giovedì 26 novembre 2009

Il prete e le donne

"Nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne che si è svolta ieri si sono sprecate analisi, denunce, propositi, programmi. Ma la violenza è stata declinata per lo più in termini fisici. Le ferite del corpo sono gravissime ma non sono le sole. Poche le analisi e le denunce e i progetti per eliminare la violenza che si annida negli snodi profondi delle culture, nei modelli consueti di comportamento quotidiani, delle strutture ideologiche rituali simboliche delle religioni compresa quella cristiana e cattolica".

Queste parole non le ha scritte uno dei soliti atei impenitenti e provocatori.
Queste parole le ha scritte un prete. Certo uno di quelli che le gerarchie ecclesiastiche tengono d'occhio da anni. Ah, se potessero...

Il prete si chiama Enzo Mazzi e spesso ci dà da riflettere.

martedì 24 novembre 2009

Tra noi adulti

La donna grande ed io, ogni tanto, abbiamo conversazioni serie.
Le teniamo in macchina, mentre attraversiamo la città per andare dal dentista, ché fare un brainstorming ci sembra troppo.
L'altro giorno le spiegavo che stanno riorganizzando le nostre scuole (i famosi "istituti comprensivi") e un pezzo del nostro Circolo finirà accorpato ad un'altra scuola media, fuori da ogni logica di "vita di quartiere", così lontana che nessun bambino potrà più raggiungerla a piedi, o in bici. In autonomia, come si usa a quell'età.
La donna grande, vista dallo specchietto retrovisore, ha avuto un piccolo sussulto d'incredulità. Poi, come fanno di solito i bambini, mi ha inchiodato:
- Babbo, ma perché cambiano, se la nostra scuola funziona così bene?!

Ho annaspato, cercando la motivazione adulta a una domanda che non aveva bisogno di risposta.
Così ho provato a spiegare i motivi della riorganizzazione, anche quelli belli e positivi di una scuola che segua i bambini dalla materna fino alla terza media, in un percorso interamente pensato in funzione della loro crescita.

Però la donna grande non c'è cascata.
Neanche un po'.
A otto anni, mi ha risposto così:
- Babbo, secondo me, qui bisogna cambiare il Sindaco e l'Assessore!!!
(e le maiuscole le ho aggiunte io...).

sabato 21 novembre 2009

A Silvia

E' un dolce sabato di sole morente, molto intimo, con la donna grande che mi dorme addosso febbricitante. La lampada da tavolo è accesa qui accanto, su compiti interrotti dalla stanchezza dell'influenza.
Sto leggendo un gran libro, che considero mio tanto quanto di chi lo ha scritto. Mio perché quando leggi della tua vita, della tua città, dei dolori e degli entusiasmi, dell'impegno e della fine di tutto, negli anni in cui eri troppo bambino per esserci, la memoria ti torna, in uno strano processo di recupero.
Studio me stesso, ricordi e nomi e luoghi e Storie. E quella lingua di scrittura (cifra dell'autrice e di una terra) colorata dal dialetto che ho poco parlato allora, laggiù, e che oggi, non appena a quel laggiù torno, riassaporo e parlo con fierezza. Di questo gran libro ho appena letto solo il "Primo movimento. 1981" e già molte storie son tornate, che non sapevo o che ricordavo come un mito fondativo (il naufragio del Rodi) o dove c'ero anch'io (l'alluvione e lo straripamento dell'Albula e io e mia nonna che corriamo giù, da quella via Toscana in discesa, con l'acqua che ci insegue: e questo inseguimento potrebbe essere solo una suggestione infantile, avevo 4 anni). E già molti brividi ed emozioni.
Ora torno di là, proseguo verso il "Secondo movimento. 1983". Poi ne parlerò ancora, perché la Storia non tace.
Men che meno quando è tua.

