martedì 6 novembre 2012

Le donne, la violenza, gli uomini

Per una volta non parlerò con parole mie.
Parlerò con le parole di un'amica con la quale ieri sera ci siamo messi a ragionare attorno ad alcuni temi. Una ragione precisa c'era, per la nostra chiacchierata via chat, ed è rintracciabile qui.
Perché le parole di Annalisa sono fondamentali, soprattutto quando immaginiamo, da genitori ma anche, più semplicemente, da uomini e donne, cosa significhi una "educazione" ai modelli di genere. Cosa significhi riprodurre invece, qualche volta persino inconsapevolmente, vecchi stereotipi. Quanta violenza si nasconda dentro le nostre parole, dentro i gesti. Dentro innocenti battute.
Le "parole per dirlo" potrebbero essere le mie (e lo sono, anche) ma ringrazio lei per averle trovate e tirate fuori. Le lascio qui. Queste:

Credo che sia necessario trovare le parole per descrivere come ci si sente prima di tirare un pugno in faccia alla donna che si ama. Come ci si sente quando la donna che abbiamo davanti non rispetta il nostro essere “maschi” e pensiamo che i suoi genitori avrebbero dovuto insegnarle meglio l'educazione. Non c’è bisogno di arrivare al femminicidio, lo stress nel confronto di genere parte da molto meno.

Queste altre:

Le donne hanno passato decenni a chiedersi cosa voglia dire essere donna, se davvero vuol dire qualcosa, alternando momenti di assoluta negazione (siamo tutti uguali, non ci sono differenze) a momenti di esaltazione estatica del femminile materno ed avvolgente fino all’asfissia. E gli uomini, quando e quanto si sono chiesti cosa vuol dire essere maschi? Quando e quanto hanno preso di petto gli stereotipi per, finalmente, negarli ed essere liberi di prendere un’altra strada, pur dolorosa ma libera ed autonoma? Il tema della violenza costringe ad interrogarsi sulla definizione del maschile per trovare le motivazioni e anche la compassione, nel senso etimologico del termine del ‘soffrire insieme’, che merita ogni essere umano. E la compassione è quella che tiene indissolubilmente legate molte donne che subiscono violenza ai loro carnefici, la radice della sofferenza è la stessa per entrambi. Ed è strano perché quando vedi la tua amica con l’occhio nero vorresti renderglielo a quello stronzo ma quando passano le settimane e i mesi e ascolti davvero con il cuore la tua amica, ti accorgi della verità di quel dolore e che, al momento, non ci sono vie d'uscita.


E, soprattutto, queste:

Intendo che se sei consapevole che ogni tuo gesto, ogni tua parola ha un valore nella costruzione dell'immagine che loro si portano dietro, di maschio e di femmina; se ti lasci gli spazi per raccontare come si sentono nel loro corpo, se gli piace, se sono contente di essere femmine, se vorrebbero essere maschi, ti diverti un sacco e costruisci insieme a loro femmine e maschi nuovi perché anche i loro amici costruiscono il loro essere maschi dallo sguardo delle femmine.

venerdì 5 ottobre 2012

Il balzo evolutivo

Signore e signori, giramento di p...... no, no, no.
Scusate.
Volevo dire: rullo di tamburi (ma vi assicuro che il rumore è lo stesso di cui sopra) per annunciare che, dopo il tutorio vittorio, l'uomo piccolo ha voluto fare il suo balzo evolutivo provando la vetro resina.
Che non è quella della carena degli yacht (come ha tenuto a sottolineare l'infermiera che, ieri sera, ci ha amorevolmente assistito al pronto soccorso fin quasi alle due - del mattino...), ma quella delle ossa rotte.
Ebbene sì, l'uomo piccolo ha finalmente avuto soddisfazione: l'altra volta ci siamo degnati di portarlo al pronto soccorso dopo ben 19 giorni dalla sua frattura a legno verde del polso.
Stavolta siamo riusciti a migliorare la prestazione. Non ci siamo andati subito, ci sembrava troppo, ma almeno il giorno dopo ce l'abbiamo portato (stavolta la mano si è gonfiata, l'altra volta il polso no) e il risultato è stato questo: "rima fratturativa composta in corrispondenza della metafisi distale del V metacarpo che sembra estendersi distalmente alla linea fisaria (tipo SH II)". Ovvero, più intuitivamente, questo:


L'evento si è consumato in palestra, in maniera del tutto casuale, ma ci vedo una certa malevolenza maya visto questo.
Tutto ciò vuol dire anche perdersi l'apertura dell'anno scout (che inizia domani...) e, soprattutto, niente compiti scritti per le prossime settimane.
Sì, perché ha scelto di rompersi la destra, l'uomo piccolo...
Poteva fare attenzione e scegliere la sinistra.
Almeno.

mercoledì 26 settembre 2012

Idee chiare

La donna grande, stamattina, a colazione.
- Appena diventerò Presidente della Repubblica, la prima legge che farò sarà che il bicchiere si mette a sinistra.
- Come, scusa?!
- Perché è più comodo: mentre uno con la destra mangia, se deve bere, prende il bicchiere con la sinistra.
Ecco, abbiamo le idee chiare su come sarà il futuro: destrorsi, prepariamoci a soffrire...

lunedì 17 settembre 2012

Calcio vs judo: lo scontro finale

Beh, siamo stati fortunati.
Dopo lunghe ed articolate conversazioni - la profe ed io - con l'uomo piccolo, abbiamo capito come stavano davvero le cose.
- Veramente, a me del calcio non importa tanto. Io volevo farlo solo per stare insieme ai miei amici.
Insomma, i suoi compagni di classe adorati.
Quelli che gli riempiono le parole ed i pensieri.
È una bella fortuna sentirsi così a casa, nel proprio ambiente scolastico. La donna grande, ad esempio, ha sofferto parecchio prima di entrare in sintonia col resto della classe. L'uomo piccolo, invece, anche aiutato dalla presenza del suo compagno del cuore, è subito entrato in risonanza con tutti gli altri. Senza timidezze, senza complessi, senza fatica.

Sono spesso i sentimenti, non la ragione, a guidare le nostre scelte. Quelli del marketing lo sanno fin troppo bene e ciurlano nel manico alla grande. Ci manovrano.
L'educazione sentimentale è uno dei fondamenti della crescita di ognuno di noi, grandi e piccini, ma credo anche che uno dei compiti più importanti e delicati del mestiere di genitore sia quello di saperli guidare nelle loro scelte, almeno finché non sono in grado di farle in totale autonomia. Magari facendogli capire che esse possono essere il risultato di una buona analisi. Di un buon pensiero. Qualcosa di questo genere, insomma:
- Scusa, uomo piccolo, ma io credevo che tu volessi fare uno sport che ti piacesse.
- Ma infatti judo mi piace.
- E non sarebbe noioso star sempre con gli stessi amici? State già insieme tutto il giorno a scuola.
- In effetti...
- E invece, facendo judo, troveresti altri amici, avresti un altro gruppetto di persone a cui far riferimento.

