Vicini, praticamente uno solo. Un'addizione di respiri.
E quattro più quattro fa otto.
E otto, "8", girato su un fianco, è il numero dell'infinito.

lunedì 11 ottobre 2010

Consumismo

Stamattina la donna grande squadra con occhi assonnati il pacco dei biscotti che mangia di solito a colazione.
C'è su uno dei soliti, idioti concorsi. Questo dice "Vinci 10 sveglie ogni giorno".
La donna grande legge, è evidente dall'attenzione che ci mette. Poi fa una faccia, avreste dovuto vederla: ciglia sollevate al massimo dell'estensione, occhi spalancati e bocca aperta.
Si gira verso di noi, mezzo secondo scenografico di incertezza e poi:
"Scusate, ma che ci fa uno con 10 sveglie 'al' giorno"?!?!?!
Appunto.
E per fortuna i bambini sono più intelligenti (e dissacranti) di qualsiasi genio del marketing.

venerdì 8 ottobre 2010

E' famoso, per fortuna

Nobel per la letteratura a Vargas Llosa.
Stamattina 'Repubblica' tira un sospiro di sollievo e titola: "Il Nobel questa volta è famoso". Perché, come spesso capita a quei riottosi dell'Accademia svedese (che, avendo ormai ben chiaro come i premi siano discutibili, puro marketing, si prendono spesso il lusso di premiare per motivi politici), anche stavolta erano circolati nomi difficili, gente che va letta con qualche sforzo, che ci interroga chiedendoci la fatica di seguirli su sentieri non consueti. Così era stato per Lessing (definita "autrice illeggibile", se non ricordo male da un giurato dello stesso Nobel) oppure, lo scorso anno per Herta Muller: autrici non già premiate dal mercato (la Muller era a mala pena tradotta in Italia...) e a cui il Nobel non avrebbe fatto aumentare tirature e vendite. Due autrici donne, peraltro, bistrattate dal mercato e dall'establishmet culturale (che in Italia spesso sono la stessa cosa) senza pietà.
Invece vuoi mettere quanto sia meglio vincere un bel Nobel con Pamuk o Vargas Llosa, autori già riconosciuti e ben venduti, ai quali stuoli di addetti markettari possono tirare una splendida volata fatta di vendite, di incassi, di copie ristampate e impilate anche all'Esselunga. Ma con fascetta celebrativa, beninteso!
E a nulla importa che tanti librai e lettori in giro per il mondo già conoscano e apprezzino e leggano e vendano da anni, pur senza imprimatur, certi grandi autori e grandi libri. Vincere fa vendere due, tre volte.
Grandi discussioni si potrebbero aprire sui gusti del pubblico dei lettori (o sui consumi dell'industria culturale). Molto spesso si dice che il pubblico (i consumatori) non è affatto impreparato e anzi sceglie con piena cognizione di causa. Personalmente credo ci sia invece tantissima pressione sui nostri gusti da parte di pubblicità e strategie promozionali in genere: molto spesso (quasi sempre?) scegliamo perché ci hanno "consigliato".
Vendere, vendere, vendere. Che non ci sarebbe niente di male. Se un lettore potesse leggere su un quotidiano qualche notizia interessante invece che il sospiro di sollievo tanto atteso: "oh, almeno stavolta Vargas Llosa si vende".
Altro che populismo mediatico.
(E speriamo almeno che qualcuno, stamattina, dopo aver saputo la notizia, sia corso in libreria a comprarsi un libro del peruviano - "come si chiama? Quello lì, quello che ha appena vinto il Nobel" - rinunciando a quel fantastico paio di scarpe che aveva adocchiato in vetrina o a quello miracoloso "mai-più-senza che proprio mi mancava". Almeno ci avrà guadagnato un libraio: categoria a rischio estinzione).

venerdì 1 ottobre 2010

Madre e figlia

In treno. Di fronte a me, una figlia poco più che ventenne e sua madre, perfettamente alla moda. Conversano. Poca ironia e una dinamica fatta di reciproci rimbrotti, neanche troppo affettuosi. Quasi un'educazione. Più la figlia alla madre che non viceversa.
A un certo punto - la temperatura nel vagone è piuttosto bassa - la madre mette il giaccone che la figlia si era tolta poco prima.
Fanno il punto sul loro fine settimana a Firenze poi la figlia telefona al fidanzato. La mamma invece riceve una chiamata da un'amica che le augura un "buon fine settimana". Il marito, e padre, è rimasto a Milano.
E se fosse una fuga, una vacanza tutta femminile: madre e figlia che scappano dalla routine milanese?
Poi, quasi con una manovra da prestigiatore, salta fuori un iPod Classic e le due condividono gli auricolari, uno per ciascuna.
Certo, potrebbero essere dirette verso un'"uscita culturale": Uffizi, Pitti, Accademia, Piazza Santa Croce, Ponte Vecchio.
La ragazza dormicchia, la mamma guarda fuori dal finestrino pensierosa poi si stringe nel giaccone di sua figlia quasi a richiamare un po' di tepore che, a quanto pare, non è ancora arrivato.
O magari stanno semplicemente andando a trovare qualcuno: un parente lontano, un'amica con un bimbo appena nato, l'anziana nonna. Ma no, magari alla fine è solo shopping.
L'immagine dei due visi col filo bianco degli auricolari che scende, uno di qua e l'altro di là, è poco "chiara" nel mio orizzonte. Sono forse amiche che condividono una comune passione musicale? Oppure esiste un ruolo di genitore e uno di figlia/o, con tutto quel che questo vuol dire? Dove i compiti non si confondono, dove le rispettive responsabilità sono ben definite.
Buffa, questa forma tutta contemporanea di madri/figlie che si rincorrono nell'assomigliare una all'altra, nell'essere una l'altra, nel vivere dentro il confine strettissimo della cellula familiare come orizzonte ultimo.
C'è un'altra ragazza in un sedile poco più in là che riceve in continuazione telefonate da amici/che ed è tutto un profluvio di chiacchiere, esplosioni di risate e confidenze e scambi di battute e appuntamenti alla fine del viaggio.
La figlia no, lei solo una telefonata al fidanzato poi basta: la mamma e il loro iPod. Il babbo, e marito, è rimasto a Milano.
Cosa ascolteranno?...

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