sabato 14 novembre 2009

Gli fanno le scarpe

Stasera vorrei raccontare una storia.
Non l'ho scritta io e quindi mi sento libero di dire che è bellissima. Dolorosa, perché parla di ingiustizia, ma appunto bellissima. Di un tono limpido e civile fortissimo.
E che racconta, a leggerla ancora più a fondo tra le righe, una marea di altre storie e definisce alcune questioni. Disvela molte ipocrisie. Infine, commuove, anche.
L'ha scritta un grande scrittore italiano che si chiama Angelo Ferracuti (chissà cosa direbbe lui del marketing...), uno che andrebbe letto davvero perché è l'erede di una tradizione letteraria fondamentale (e oggi dimenticata, nei fatti), quella del rigore civile.
La trascrivo, anche se è già apparsa qualche giorno fa su un quotidiano ed è quindi reperibile con un click, perché Angelo, con due righe di mail asciutte e di grande generosità, mi ha dato il suo permesso ("la liberatoria è a vita", mi dice). Lo ringrazio e ricambio l'abbraccio che mi ha mandato in fondo a quella mail, anche se non possiamo propriamente definirci amici: a volte però, la consonanza dei sentimenti del mondo e della vita fa riconoscere gli esseri umani e li rende compagni.
Uno dei suoi libri più recenti è senz'altro quello che col cuore ho amato immensamente: una raccolta di narrazioni straordinarie che indagano, sguardi e parole, la terra dove entrambi siamo nati: lo sconosciuto Piceno.
Prima di lasciarvi alle sue parole, vorrei farvelo conoscere meglio con una descrizione che lui stesso ha scritto, a proposito di un altro suo libro che si chiama Le risorse umane. Dice Angelo:

"Può sembrare temerario parlare di lavoro nell’epoca della fine del lavoro e del precariato diffuso, dove quello a tempo indeterminato è una bestemmia dell’epoca. Cancellato dai media, trattato con fastidio e colpevole spirito servile da giornalisti e opinionisti, è il tema più rimosso di questi anni.
Io sono solo un narratore, uno che può prestare i sensi (parole, sguardi) e che vuole capire. Un non esperto che ha attraversato l’Italia cercando di catturare percezioni di prima mano, scansando la cronaca e cercando le storie, l’epica, con uno sguardo aperto e meravigliato in una geografia che tiene conto anche di un retroterra di memoria, soprattutto letteraria, di riferimento.
Le storie che ho raccontato sono solo una campionatura di un grande libro ‘in fieri’, di lavori e mestieri, antichi o nostri contemporanei, nel qual riportare al centro la persona, le sue rabbie, le aspettative deluse, i desideri e i sogni. In questo libro si parla dei morti di amianto nei cantieri navali di Monfalcone, dell’ultimo e autobiografico giro per le campagne di un portalettere marchigiano, di un manager milanese malato di cancro, un attore precario bolognese, o dell’eroicomica avventura di un violinista colpito da mobbing in orchestra; e poi di un maestro nichilista dell’Irpinia più inaccessibile e chiusa, un operaio metallurgico che vive da cinquant’anni a Oslo e scrive poesie, una comunità di ragazzi down nella città di Leopardi, il dopolavoro degli operai calzaturieri pakistani, di quelli cinesi e invisibili di Prato. Il cerchio si chiude con un viaggio in tir fatto con un camionista siciliano che attraversa gli asfalti italiani e racconta.
Queste sono ‘le risorse umane’ che mi interessano. Gli uomini, le persone, che messe insieme forse possono costituire anche una speranza se un minimo riuscissero ad avere coscienza di se stesse in un mondo che le vuole cancellare".

Ah, dimenticavo, la storia che Angelo racconta ho pensato di metterla qui per due motivi: il primo è che essendo, come detto, bellissima avevo voglia di condividerla; il secondo motivo è che questa storia la farò leggere ai miei figli. Lasciandola qui, sono sicuro di sapere dove trovarla, quando mi servirà. Buona lettura.