Non c'è stato bisogno di insistere nemmeno un po'. L'uomo piccolo ha tirato le sue conclusioni che, malgrado le apparenze, aveva già in testa. La sua parte razionale era già d'accordo da un pezzo. La sua esperienza estiva alle vacanze di branco degli scout gli aveva dato proprio questa risposta: amici diversi in contesti diversi. E tutti sono importanti.
Ognuno è un legame.

E poi, perché no, spesso fermarsi al primo impulso può nascondere solo quella voglia di conformismo che tutti conosciamo. Aderire alle scelte della maggioranza, andar dietro a quel che fanno tutti, a quel che è più di moda.
Non siamo pecore.
E i sentimenti li coltiviamo in libertà. O, almeno, ci proviamo.

Ah, dimenticavo...: l'uomo piccolo ha ripreso col judo. :-)

mercoledì 12 settembre 2012

L'ennesima prima volta

Oggi è una prima volta. Come se tutte le altre non fossero state abbastanza "eccitanti": la prima volta al nido, il primo giorno di materna, le elementari, le vacanze scout, la prima volta a casa di un'amica.
Le medie.
La donna grande, oggi, comincia le medie.
È stato un lungo percorso di avvicinamento, cominciato l'ultimo giorno di quinta elementare.
Disperazione per amici e insegnanti che si stavano lasciando.
Tensione per ciò che stava arrivando. Poi la sezione, i nuovi libri di testo. Il pianto scacciafantasmi, i riti propiziatori.
La lunga marcia di avvicinamento somiglia all'approccio di uno scalatore.
Adesso siamo pronti.
La donna grande ha dato la sua definizione: "oggi devo scalare il mio monte Bianco".
Usciamo.

mercoledì 5 settembre 2012

Forse (non?) farà calcio

Il calcio a nov'anni può essere una discreta iattura. Soprattutto se c'hai due genitori che cercano di tenertene lontano in ogni modo. Persino ottenere una maglietta di Messi (rigorosamente ai banchini dei falsi, undic'euro appena...) diventa un'impresa: e insisti e urli e sbraiti.
- Tutti i miei amici fanno calcio.
- Ma perché non lo mandate a calcio?!
- Voglio fare calcio.

Calcio. Per il maschio italiano il calcio non è uno sport, è un'ideologia di quelle non ancora morte, uno status, una rincorsa. Un intero orizzonte culturale.
E non si sfugge.
A nove anni un ragazzino è già prigioniero: le regole, le partite alla tv (europei, campionato, amichevole d'agosto), la squadra del cuore. Ecco serviti, già precotti, i miti a cui tendere: ragazzi, relativamente poco più grandi di loro, ricchi famosi che parlano in tv. Che sono sui giornali, che insegnano come vivere dalle pagine dei rotocalchi, sono trend, sono fighi. Qualcuno sfascia anche una Ferrari: "poverino, chissà che spavento". Che guadagnano fortune senza mai aver lavorato un solo giorno. Perché giustamente a quella età non si lavora, bisognerebbe andare a scuola.

Che p...izza, mi tampina già appena sveglio: "ehi, uomo piccolo, settimana prossima ricominciano le lezioni di judo. Ti iscriviamo, vero?".
No, io voglio fare calcio, calcio ho detto. Non so cosa ci sia di male: ci sarà chi ha chiesto di fare nuoto, chi rugby e chi ping pong. A me piace il calcio e tutte le volte che vado in piazza ci sono i miei amici che ci giocano. Io non so nemmeno come si mette il piede, per calciare.
E poi è uno sport che ti fa sfogare: guarda i genitori, ai bordi del campino, durante la partita. Urlano, imprecano, sputacchiano nell'aria gridando a squarciagola, incitano i loro ragazzi "spezzagli le gambineeee... Arbitro cornuto".
La dirigenza non ci tiene all'agonismo, ce l'hanno detto chiaramente, quando siamo andati con la mamma ad informarci, l'altro giorno. A loro gli interessa che ci divertiamo.
Non c'è judo che tenga, lo capisci?

Capisco che sia così. Io il lunedì mattina, quando rientro in ufficio, sono svogliato. Non ho una squadra del cuore, sono arido, non commento i risultati. Non gioisco, se vinciamo. Ma "vinciamo", chi?! Noi, loro, qualcun altro? Io il calcio lo giocavo per strada, litigavo coi compagni per un gol non concesso, per un fallo laterale millimetrico. Poi la domenica andavo allo stadio: non ci capivo granché, però mi divertivo un mondo... Avrei potuto studiare, invece. Leggere un bel libro.
Sarebbe bello appassionarsi, per i capricci di uno di questi onesti ragazzi, perché non segna più, "ha perso la via del gol" si dice, è deconcentrato. Rischia lo stop, lo metteranno in panchina.
"Se ce l'avessi io sotto mano, lo farei trottare".
Avrà problemi a casa. Povero ragazzo.

(Ma no, che vuol dire. Esageri, come sempre. Tiri in ballo il "maschio italiano". Addirittura un "orizzonte culturale". Ma non sarai un po' un invasato?! In fondo è solo uno sport, si fa così, per ridere. I ragazzi si divertono. Si sfogano, si sa i maschietti non sono come le femmine che sono più tranquille. Solo per questo, per fare due chiacchiere tra amici. Al bar).

Io, l'ho già detto, quest'anno voglio fare calcio.

Quest'anno chissà come finisce. Col judo è in crisi. Forse, forse, forse. Farà calcio.

sabato 18 agosto 2012

Sua Maestà l'Alba

Stamattina il sole non si è fatto pregare. Non c'era foschia e abbiamo potuto vedere già da subito il primo millimetro di idrogeno arancione che bruciava a tutta potenza, imprendibile sull'orizzonte infinito.
Era tutto scuro, in controluce.
C'è un paradosso che sostengo con forza: in spiaggia c'è più gente all'alba che alle 9.00 e non li vedi arrivare. Presenze nere in controluce che spuntano dalla terra, dall'ombra notturna che si solleva pigra.
Camminano.
Sulla sabbia, nell'acqua, sul bagnasciuga, tra le ondine della bassa marea.
Quella vecchina era lì, ci sarà sempre stata, ho pensato, anche stanotte. China fino a terra. E "a terra" è una parola grossa, avendo le mani immerse nel mare. Cercava.
La retina verde strascicata e una mano pigra che cercava, dietro l'occhio, nell'acqua bassa. Poi un guizzo veloce che le fa tuffare le dita sotto la sabbia.
E' una caccia, una minuscola ricerca.

La nostra giornata familiare in spiaggia all'alba è ormai un rito dell'estate, da diversi anni. La sera prima l'eccitazione la si potrebbe incartare in tanti pacchetti di carta luccicante. I pargoli s'inventano quei pochi secondi in cui il sole sorgerà davanti i nostri occhi. Tardano ad addormentarsi, smaniano.
"Faremo un castello di sabbia enorme".
"Faremo il bagno e non ci sarà nessuno".
"Raccoglieremo i granchi, poverini!, morti".
"A che ora ci dobbiamo svegliare"?
E' una festa. Un giorno da calendario.

