giovedì 28 luglio 2011

Tempi (ultra)moderni

Ci sono momenti, passaggi e giorni da ricordare.
Ci sono compleanni speciali, primi giorni di scuola, prove da superare e battesimi del fuoco.
C'è da abbandonare il ciuccio, dire addio all'orsacchiotto (o al "bauetto": ognuno ha i suoi di oggetti transizionali e, soprattutto, li nomina come meglio crede...), mettere l'apparecchio ai denti (e poi portarlo, ogni santo giorno. E ogni notte, pure).
Imparare ad andare in bici, cascare la prima volta coi pattini, arrivare decentemente a nuotare.
Ci sono tempi che non tornano e ci saranno occasioni non ancora colte.
Ma soprattutto.
Soprattutto può capitarvi una sera d'estate, trovare l'uomo piccolo disteso sul letto con le gambe mollemente accavallate. L'auricolare del lettore mp3 in un orecchio, ad ascoltare Litfiba, e un giochino sul cellulare. Con un'espressione serissima stampata in volto.
"Uomo piccolo, ti piace questa musica?".
"Sì, babbo, mi piace tantissimo!".
Tutto ciò contemporaneamente.

Ecco.
Questo vuol dire che abbiamo proprio cambiato epoca.
Ad otto anni non ancora compiuti.

giovedì 7 luglio 2011

Rifugio

Sono nudi i sentimenti, visti su un treno. Si vedono i muscoli, intossicati dall'acido lattico del silenzio. I tendini induriti dalla distanza.
È una famiglia che sale a Bologna e mi si siede attorno: un lui, una lei, una pargola deliziosa.
Lui ha gesti sgarbati nei confronti di lei, le aveva intimato di controllare i posti sui biglietti. Poi, quasi, glieli aveva strappati di mano.
Ora sono seduti ma non si parlano. Lui si attacca al suo iPad e ci scompare dentro. Fino al mio arrivo a Trento, non lo sentirò quasi più parlare (se non al telefono).
Lei compulsa il suo McEwan in lingua originale ma non rinuncia a biasimare "quel maledetto aggeggio" a voce alta, davanti a tutti. Quello che gli sottrae il marito. E lo allontana.
La pargola è il collante: lo sguardo chiarissimo ma triste di un bambino che vede i suoi genitori spesso silenziosi o che comunicano per improperi reciproci.
Forse è solo una giornata di passaggio, forse un viaggio verso le Dolomiti nato storto, forse l'inizio di una cruenta dolorosissima separazione, chissà?
Quel che è certo è che, nelle coppie con figli, momenti così possono capitare: sembra quasi che un pargolo sia un confine, una fatica nel mezzo. E loro che invece fanno di tutto per fare la spola tra mamma e babbo, ricucire la distanza. Provare ad annullare la loro paura più grande. Che una storia d'amore e, con essa, una famiglia, finisca.
Da fuori, guardare dentro uno specchio così profondo devo dire, egoisticamente, che fa bene. Ti fa riflettere, ti fa capire quali sono le priorità, quali le energie da mettere in campo, quali sentimenti coltivare. All'amore, alla vita.
Forse l'iPad può finire in fondo allo zaino, se pesa così tanto.
Forse guardare fuori dal finestrino della vita (o della tua famiglia o di qualunque altra cosa ti stia capitando) è più forte che guardare se stessi spiaccicati su un display ultrabright o come diavolo si chiamano 'sti cosi. Uno di quelli, tra l'altro, sul quale sto scrivendo anch'io questo post.
Accanto a me scorrono le prime cime delle Dolomiti, l'Adige è qui sotto che quasi lo tocco con le dita.
La mia famiglia mi aspetta a pochi chilometri, domani si va in quota. Arriveremo al rifugio Brentei.
Con l'iPad spento, sia chiaro. E sguardi e parole tutti per noi. Guarderemo fuori dal finestrino, senza averci nemmeno il cristallo antisfondamento davanti.
Il cielo ora si è fatto plumbeo. Nuvole pesanti e nere. La situazione, qui davanti, resta la stessa.
E, alla fine, la pargola disegna il muso di un gatto. "Mamma, ti piace?".
Un mezzo sorriso nel buio.
Per fortuna, i bambini esistono.

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