GLI FANNO LE SCARPE
di Angelo Ferracuti
(il manifesto, mercoledì 4 novembre 2009)
L'appuntamento è a Casette d'Ete, nella zona industriale, e piove che dio la manda. Un clima londinese e una pioggia insistente, irritante, che sembra non finire mai. Cade da tutte le parti, anche sui prati verdissimi, erbosissimi, perfettamente curati degli stabilimenti della Tod's. Piove su questo edificio che si distingue tra i molti altri sparsi ai lati della strada per un rigore estetico che mette paura. Della vita o non vita che sta dentro non trapela nulla, solo vetri opacati, lampioni spenti, cancelli inviolabili. I padiglioni fascinosi stanno sul fondo, troppo lontani, icone misteriosissime della proprietà privata, niente a che vedere con la classica fabbrica fordista, più spartana e meno altera di questa. L'unica cosa viva è una bandiera italiana che svetta verso il cielo, e sventola sferzata dalle raffiche di vento. Di fianco ha aperto da poco i battenti il meraviglioso spaccio aziendale, e vedo le silhouette delle commesse eleganti muoversi armoniosamente nei locali lussuosi e illuminatissimi, le borse e le scarpe sugli scaffali. Già alle dieci di mattina il parcheggio è occupato da automobili di lusso, ma anche di utilitarie middle class di quelli che vengono a comprare oggetti che uno solo costa almeno un quarto della paga mensile di un operaio.
Ho appuntamento con uno di loro che però è a casa da mesi. Nome e cognome, Guerriero Rossi, sembrano inventati dalla penna bruciante di Paolo Volponi, ricorda quei personaggi un po' mattoidi e sognatori come l'Albino Saluggia del Memoriale, o il Crocioni de La macchina mondiale. È un uomo in estremo pericolo, «che gli antichi greci definivano pharmakòi, capri espiatori e martiri di situazioni conflittuali in cui, annientandosi o venendo eliminati, squarciano il velo di falsa coscienza e mettono a nudo la verità», come ha scritto Massimo Raffaeli a proposito del personaggio tipologico dello scrittore urbinate. Quando scende dall'automobile, Guerriero indossa una felpa grigia con cappuccio in uno corpo magro, kefiah intorno al collo, occhiali dalla montatura in acciaio, rettangolari, e ha un'aria mite ma tenace da bravo ragazzo. Qui c'è venuto solo quando come sindacalista doveva siglare un protocollo per un corso di formazione. Non firmò. Disse polemico: «Ci chiamate solo quando dovete prendere i soldi dagli enti per la formazione, ma non per discutere del contratto integrativo». Infatti lavorava nella fabbrica Tod's di Comunanza, poi una maledetta lettera, in un'epoca - scherzo della sorte - dove non se ne scrivono più, appesa sulla bacheca aziendale e indirizzata al padrone Diego Della Valle, gli è costata il licenziamento in tronco. Problema di certo non secondario per una famiglia monoreddito, moglie e due figli a carico. Una lettera che criticava il modo paternalistico e noto del padrone "buono", quello che andava abbronzato d'estate a Ceppaloni dai Mastella, nell'elargire un bonus di 1400 euro lordi l'anno come obolo, rifiutandosi di firmare l'integrativo, perché Mr Tod's non discute con i confederali, anche se negli ultimi tempi la segretaria dell'Ugl Polverini gli fa spesso visita, ed è accolta in azienda con il tappeto rosso.
La prima cosa che mi dice Guerriero è che lui non è qui a titolo personale, ed è tutt'altro che un personaggio, ma una persona che ne rappresenta altre come delegato sindacale eletto dai lavoratori, un pezzo di questa classe operaia polverizzata e strozzata da una crisi economica senza precedenti, e di un'altra di crisi, quella dell'identità di soggetto politico, che vorrebbero estinta come un Mammuth.
Lui al padrone ha scritto una lettera aperta che puntava dritta al cuore, ma sperava anche al cervello, bontà sua: «Ti ripeto che io sono un semplice operaio che non capisce niente. Sono un povero ignorante figlio di un operaio e di una casalinga, cresciuto in una casa di campagna tra l'orto e il pollaio. Questa famiglia così semplice, tuttavia, mi ha insegnato la cosa più importante: la consapevolezza della morte. Così, approfitto dell'occasione per ricordarti che anche tu morirai, purtroppo. La tua carne marcirà, come la nostra, divorata dai vermi che se ne fregheranno del tuo conto in banca. In altre parole puzzerai di morto come noi. Quindi, siccome sulla tua carcassa non cresceranno violette, un po' di umiltà non dovrebbe esserti gravosa, pensandoci». Ma al padrone non è piaciuta affatto, così lo ha licenziato all'istante. Mancava un quarto d'ora alla pausa pranzo quando i capifabbrica sono andati a prelevarlo sul posto di lavoro e hanno eseguito l'ordine ricevuto, accompagnandolo gendarmescamente nello spogliatoio e chiedendogli di liberare in fretta l'armadietto. Poi, naturalmente, lo hanno anche scortato militarmente verso i cancelli.