Se la guardi, la vecchietta è sospettosa. Ti restituisce di sottecchi un lampo, turista strampalato: "che ci fai qui, a quest'ora poi". E continua la sua marcia, a piccoli passi regolari, con metodo, marziale come un esercito anche se di un sol uomo.
Se ti avvicini, però, e le rivolgi una parola curiosa, ti guarda meglio. (I pargoli sono discosti, sbirciano la loro stessa timidezza che gli ha impedito di chiedere). La vecchietta ti spiega cosa fa (tu lo sai già, tua nonna lo faceva, tuo padre anche): raccoglie molluschi. Qualche granchio, se è fortunata, oppure telline. I cannille, sono il meglio del menù.
Mio padre, anche lui come tutti e come lei adesso, li tirava su con le mani, anzi con le dita, infilate fulmineamente sotto la sabbia, dopo aver individuato il foro sottilissimo che li cela. Prelibatezze della povertà, cibo gratuito, lo scopo di una passeggiata in acqua, per le vene.
Varicose, "vedi"?
Sembra tutto semplice, un po' di folklore marinaro.

I pargoli intanto si sono stufati di osservare il loro babbo strambo che si ferma a parlare con la gente, ovunque, e sguazzano in acqua più in là. Gridano allegri, spruzzano, trovano persino un pallone gonfiabile perso da qualcuno e coccolato dalle ondine sottili.
Quando torni da loro, la curiosità torna tutta. Impellente.
"Babbo, ma chi era"?

Quando il filo della conversazione sembra che stia per spezzarsi, la vecchietta ti guarda meglio. Il tuo parlare non è (più) il suo dialetto: "ma tu nen 'cì..." e immediatamente si corregge: "ma lei non è di qui".
No.
Cioè sì.
Io sono (anche) di qui, ci sono nato, ma adesso vivo lontano e forse parlo con un accento lontano. Anche se mi sorprendo sempre quando qualcuno me lo fa notare.
La vecchietta riempie la sua retina da pesca di un vuoto che è sempre lo stesso.
"Pure fjième sta fòre".
"Ogne tante revè, me vè a 'ttrévà".
"Ma qust'anne, ancore, n's'ha vèste".
Una lontananza, la solita. Quella di qualcuno che se n'è andato. A volte per necessità, a volte per scelta. A volte per amore.
Però resta lontano, parla lontano.
E' una caccia, una grande ricerca.

I cannolicchi, invece, stanno qui. Sotto la sabbia, nell'acqua. Vicini.
Basta saperli acchiappare, all'alba, quando ancora figli lontani non sollevano, nelle acque basse, la sabbia.

venerdì 15 giugno 2012

Volevo la mela


Ieri sera, vedendo questo oggetto (peraltro amorevolmente fatto dalle manine della donna grande, con gran uso di strumenti pericolosi come lame e trincetto), sono rimasto abbastanza colpito.
Non so dire in che termini.
Diciamo che la cosa mi ha fatto pensare.
Naturalmente, il messaggio per me è molto chiaro: noi siamo una famiglia che pone moooolte (troppe?...) limitazioni all'uso di oggetti tecnologici.
I nostri pargoli non posseggono nessun oggetto tecnologico personale, se si esclude un piccolo, ormai obsoleto, videogame tascabile.
Molti altri ragazzini dell'età dei nostri dispongono invece di strumenti evolutissimi, all'ultima moda: console, pc, lettori laser di onde extragalattiche, iPod, iPad, iPid, iPud and so on. Gestiscono, nelle loro "tenere" manine, oggetti che tra l'altro hanno prezzi di mercato non indifferenti, che marcano un ulteriore territorio. Un confine e, di conseguenza, un gap.
Che, naturalmente, non è soltanto tecnologico.
Inoltre, una parte di questo armamentario è ludico ma, per altri versi, si tratta anche di strumenti di lavoro, come pc e tablet.
Così, torno ad esprimere la mia consapevolezza, i pargoli ci stanno dicendo che anche loro vorrebbero gli stessi oggetti. Lo stesso status.
Non siamo d'accordo, per una lunga serie di motivi, ma sono problemi nostri, li risolveremo come potremo.
Quel che invece mi sembra utile condividere è la riflessione che continua a rimbalzarmi dentro il cervello da ieri sera in maniera ossessiva ma semplice, quasi banale. E ho fatto delle similitudini.
E' come se, dati i tempi del nostro esser stati bambini, i nostri genitori ci avessero fatto giocare con una calcolatrice elettronica o, per tornare appena un po' più indietro, con un seghetto, una vanga. Un alambicco.
Se c'è una conquista rivoluzionaria delle scienze sociali è stata la scoperta dell'infanzia come uno stato indipendente dello sviluppo umano. Non un mondo di piccoli adulti ma proprio un'altra cosa.
Così dall'infanzia dickensiana siamo passati all'infanzia compresa e protetta dei nostri tempi. I bambini sono all'improvviso e fortunatamente passati dallo status di lavoratori piccoli e malleabili e sfruttabili a quello di persone da educare, con un loro mondo fatto di scuola, giochi, educazione. Sviluppo.
Probabilmente noi quarantenni d'oggi siamo stati la prima (e, direi ormai, l'unica) generazine allevata interamente dentro questa consapevolezza: non ci hanno allevato per lavorare ma ci hanno fatto studiare, giocare, crescere serenamente.
Tutto ciò pare non ci sia bastato. Così stiamo tornando a vedere i nostri figli come macchine competitive da avviare ad un competitivo mondo della produzione. Non mi sembra di poter spiegare altrimenti la nostra folle bulimia di metterli in grado di usare strumenti che, non abbiate paura, li renderanno schiavi per il resto dei loro giorni non appena saranno abbastanza grandi da, appunto, iniziare davvero a produrre.
La motivazione è sempre la stessa, pompata da ogni mezzo di comunicazione: l'alfabetizzazione digitale, annullare il divario digitale. Damogli subito gli strumenti ultranuovi, ultramoderni, ultrafighi. Sennò saranno degli analfabeti.
Qualcuno di noi, se lo ricorda (lo sa) davvero cos'è l'analfabetismo? Io no, non l'ho conosciuto e non ho le idee chiare su cosa realmente voglia dire.
Sono però certo di una cosa: che non si combatte l'analfabetismo iniziando a leggere e scrivere a due anni. Quella è competizione, dei grandi, di noi genitori. Che passiamo ai nostri figli.
"Se mio figlio sarà in grado di spippolare su quegli attrezzi prima degli altri, sarà avvantaggiato". Per non dire "più ganzo", ma questa è ancora un'altra storia.
Allora penso che la generazione che abbiamo tra le mani, i nostri piccoli undicenni o novenni, la stiamo rimettendo in rampa di lancio. Li vediamo come macchine, come oggetti del mondo che ci siamo costruiti, tornando indietro.
E di molto, a mio modo di vedere.
Avanziamo a grandi passi verso il passato.

lunedì 4 giugno 2012

Il vecchio e il nuovo

Oggi è cominciata l'ultima settimana.
No, tranquilli: non c'entrano le sfighe maya, le previsioni dell'oroscopo o i fondi di caffè.
Oggi è l'ultima settimana di scuola elementare per la donna grande. Fra tre mesi circa, minuto più minuto meno, inizierà la scuola media.
Aiutoooooo!!!

Non voglio fare retorica sul tempo che vola, era ieri e cose così. Ci siamo goduti tutto il tempo, i passaggi di rito, il cambio di passo nei compiti, le difficoltà di integrarsi in un mondo - quello dei ragazzini di questa età - dove ogni più piccola differenza è una leva per il rifiuto.
Ora che la donna grande sta sbocciando come un fiore di personalità nuova, ora che le insicurezze stanno lasciando il posto alle prime certezze, ora che faticosamente ha saputo scalare la rupe di quel rifiuto per entrare a testa alta nel gruppetto degli "integrati", lasciamo tutto e ricominciamo daccapo.
Una metafora.
Le fatiche che la vita, anche quella di un'undicenne, ci mette davanti. La paura di abbandonare la via ormai conosciuta per una nuova, che compare laggiù con le incognite del buio.
Ogni tanto un piantino, più o meno disperato, per ribadire quanto adesso non voglia lasciare i suoi compagni, finalmente conquistati.
Il mio cuore, ora che batte davvero in sincrono col suo, è strizzato come una spugna: secco, con tutto il liquido scivolato via.
Sto pensando le parole giuste per consolarla.
Per accompagnare queste nuove paure che arrivano, per spiegarle, se mai sarò capace.
Stasera, forse, ho trovato una chiave e la devo ad Akela, Baloo e Chil: presenze nuove che da un po' di mesi ci accompagnano. (Lo avevo detto qui).
Una loro "carezza" verbale è diventata un'intera interpretazione: il nostro posto è quello dove stiamo. Di volta in volta. E c'è un motivo se quel posto cambia, non sarà mai lo stesso, nel corso del tempo.
Il nostro posto sono le relazioni che stabiliamo e le storie che sappiamo intrecciare insieme agli altri. E sapere che gli altri non sarebbero affatto gli stessi se non avessero incontrato noi, se non ci fossimo trovati ad incrociare certe strade.
Non so quanto sia chiaro questo ragionamento, a chi legge queste righe e alla donna grande, quando glielo farò. Però qui dentro è chiarissimo. Una rivelazione.
Una luce.
Per il nuovo che ci aspetta e ci spaventa e ci commuove, insieme.

giovedì 31 maggio 2012

Bambini, nel tempo.

Le zuffe di bambini che mi ricordo io, per avervi partecipato direttamente o nel racconto di qualche coetaneo, erano piene di imprecazioni sguaiate; di grandi polveroni alzati, chissà perché, quasi sempre contro sole; di occhiali rotti e pallonate in faccia.
Urla, strepiti, spintoni.
Qualche volta avevano persino il sapore metallico di un po' di sangue per un labbro spaccato.
Eravamo bradi abitanti di una strada non ancora violentata dalle auto ma mai abbiamo visto un qualche adulto pararcisi incontro con aria minacciosa durante uno di quei match.
Non dico che fosse giusto o sbagliato, meglio o peggio di oggi.
Soltanto che ce la cavavamo da soli, che trovavamo vie di soluzione. Che in quelle ammucchiate nascevano o si rompevano grandi amicizie, si capivano concetti astrusi come solidarietà e tangibili bisogni come leccarsi le ferite (in senso figurato, il più delle volte) e tornare indietro un po' acciaccati ma tutti assieme. Insomma, mimavamo gli adulti senza sapere bene cosa andasse fatto. Ci sembrava, il mostrare i muscoli, emulazione di un'esistenza adulta che, ancora, ci sfuggiva.
Non capivamo bene in cosa consistesse quella volontà di potenza che stava nel diventare grandi. Crescevamo tirandoci i capelli.

Adesso che, finalmente, adulti siamo diventati. Che abbiamo sperimentato la nostra, individuale, volontà di potenza. Che ci siamo presi responsabilità che nessuno ci aveva così distesamente spiegato. Inventandoci un ruolo, cambiandone le regole peggiori o quelle che semplicemente non ci piacevano, adesso dicevo è come se ci fossimo dimenticati ogni cosa.

Proteggiamo i nostri figli da qualsiasi graffio. Qualche volta sembra persino che vogliamo difenderli dai loro stessi sentimenti, da certe emozioni. Ogni volta che cercano di scaricare quella immensa energia (che noi potevamo disperdere scapicollandoci per il mondo) li redarguiamo, li mettiamo a freno (come se non bastassero i muri altissimi che gli abbiamo costruito attorno): questo non si fa, così non ci si comporta. Non appena accennano, appunto, una zuffa di bambini, si scatena il finimondo.
Il nostro finimondo di adulti.
Di cosa abbiamo paura? Che cadano da un albero rotolando (e magari imparino a rialzarsi)? Che si spacchino un labbro?
Che si sbuccino un ginocchio.
E' un frusciare di gonne, e valgono per madri e per padri oramai, che si fanno minacciose, un "ricordati che devi morire" recitato come un mantra, una difesa piccolissimo-borghese di chissà quale rispettabilità. Di bambini?
E allora, spero un giorno, sinceramente, di veder tornare uno dei miei figli con un occhio pesto. Perché sarebbe molto più difficile spiegarglielo con le "chiacchiere" come ci si sente.

Forse sì, forse ci siamo dimenticati quel che siamo stati.
Anche noi, secoli fa siamo stati bambini.
Nel tempo e senza remore. Se non di crescere.

mercoledì 30 maggio 2012

I tappini. L'evoluzione della specie

 Avevo raccontato qui i tappini e tutto il mondo che si tirano dietro.
Ogni tanto, dicevo, srotoliamo ancora quel campo di carta e i tappini giù, per terra, a fare le squadre: questo di qui, quest'altro di là.
Però non era mai scattata la molla.
I tappini restavano distanti.
Un gioco poco appassionante per l'uomo piccolo che si confronta con ben altre realtà: chi, tra i suoi amici, a calcio ci gioca davvero, chi ne parla spesso facendo riferimento ai campioni del momento (e lasciamo perdere questi cialtroni che rubano con le scommesse clandestine... A un bambino questo sarebbe davvero troppo "doloroso" da spiegare). E poi album, figurine, chipz e le simulazioni iperrealistiche delle console.
L'uomo piccolo galleggiava in un mondo ancora non suo, con qualche mito nella testa, qualche nome esotico di squadra: Barcellona, Real Madrid. Chissà che voli di fantasia, nella testolina.
Finché, pochi pomeriggi fa, ci siamo ricordati di una scatola che la zia S aveva avuto l'intuizione di regalarci. Provo, mi son detto, magari funziona.