I primi tempi sono stati durissimi. Una sera, a cena davanti alla tv, le sue figlie hanno dovuto sentire Diego Della Valle che spiegava le ragioni del suo gesto, e una di loro, allarmata, gli ha chiesto: «Babbo, ma che hai fatto?... che è successo?»
Lo hanno fatto passare per uno psicolabile, Guerriero, gli avvocati aziendali, per quel «gesto solitario ed eclatante», il terribile «insulto, ferale augurio e potenziale, sottile minaccia». Quanta servile retorica i lor signori! Quanta elucubrata brutta scrittura! Tanto che il padrone avverte subito le forze dell'ordine per la pericolosità del soggetto, capace di nuocere. Ma il Tribunale di Ascoli Piceno, con sentenza del giugno di quest'anno, ne chiede il reintegro immediato. La valutazione del magistrato è lapalissiana, ma sembra un pezzo di critica letteraria: «Nella lettera il lavoratore esprime alcune considerazioni, in maniera alquanto macabra dove per sottolineare la pari dignità umana tra datore e lavoratori ricorda, con accenti apocalittici, il ruolo della morte che, ovviamente, colpisce tutti allo stesso modo. Tale passaggio, se da un lato non può ritenersi felice, non contiene a parere del giudicante alcuna minaccia in quanto vi è un esplicito riferimento al ruolo di livellatrice della morte, che imporrebbe, secondo lo scrivente, una maggiore umiltà in considerazione della caducità umana dell'esistenza e della pari dignità degli esseri umani».
Ma gli avvocati del Dott. Della Valle, così lo definiscono sempre in modo ultrazelante nel ricorso, si chiedono sgomenti: «Quale datore di lavoro potrebbe mai conservare la fiducia verso un dipendente che cova verso di lui e rende pubblico tutto l'odio, il disprezzo, il malanimo che trasuda da quello scritto?»
Peccato che il giudice Boeri in seconda istanza rigetta il ricorso e li mazzia così: «Ad una serena lettura, detto richiamo, con tutta evidenza, non contiene alcuna minaccia, neanche implicita indiretta o simbolica, ma è solo funzionale ad evidenziare il ruolo della morte quale elemento livellatore delle disuguaglianze esistenti in vita fra gli esseri umani».
Guerriero ha chiesto di rientrare, racconta mentre siamo sotto l'ombrello insieme ad alcuni sindacalisti, tra i quali Peppe Santarelli della Filtea Cgil, «ma l'azienda ha risposto che mi dispensava dal lavoro e avrebbe provveduto a reintegrarmi solo da un punto di vista salariale». Sta di fatto che dentro la fabbrica non ce lo vogliono, perché quando c'era lui il clima sembrava diverso. «Era più libero», dice. E poi, continua: «Se la scarpa è di qualità, perché l'operaio no? Un lavoratore è tornato dopo sette mesi di malattia e l'hanno messo a fare un lavoro delicato su pelli speciali. Ha sporcato cinque scarpe e gli arrivata una lettera di richiamo. Quando c'ero io non l'avrebbero fatto. Sfruttano la crisi per spaventare le persone».
Ma lui, in attesa di rientrare al suo posto, intanto studia Lettere all'Università di Macerata, guarda un po'. Lettere anche quelle, mannaggia. È capace di intendere e di volere eccome. Infatti ha superato gli esami di Storia romana, Storia dell'arte medievale e Storia della musica greca con il massimo dei voti, l'ultimo un bel trenta.
Continua a piovere. Noto per caso l'insegna posta al lato della strada dove stiamo: via Bernardo Della Valle, e sotto "detto Filippo il calzolaio". Mentre Guerriero racconta ancora come un fiume in piena proprio di fronte al cancello della fabbrica si avvicina una Audi A8 scura luccicante. Alla guida c'è un uomo giovane dalla faccia torva, al lato un vecchio signore distinto, nella mano destra un anellone d'oro, e mi chiede con aria superba chi sono e cosa sto facendo. Gli rispondo che sono uno scrittore e sto intervistando un operaio ingiustamente licenziato, ma vorrei anche sapere chi è lui se non gli dispiace. Il fare borioso da razza padrona mi fa capire al volo che si tratta di Della Valle Senior, l'erede di quello al quale è intitolata la via. Dice che chiamerà i carabinieri il figlio di Filippo il calzolaio. Lo faccia pure, non capisco perché ma è libero di farlo, glielo dico.
Guerriero commenta: «Sarebbe l'unica maniera per rientrare in fabbrica. Sì, me l'ha detto l'avvocato. Potrei solo se scortato dalle forze dell'ordine. Ho dalla parte mia due sentenze che mi danno ragione e dovrei andare tutti i giorni al lavoro scortato dai carabinieri. Ma in che paese viviamo?» Guerriero tornerà in fabbrica, deve tornarci, ne sono certo. Comunque continuiamo a parlare, e i carabinieri non arrivano. Solo l'Audi A8 scura continua a girare a vuoto come un calabrone. E la pioggia continua a cadere.