 Beh, lo vedete anche voi: non c'è paragone, coi tappini. L'uomo piccolo è partito a razzo, fuori di cotenna. In due pomeriggi di gioco abbiamo già deciso di comprare altre due squadre (guarda caso Barcellona e Real Madrid).
Non faccio in tempo a rientrare in casa che sono precettato per la partita del giorno.
Prima di cena c'è una partita, dopo cena c'è una partita. Diventiamo esperti a velocità supersonica (erano secoli che non tenevo questi ritmi, sul panno verde...) e ci stiamo divertendo da matti. Lo confesso.
Insomma, il subbuteo ERA cosa da ricchi. E, adesso, eccolo qua questo lusso.



lunedì 14 maggio 2012

Che carini (cortometraggio in due tempi...).

1° tempo
Le scelte potevano essere molteplici. Rose oppure orchidee, un bel libro, un'ottima eau de toilette scelta nella profumeria più chic della città, magari con l'aiuto del babbo. Una fantastica torta gluten-free, sarebbe bastato anche un bel bacio sulle gote.
Invece la donna grande si è presentata con questa, alla festa della mamma:


2° tempo
Sotto la doccia, al mattino. L'uomo piccolo è lì accanto che si lava i denti. Si gira verso di me con sguardo indolente. Cosa potrà mai vedere attraverso il vetro pieno di goccioline?
- Mamma mia, babbo, hai una pancia!
- Come, scusa, uomo piccolo?! Non ho capito.
- Eh sì, hai un pancione. Dovresti metterti a dieta.

...
Come non volergli bene a questi delicati esserini che ci adorano?!
Ci adorano???
Per fortuna. Grunt!

venerdì 11 maggio 2012

Amori

La profe, in questi giorni, è particolarmente innamorata del suo uomo piccolo.
Lui ci mette del suo, e lei sdilinquisce.

- Come sei bellino, uomo piccolo!
(Lui ammicca).
- Ma cosa ti è successo?! In questi giorni sei fantastico!
- Perché?!
- Non lo so. Sei diventato proprio un ometto, sei carino. Sei persino diventato empatico.
(La fulmina con lo sguardo).
- Antipatico?!
- Ma no, EMpatico.
(Sospettoso).
- Aha... E che vuol dire?!
(Sempre più sospettoso).
- Vuol dire che hai imparato a metterti nei panni degli altri.
- Ma qua siete tutti matti... Io i panni c'ho i miei!!!

mercoledì 9 maggio 2012

La logica delle parole

- Uomo piccolo fai presto, oggi dobbiamo andare dall'osteopata.
(Di solito non ci vuole andare nemmeno trascinato).
- Certo, babbo. Andiamo.

- Ciao uomo piccolo, come va?
(Di solito non risponde se non lo si pizzica sulla schiena, come big jim).
- Ciao osteopata. Tutto bene... ehi, guarda quante marionette!!! Posso prenderne una?! Posso, eh, posso?!
- Ma certo, uomo piccolo, prendine quante ne vuoi poi stenditi sul lettino. Pancia in su.

Nasce una lunga storia, complicatissima, in cui spiderman incontra il coniglietto bianco e insieme combattono l'ombra nera. Nel frattempo la contadinella, che passava casualmente di lì come tutte le contadinelle che si rispettino, si spaventa della lotta e cerca di scappare ma le si para davanti il topo. Cosa vuoi topo? Io ho paura e voglio solo scappare. Lasciami passare...

L'osteopata fa di tutto per non sganasciarsi. Anche perché di solito l'uomo piccolo, appena finisce sotto le sue soporifere mani, cade addormentato come un micco. Stavolta è iperenergetico. Lucido.

Iperenergetico ma molto ligio alle indicazioni: "stai fermo" e sta fermo; "girati di qua" e si gira; "guarda di là" e guarda; "resta in silenzio per 4 o 5 minuti" e si cheta. Insomma.

A fine seduta si alza, si rimette le scarpe, si stiracchia e si gira verso il solito scaffale delle marionette.
- Ehi, guarda questa pallina!!! Figa!

E perché, VOI? Voi non sareste sbiancati?!
L'ho preso per un braccio, scuotendolo un po'. Neanche troppo delicatamente.
- Eh no, uomo piccolo. Questa parola proprio non va bene.
- Ma come no, babbo: se fosse stato un pallone sarebbe stato figo. Invece è una palla, è figa.

Per fortuna l'osteopata ha cominciato a sganasciarsi in libertà.
Così sono svenuto sereno.

mercoledì 2 maggio 2012

Scheletrici

Tutti, o quasi, hanno il loro scheletro nell'armadio.
Noi il nostro lo teniamo sepolto in cantina, tra ruote e camere d'aria, vestiti dismessi e vecchie riviste, nel mezzo di una pletora di ripiani di Ivar. Ben carteggiati e ottimamente dipinti, come sa chi mi conosce da tempo.
Giuro, non stavo divagando.
Il nostro scheletro nell'armadio è l'umidificatore per piccoli ambienti.
Sì, lo so: vi starete dicendo "ha sbagliato, intendeva DEumidificatore". In questi anni ci hanno martellato tutti che in ogni casa middle class che si rispetti doveva esserci un DEumidificatore. Per assorbire un intero canale, appunto.
D'altronde, come sappiamo, le persone che hanno figli sono una miniera d'oro e comprerebbero qualsiasi cosa. Se sai come vendergliela.
Così capita che persino il pediatra, basta tu gli prospetti che "la bambina di notte respira con un po' di fatica" oppure che "le viene spesso la tosse", diventi l'ignaro complice di questo scempio.
"Beh, in effetti nelle case d'oggi teniamo tutti il riscaldamento a palla. L'aria è costantemente troppo secca... Insomma, si potrebbe provare con un umidificatore che regoli un po' meglio il tasso di umidità nell'aria. Lo vendono in un qualsiasi negozio di elettrodomestici. Vedrete, la bimba se ne gioverà".
Egli ti apre davanti praterie di sensi di colpa: "vorrai mica far star male la tua bambina, genitore degenere perché poco consumista?".
Il tuo desiderio di serenità domestica, la forte volontà di salute per la tua unica bimba (all'epoca l'uomo piccolo non era ancora nato) trasforma ogni consiglio in un ordine, qualsiasi oggetto (anche il più inutile come poi si rivelò quello in questione - usato tre, dico 3 volte) in irrinunciabile.
E qualsiasi negozio farebbe carte false per comprarti, genitore pronto a spendere qualsiasi cifra, o quasi, per qualsiasi oggetto. O quasi.
Insomma, ancora una volta, siamo consumatori. I nostri figli sono la semplice variabile di una transazione economica, noi stessi siamo merci perché se non avessimo figli ci venderebbero comunque tanto tantissimo altro.
Mai come in questi anni i migliori cervelli fanno ricerca sui nostri comportamenti, sulle nostre abitudini. Darebbero un rene per sapere dal primo giorno quando una donna è incinta: la preda più appetibile catturata immediatamente. Quel che compriamo già, ad esempio, lo sanno dai nostri scontrini ma vorrebbero poter sapere cosa compreremo domani, tra nove mesi.
Genitori attenti, siete appetibili ma non per la gioia che verrà dai vostri fantastici neonati-bambini-ragazzi. No.
Siete una preda prelibata, senza remore, senza spirito critico. Il consumatore ideale. Quello che dice sempre e solo "sì".

A proposito, se qualcuno avesse bisogno di un umidificatore si faccia avanti. E' inutile ma almeno noi ve lo regaliamo!

sabato 28 aprile 2012

Stavolta letteratura

Mi piace molto trasformare i nostri spostamenti famigliari in un'occasione di viaggio.
Deviare dal sentiero tracciato, uscire dal lungo "binario" che ti porta, in tanti chilometri, da un luogo all'altro.
Così oggi ci siamo fermati in uno dei molti luoghi intermedi che troviamo lungo la strada, Perugia.
C'era una mostra, abbiamo trasformato il pranzo in un picnic, siamo riusciti a fare una mezza passeggiata (con gelato...) prima di ripartire verso la nostra meta.
Nel bel mezzo di questi passi spensierati e distesi, a un certo punto, la profe e la donna grande si sono lanciate in una conversazione ardita. Issima, per tanti motivi.

- Scusa mamma, ma chi era Marilyn Monroe?
- Era un'attrice, un sex symbol degli anni '50.
- E che vuol dire sex symbol?!
- Beh, significa che era una donna così bella che incarnava il desiderio sessuale dei maschi.
- Ah, ho capito! Come Beatrice!!!

Ecco come trasformare Dante e il dolce stil-novo in prodotti degli istinti più animaleschi.

giovedì 26 aprile 2012

Riscrivere la storia

N.B.: La nuova, mefitica, interfaccia di Blogger non è il massimo che ci si potesse aspettare dalla vita.
Per usare un eufemismo.
In più, accedendo con iPad, devo aver fatto qualche casino anch'io. Resta il fatto che questo post era andato perduto. Rimanevano solo i commenti...
Così ho provato a riscriverlo, a memoria. Non è venuto proprio come l'originale ma il senso resta.
E quelli di voi che la usano, come si trovano con la nuova interfaccia di Blogger?!
Io la odio.
Decisamente.
____________________________


Le aste sono cose d'altri tempi.
I primi (e anche i... secondi e i terzi) rudimenti di aritmetica sono oramai acquisiti.
Verbi e coniugazioni cominciano a comparire nell'universo.
Geografia, invece, nemmeno l'ombra. Né fiumi, né monti, né pianure.
Non resta che dedicarsi alla storia. Anzi, alla preistoria.
Homo habilis, Neanderthal, australopiteco, l'uomo di Cro-Magnon. Paleolitico, neolitico e tutto quel che c'è attorno. Che l'uomo piccolo ripete così.

"Dedicandosi all'agricoltura, l'uomo del Neolitico non aveva più bisogno di spostarsi e decise di diventare stanziale. Cominciò a catturare gli animali e, invece di ucciderli subito per mangiarli, li allevò. Gli dava da mangiare e li faceva riprodurre. Cominciò allevando pecore e capre e riuscì ad addomesticare il cane selvatico che divenne un aiuto utilissimo nella PASCOLIZIA".

Ecco, se avessero saputo come sarebbe finita, i pastori del Neolitico non si sarebbero dati così tanto da fare. Bastava la PASCOLIZIA, mica la pastorizia.

lunedì 23 aprile 2012

Crescere

- Conoscete tutti la storiella dell'elefantino, vero?
- No.
- No? Ah, beh allora. Eccola qua.

In un circo vive un elefante grande e grosso, legato ad un piolo piccolo piccolo.
Un giorno, un visitatore del circo si avvicina all'elefante e, rendendosi conto della situazione surreale, si rivolge al domatore.
- Scusi, ma perché l'elefante è legato a quel piolo così piccolo e non si libera?! Potrebbe cavarlo via in qualsiasi momento, senza alcuno sforzo.
- Sì, certo - risponde il domatore - ma lui è lì dal giorno in cui è nato e mica lo sa di essere cresciuto.

Ecco.
Buona settimana a tutti.

lunedì 12 marzo 2012

Le mamme blogger se stanno a allarga'

Lei è elasti.
Chi non la conosce... Ecco, appunto, chi non la conosce?
Sarebbe la mamma degli hobbit ma in realtà è la mamma di tutti noi, genitori blogger (non solo mamme), la capostipite di una intera genìa che ha invaso il web.
Insomma, senza farla troppo lunga e troppo celebrativa (in realtà il mommy blogging viene da più lontano, dagli USA soprattutto), da queste parti è stata lei una delle prime e, senza dubbio, la più seguita.
Qui.
Così tanto seguita che persino il Quirinale se n'è accorto.
Io invece, del fatto che persino il Quirinale se ne fosse accorto, me ne sono accorto solo ora, qui. Perdo colpi, con l'autoaggiornamento mediatico, lo ammetto.
E mi sembra una gran bella cosa. Intanto perché se hanno nominato elasti "Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica" vuol dire che anche le Istituzioni (o almeno alcune) cominciano a guardare un po' oltre il loro stesso naso.
Poi, trovo anche molto interessante (rivoluzionario, forse?...) che ad una persona normale, per il solo fatto di essere genitore, venga riconosciuto un merito. Non è poco come cambiamento di rotta, come messaggio inviato all'opinione pubblica.
Infine, elasti scrive divinamente (prima ancora di «aver contribuito, con il suo personaggio di "mamma elastica", a diffondere un'immagine ironica e intelligente delle sfide quotidiane che deve affrontare una donna che è insieme professionista e madre» come recita la motivazione ufficiale) ed è stata lei stessa motore di un cambiamento, anche di una forma di coraggio che ha aiutato tant* altr* genitor* a guardarsi e a raccontarsi, cercando la condivisione delle proprie esperienze.
(E' vero: c'erano anche altri genitori, pare, insigniti tutti della stessa onorificenza. Ma elasti è elasti, proprio una di noi).
E allora: brava, Claudia. E tante grazie a te!