(Ri)cadute

L'avevo già fatto qualche tempo fa.
Ma bisogna che lo rifaccia, non resisto...
E questa come vi sembra?

venerdì 13 novembre 2009

La donna giusta

La scuola, almeno la primaria, è davvero una galassia tutta femminile (poi si potrebbe discutere per millenni del perché certi ambiti lavorativi siano lasciati per intero alle donne, per poi sminuirne il valore sociale, per poi sminuirne gli stipendi, per poi. Quindi non dico nulla che sennò divento idrofobo).
Nel nostro plesso, tutte donne le insegnanti, donna la dirigente, donne il personale ATA e donne anche le custodi. Solo quest'anno si è affacciato un timido custode-uomo, un signore non proprio giovanissimo che chiaramente si sente come un gatto dentro una piscina: "ma proprio me dovevano metterci? Qui?!".
Che se vai e gli chiedi:
- Scusi, l'uomo piccolo ha perso il grembiule, glien'è mica capitato uno tra le mani? Era fatto così e cosà -
lui ti risponde:
- Mah... le donne mettono tutto qua.
E ti indica un trespolo polveroso in un angolo che sembra non rimestato da decenni. Poi continua a sfogliare il giornale.

Beh sì, avete letto bene: l'uomo piccolo ha perso il grembiule (che è un po' come perdere il rubinetto del bagno: dove vuoi che possa finire? Eppure lui c'è riuscito, volatilizzato) ma è pur sempre un grosso passo avanti rispetto a ritagliare un babbo buttando giù le forbici dalla finestra...