giovedì 8 marzo 2012

Post(o) d'onore

Solitamente non scrivo alle riviste.
Però la rubrica di Claudio Rossi Marcelli su "Internazionale" è per me un appuntamento fisso: è riuscito a sopravanzare persino l'oroscopo di Brezsny che così è retrocessa a 'seconda pagina che leggo'.
Allora, da lettore diligente, ho scritto la mia brava mail per sottoporgli un quesito che mi sta a cuore da tempo. Da quando mi dicono "vedrai, non sai cosa ti aspetta". Insomma la donna grande diventa sempre più grande e tutti mi mettono in guardia. Da cosa?
Claudio è stato gentilissimo. La sua risposta, come sempre, è molto intelligente ed anche ironica. E pure puntuta, non si nasconde dietro nessun dito. Direttamente al centro.
Mi è molto piaciuta, la condivido in pieno. Soprattutto quando dice "che i figli crescano e comincino ad avere una vita sessuale non mi crea nessun turbamento".
Ho sempre pensato che i figli non siano né piezz'e corebelli di mammà. I figli li penso come piccoli (neanche poi tanto; neanche per sempre) vascelli pronti a salpare. Anzi, come Gibran, li sento le frecce viventi del domani, "la brama che la vita ha di sé".
Oggi, in occasione dell'otto marzo, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non ha potuto fare a meno di sottolineare come, troppe volte, gli uomini considerano gli affetti una loro "proprietà".
Non voglio mescolare troppe cose ma oggi, Claudio Rossi Marcelli da una parte, Gibran dall'altra, Napolitano da un'altra ancora, hanno detto cose importanti e belle. Per riflettere, da ricordare.
Tra tutti e tre, mi sembrano proprio una bella compagnia. Dedico loro questo post(o) d'onore.
Ah, e non c'è dubbio: dormo notti tranquillissime!

giovedì 1 marzo 2012

Gli accessori del babbo (22): i tappini

I tappini sono una dimensione dell’anima, sono una primavera che si srotola sul tappeto di sabbia del mare, sono le zuffe violente per la posizione, il risultato, la classifica che non tornano mai.
Colpa tua.
No, tu rubi.
Testa di.
Inutile nasconderlo, i tappini sono anche l’eloquio senza freni che si forbisce in strada, tra compagni a scuola ma anche, soprattutto (ah, che dolcissimo sadismo!), in parrocchia, tra un prete e l’altro, in attesa che passino.

Tutto ciò non è accaduto in una seduta di ipnosi regressiva ma semplicemente per strada, mentre attraversavo la città, da un capo all'altro, per lavoro. C'era per terra un tappino di birra schiacciato, l'ho calciato per un riflesso animale e "gol!", si è riaperto un mondo.
I tappini sono quei pomeriggi lunghi già abbastanza per rimaner fuori ma non tanto da permettere una vera partita di calcio, con le conte per selezionare le squadre e tutto il resto, compresi supplementari e calci di rigore se si arrivava pari. A quell'età volevamo un vincitore e, più ancora, uno sconfitto.
Tutti i giorni.
I tappini mimavano bene questo rito. Bastavano dita allenate e spazi decisamente più ridotti: un campo poteva stare abbondantemente sotto il metro quadro, una pista appena un po' di più. A calcio vero, giocato, in un metro quadro ci si prendeva a pedate.
I tappini erano epici e avevano nomi esotici: Cile o Perù nacquero certamente prima sui tappini che nella consapevolezza delle carte geografiche, Roger De Vlaeminck recitato come una litania blasfema, Tarcisioburgnich tuttattaccato (e, laggiù in provincia, bastava anche Maurizio Simonato come scioglilingua della fantasia). Suoni come perle che cadevano a terra rimbalzando.

I tappini, oggi, sono una difficoltà. Quella di tramandarne il senso, il fascino, la fantasia ai figli. Tanti concorrenti sleali (elettronici, rutilanti, rumorosi. E' il 2.0, bellezza) ma qualche volta quel campino di carta si srotola ancora. Sul parquet, in camera, coi tappini buttati fuori dal sacchetto che corrono via. Come perle, rotolano.
I tappini erano anche quell'altra magia: sorseggiare litri e litri di gazzosa (ché la birra non era ancora adatta, all'età) per farne scorta. Stando attenti, delicatissimamente, quando si stappava la bottiglietta: ero diventato un esperto a tenerli quasi lisci, alzando pian piano la corona, millimetro dopo millimetro.
I tappini erano la cura estrema e faticosa (la gazzosa, per quanto poco, costava) di procurarseli e non perderne nemmeno uno.
Preziosi.
Erano tutto questo, i tappini, ed altro ancora mentre il subbuteo era cosa da ricchi.

mercoledì 29 febbraio 2012

Rossella libera. Free Rossella

Oggi è il giorno in cui molte voci si uniscono per parlare di Rossella Urru.
Per dire che vogliamo vederla tornare libera.
Lei che, come tant* altr*, ogni giorno opera perché un pezzettino di mondo sia migliore. Perché donne e bambini, proprio come nel caso specifico di Rossella, possano sopravvivere alla povertà. Alla fame.
Rossella, ti aspettiamo.

giovedì 23 febbraio 2012

Dello stile

Magari il tuo scrittore preferito è uno di quelli bravi. Uno che non maltratta la sintassi, che conosce il significato delle parole e le mette in fila come si deve. Magari è uno che ha uno stile, persino qualcosa da dire. E lo dice bene.
Se poi è il tuo scrittore preferito, va da sé, ti piace. Forse addirittura lo adori. Compri tutto quello che scrive, lo leggi sempre.
Magari il tuo scrittore preferito è proprio un grande scrittore, uno che quando scrive raggiunge vette che nemmeno. Magari è uno che, con la scusa del romanzo, parla di te, del mondo, dei sentimenti e del dolore, della vita. Non ha alcuna difficoltà a intessere una visione politica, o filosofica, tra le righe.
Forse egli ha anche un curriculum ormai ricchissimo. Ha scritto tanto, pubblicato con onore. Piace, non soltanto a te.
Così capita che il tuo scrittore preferito debba scrivere (o far scrivere) le sue note biografiche nella bandella o direttamente sulla quarta di copertina. Egli principia con luogo e data di nascita (no, niente paura, non sta declinando le sue generalità: è il tuo scrittore preferito e troverà di certo un modo creativo per dirli) e con il posto dove vive. Due righe interlocutorie, tanto per fare il simpatico (un po' di colore) e rompere il ghiaccio e poi, giù, la lista (creativissima) di quel che ha scritto e pubblicato - dove, perché, quando e vincendo quali premi. Eventuali.
Ma non vuole, non vuole assolutamente risultare serioso, pesante o antipatico e allora chiude con una frasetta. Così:
"E tutto questo nei ritagli di tempo lasciati liberi dalla sua attività principale, che è la pesca sportiva".

Ora pensi: per carità ognuno è libero di definirsi come vuole, di fare quel che vuole, di scrivere quel che crede. Forse.
O forse no.

Fortunato, il tuo scrittore preferito. Ha un lavoro non male (eh sì!, scrive). Sicuramente non ci campa (anche se il suo curriculum straborda di titoli) così per guadagnarsi da vivere deve dedicarsi alla pesca sportiva. Po'erino, si dice in Toscana.