Dopo tre anni di esperienza, l'orizzonte si è ormai definito. Tutte donne pure le rappresentanti di classe.
Tranne me.
Che quando parli ti guardano di sottecchi mentre stanno pensando "cosa ne saprà mai un dilettante d'un uomo di come si fanno queste cose qua".
E quando si invitano a vicenda a prendere un caffè, a fare shopping il pomeriggio, alla seduta di squamomassaggio-urticante o solo iniziano interminabili match di chiacchieralonga, tu non ci sei mai. Perché "non puoi" esserci, tu dilettante che non sai nemmeno com'è fatto un bambino, figuriamoci un paletot con maniche alla raglan...
(Poi, non è proprio così: qualcuna mi coccola un monte, perché quello che è rimasto col cerino corto in mano non va mai lasciato proprio proprio solo. E in fondo, un po' di quel cerino se lo sentono anche loro tra le dita).
E perché i pregiudizi sono duri a morire.
Così ho capito, finalmente.
Eh no, non sono proprio la donna giusta al posto giusto.

giovedì 12 novembre 2009

Buzz-liberisti di tutto il mondo...

Premessa sul metodo: è da diverso tempo che ci penso, al marketing, al buzz-marketing, a che comportamento tenere nei confronti di aziende che ti contattano per proporti i loro prodotti o il bannerino o la recensioncina (finora ho sempre detto no...). Poi l'altro giorno ho letto questo post di Wonder, una delle mamme blogger più autorevoli, che leggo sempre soprattutto per la sua grande capacità di comunicare e di farlo con una ironia e una scrittura che mi piacciono moltissimo. E' scattata una molla: mi son tolto dalla testa una serie di riflessioni che avevo fatto e che non mi sembravano adeguate. Semplicemente è accaduto che un punto di vista e un approccio diversi dai miei hanno dato la stura. Allora, "rispondo", mi son detto. Punto di vista e approccio, diversi?
Giudicherà chi legge...
P.s.: i virgolettati sono citazioni letterali dal post di Wonder che ringrazio tanto, sia per quel post che in generale per il suo blog. E so già che mi perdonerà. (Spero).
___________________________________

Che ci volete fare?
Mi piacciono i giochi di parole, i calembour, il sovvertimento semantico (retaggio del vecchio studente di linguistica, laggiù in fondo?).
E, soprattutto, essendomi ritrovato incapace di raddrizzare la curvatura dello spazio-tempo, non so voi, ho ripiegato su qualcosa di completamente diverso: distorcere in senso giocoso il significato delle parole.
Così, ho sempre pensato che neo-liberismo indicasse una forma del mercato che avesse un qualche difetto, un neo appunto, magari parecchio nascosto (sotto i vestiti, dentro le mutande?). Insomma, un difettuccio che non si vedesse fuori: qualcuno avrebbe potuto notarlo.
Da quando questa ideologia totalitaria su scala globale non ha più avuto ostacoli, il Grande Trattore della Libertà e l'Aratro delle Merci Onnipotenti (ma forse Erich Honecker e Margaret Thatcher insieme avrebbero saputo coniare definizioni migliori... Ci accontentiamo) hanno potuto allegramente dissodare milioni di ettari di coscienze.
Perché le coscienze ben dissodate sono molto più morbide e accoglienti. E io, in particolare, sono tanto contento di essermi liberato (puramente dissodato) di tanti vecchi pensieri che mi inibivano, che mi facevano riflettere inutilmente sulle cose agitando un nefando malefico spauracchio: lo spirito critico.
Giammai!

Perché guai ad essere "una marchettara. Cioè, potrei diventarlo ma solo per cifre che voi non potete permettervi" e siccome "Se ne parla e se ne discute tanto, i puristi s'indignano e si mettono di traverso, ne fanno una sorta d'orgoglio. A cosa serve borbottare anatemi sul buzz, se basta dire NO GRAZIE?".
Infatti, noi buzz-blogger orgogliosi diciamo e, siccome quelle cifre non ve le potete permettere, ve lo diciamo GRATIS. Vogliateci bene, sempre.
Ora mi raccomando: ricordatevi di mandarci un paio di pacchi di pasta e... sì, anche gli odori per il brodo che oggi pomeriggio il super è chiuso per turno. Ah, poi: non dimenticatevi un cadeau per il pupo, anzi i pupi son due, che qui siamo tutti liberi, non farete distinzioni spocchiose, vero?

- Abbiamo il dvd coll'ultimo cartone appena uscito al cine, glielo mandiamo?.
- Cine?... No, non importa, grazie lo stesso.
- Ma come no?!... Guardi che è gratis!
- No, non mi serve. Se mi servisse preferirei comprarlo, così magari scelgo quello che più mi piace. Se non vi dà noia.
- Mah, faccia come crede. Addio.
Vedete com'è obsoleta questa interazione? Loro, le buone aziende, elargiscono e i puristi (vecchie bestie in via d'estinzione, vivaddio!) rispondevano picche. Si mettevano di traverso, cattivelli.
Ma magari è solo l'Aratro che non li ha dissodati bene.
Rispondete no, cari puristi, e poi le aziende scompaiono. Si rivolgono altrove, mica hanno tempo da perdere. E voi avete perso l'occasione, libera e sacrosanta, di dire la vostra sull'ultimo modello di pannolino avvolgente-testa-piedi o sul miracoloso ritrovato per perdere le smagliature mantenendo la ciccia: ma non capite?, vi permette di evitare una pallosissima dieta! Che poi avreste dovuto fare e recensire, liberi.
E che dire dei biscotti della famiglia bianca che vive in un mondo tanto bianco che più bianco non si può? Perché fargli mancare il nostro conforto? Loro, là dentro, son disperati, si strappano i capelli domandandosi dove hanno sbagliato se quei buzzurri, quelli fuori, acquistano biscotti che costano un terzo della metà d'un quarto. E sono buoni uguale (a volte meglio, provare per credere...).
Migliorare i prodotti migliora la vita, altro che palle!

Un mio amico, l'altro giorno, mi ha steso con una battuta che non mi aspettavo. Lui dice che noi neo-consumatori di questo nuovo tempo dissodato quando si tratta di far arricchire chi ci vende qualcosa non badiamo a spese. Ma lui, lo so per certo, non è un moderno blogger come noi. E anzi sarà pure un purista, vecchio e rugginoso. Gli ho tolto il saluto e per quanto riguarda la mia amicizia gli ho detto che mando un corriere a portarla via. Mi ha guardato esterrefatto. Purista imbelle.

Insomma, io mi sono lasciato dissodare e ne sono talmente soddisfatto che non eserciterò nemmeno il diritto di recesso: la mia nuova coscienza mi piace così. Me la tengo (oddio, in realtà la venderei al miglior offerente ma per ora nessuno ha offerto niente).
Così, possiamo ridere alle spalle di quei vecchi e obsoleti puristi e possiamo dispiegare tutto il potere delle nostre coscienze finalmente libere da orpelli e dichiarare soddisfatti che la nostra neo-rivoluzione è partita. Siamo in marcia per il buzz!

Ommadonna, avrò mica detto neo?!

venerdì 6 novembre 2009

Gli accessori del babbo (11): il tempo

Più che del babbo, il tempo è come un accessorio di Gucci: tutti lo desiderano, pochi se lo possono permettere.
Per quanto mi riguarda, però, Gucci non fattura già da parecchio.
Sono ormai tre settimane che mi sento come un cowboy davanti a un'imboscata di pellerossa: vedo minuti, ore, giorni sfrecciarmi contro come punte di frecce sibilanti.
E io che mi sposto frenetico, cercando di schivarle. Invece, non ne ho mancata nemmeno una.
Le frecce del tempo...