Ora pensi, ancora (perché in fondo anche tu hai poco da fare ma magari non ti dedichi alla pesca sportiva): chissà...
Chissà come la prenderebbe un precario, una dichiarazione del genere, o uno che è appena stato licenziato perché "c'è la crisi". Magari sarebbero contenti. Magari è il loro, di scrittore preferito.
Oppure chissà se anche Italo Calvino quando ha pubblicato... che so, "Le città invisibili" ha scritto (o fatto scrivere) "composto nei ritagli di tempo, dopo aver dato da mangiare al cane e prima di uscire a passeggio con la moglie".
Chissà che stile aveva lui, Calvino.

mercoledì 22 febbraio 2012

Gorgheggi le comiche

Oggi la profe è stata dalla logopedista. Ché la sua voce si è andata massacrando, negli ultimi anni, affrontando quelle belve di allievi ultradolescenti che si ritrova.
Pare anche che tale logopedista sia stata gentile, competente, simpatica. Ha colto il problema (c'è poco da sottilizzare, quando uno è disfonico...), ha trovato il rimedio, ha assegnato esercizi. Questi:
Ora: liberate la vostra mente e visualizzate davanti a voi un adulto che, dopo cena, si accomoda su una sedia con questo foglio davanti. (I pargoli strabuzzano gli occhi). Il medesimo adulto comincia a respirare profondamente, tentando di trovare il giusto rilassamento e il respiro suggerito dalla logopedista. (I pargoli cominciano a sorridere). L'adulto comincia a cantilenare quella litania tutta in "i", alzando il tono. Qualcosa a metà tra uno scioglilingua e una canzone scout.
Poveracci, i pargoli.
Son crollati a terra.
Ridevano talmente, rotolandosi, che nemmeno una logopedista avrebbe saputo come farli smettere.
(Però la profe da stamattina ha ritrovato una voce cristallina. Sembra la Callas. Basta che non canti, però. Eh!).

venerdì 17 febbraio 2012

Perle (di saggezza)

Sul blog di Loredana Lipperini si è aperta ieri una bella discussione su un tema che mi appassiona e mi agita parecchio. Trovate tutto qui.
Mentre leggevo il post e spunti e commenti davvero interessanti si faceva spazio dentro di me un'entità che considero superiore e incontrollabile: il "pippone".
Per una volta sono riuscito a domarlo e trasformarlo in una sorta di monologo interiore. Siete stati fortunati, ve lo assicuro.
Però un paio di perle di saggezza non sono riuscito proprio a reprimerle:
1) certe volte ho l'impressione che, a differenza delle bestie, noi umani facciamo figli per avere in casa un nuovo gadget;
2) non hanno ancora finito di metterti in braccio quel fagotto piangente che il marketing si sta già occupando di te.

mercoledì 15 febbraio 2012

Una corsa

Passo un pomeriggio con loro. Mi sorprendo ancora a guardarli come se fosse un ennesimo primo giorno. O il quattordicesimo, o il duecentotreesimo.
Mi sorprendo che li guardo, sorrido dentro.
E penso.
Paghiamo l'insegnante d'inglese. Paghiamo la retta del nuoto e l'istruttore di judo. L'arrampicata, la ginnastica ritmica, il corso di flauto e il teatro. Corso per ragazzi, in attesa che diventino adulti (poi: corso per adulti).
Li scarrozziamo al campo di atletica, al corso di stencil. Stage avanzato di ombre cinesi, corsa sui trampoli, cucito e uncinetto. Cucina, livello basic.

Poi basta entrare per caso in un giardino.
Davanti a loro qualche metro di spazio.
Corrono, felici gridano.

Perché, ogni volta, mi emoziono? E il corso d'inglese non mi fa, per niente, lo stesso effetto?!

giovedì 9 febbraio 2012

Avanguardie tecnologiche

La tecnologia non ci appartiene proprio se, quando parla al telefono con sua zia, l'uomo piccolo le promette: "ti mando un fax".
Antiquato.

venerdì 27 gennaio 2012

Autostime

Lo sappiamo, l'autostima è il motore della Storia. Quel modestone di Napoleone Bonaparte ce lo insegna.
E l'uomo piccolo sta facendo indigestione di autostima, a dosi da cavallo.
"Sono un mito a filetto. Potrei battervi a occhi chiusi", dice il moccioso.
Non si limita a dirlo. Lo fa.
L'altra sera mi ha stracciato 14 a 2. E solo perché mi sono rifiutato di continuare a giocare...
Un nostro amico, con una figlia ben più grande dei nostri, qualche anno fa, ci ammoniva: "Va tutto bene, fino a quando li lasci vincere. Quando invece cominciano a vincere davvero e non riesci più a batterli neanche sforzandoti, ecco, allora devi cominciare a preoccuparti".
Aveva ragione il nostro amico: l'autostima, dipende da dove la guardi.
Devo cominciare a preoccuparmi?!

sabato 14 gennaio 2012

Gli accessori del babbo (21): il purè di patate in fiocchi e la griglia in ghisa

In effetti sembra un sottile esercizio calviniano (nel senso di Italo, naturalmente, non Giovanni...) quello di mettere in equilibrio la leggerezza estrema di un fiocco di patate con la pesantezza metallurgica di un pezzo di ghisa, per quanto griglia.
Nella realtà si tratta semplicemente di strumenti elementari, basic direbbero i moderni, per il babbo imbranato in cucina.
Sarà che la carne ai ferri l'adoro (e mangerei solo quella, quotidianamente vita natural durante) mentre il purè di patate non lo posso soffrire ma mi stupisco tutte le volte di come le mie capacità, skills direbbero i moderni, in cucina siano così scarse e tendano ad una coazione a ripetere imbarazzante. La famigerata busta, però, la conoscono (o almeno dovrebbero...) anche le mamme, sopratutto quando il tempo è tiranno e bisogna velocemente portare qualcosa in tavola. La apri con le forbici in meno di due secondi e, non appena il latte bolle, pouff... un soffio e tutti i fiocchi scivolano laggiù, dentro la pentola. Basta mescolare, guai a shakerare.
Insomma, facciamola breve: oggi ero in difficoltà. Il primo sabato di scuola della profe, dopo le vacanze da Natale, non è banalissimo. Bisogna riprendere la mano.
Così a desian toccava di nuovo il pranzo del sabato: un esame che non è solo la soluzione di un'emergenza ma, anche e soprattutto, la buona accoglienza per la profe che torna girata di scatole (in fondo, sarebbe pur sempre sabato!) e stanca dopo una settimana di lavoro.
Potevo pensare a qualcosa di davvero sorprendente (qualche settimana fa, per una merenda, avevo tirato fuori dal cilindro addirittura una torta! La profe era quasi svenuta per la sorpresa)? Oppure andare su un solido primo, magari facendo una pomarola sul momento?
Macché, oh! E' sabato anche per me, no?!
Niente di meglio che affidarsi alle certezze, ai fondamentali della (mia) esistenza: fiocchi e ghisa, purè e griglia. Italo Calvino, in nuce...
Ho ammannito ai pargoli qualcosa di speciale: il solito, Sam.
And play it again, direbbero i moderni.

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