Sono stanco: periodo dell'anno in cui ero abituato a correre. Quest'anno (ancora) più che mai. Perché la crisi non è soltanto lettere di licenziamento, posti di lavoro che vanno in fumo, cassa integrazione, redditi che si svuotano, aziende che chiudono.
La crisi è anche la compressione di tempo e spazio, la frenesia della corsa per recuperare con la fatica quello che la normalità ti toglierebbe.
Mobbing di te stesso, per la precisione.

Così, non capisco più niente. Oltre al resto, si susseguono riunioni di comitato a scuola (stanno realizzando i comprensivi: un delirio, anche se la nostra Regione ha una legge molto buona sull'argomento), incontri con assessori, presidenti di quartiere, serate anti-TAV, riunioni in ufficio, impegni canonici ma non per questo meno invasivi come il dentista o l'osteopata o il "passa in farmacia" o la spesa. E poi magagne che rotolano giù come pietre lungo un dirupo, e il tempo si ingarbuglia, scappa via.
Insomma, ci siamo presi tutti un po' troppi impegni.

Meno male che poi le serate passano tra lunghe partite di carte (no, non il poker ma i Pokemon), conversazioni buffe stesi sul tappeto, piccole soddisfazioni nel raccontarsi i sentimenti della giornata. E anche lì, a volte mi sento portato via dai miei pensieri, da incertezze lavorative che non passano (malgrado la fatica agonistica per non pensarci), quel tempo che cola via tra le dita e le frecce che vorrebbero infilzarmi.

Beh, almeno speriamo nel fine settimana: che piova tutto il tempo così almeno non si può mettere il naso fuori di casa e provo a dormire quarantotto ore.
Filate.

giovedì 5 novembre 2009

Alieni

Ecco, sull'argomento questa nota pubblicata oggi sull'Unità è il pezzo migliore che abbia letto.
La qualità del ragionamento è altissima.

lunedì 2 novembre 2009

Quarantena

Anche i virus hanno il loro daffare.
In questa stagione.
Attaccano briga coi più piccoli, mai che si mettano contro qualcuno di grande e grosso (perché poi sai che cadute, il grande e grosso)...
Insomma la donna grande (ma non grossa, non abbastanza) ha l'influenza. Quella lì o un'altra non è dato sapere: il tampone che la diagnosticherebbe costa troppo al SSN, nessuno lo fa.
Quindi influenza, e una qualunque.
Siamo lontani: da scuola, per qualche altro giorno ancora, ma anche dai genitori.
Perché stasera si dorme dai nonni.

A dire il vero, questa nuova tradizione del lunedì sera a dormire dai nonni, non è più così nuova, dura da un po'.
Ben prima di qualsiasi influenza.
Ben prima di romantici tête a tête ed evoluzioni notturne (evoluzioni?!).
Insomma, il lunedì sera la profe frequenta un corso di cucina (per celiaci, con tanto di blog annesso) e desian un corso di storia del cinema.
Personcine impegnate.
Con la scusa subdola dell'influenza...

Quarantena culturale, altro che evoluzioni!

domenica 1 novembre 2009

Partecipazione

Non mi sono particolarmente infervorato per le primarie del Partito Democratico.
Tanto che ho votato il candidato meno peggio.
E questo, come era ovvio, è arrivato ultimo.

Però bisogna riconoscere che l'invenzione in sé è interessante: rispecchia i tempi in cui viviamo e permette ai consumatori della politica di scegliere con consapevolezza il prodotto più confacente.
Insomma, un fantastico esercizio di consumo critico.

Soltanto una cosa ha offuscato il gran successo della consultazione: le lunghe code che hanno funestato i seggi aperti sul territorio.
Il neo-segretario, uomo che conosce molto bene il mondo delle cooperative, ha già pensato a come risolvere il problema. Per la prossima volta.


(fonte per la foto: http://www.gdoweek.it/articoli/0,1254,44_ART_165,00.html?lw=44%3BCHL)

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