lunedì 9 dicembre 2013

Il PD ha un nuovo segretario

Nella notte c'è stato un sussulto. Erano arrivati i risultati del gazebo delle Baleari.
Avevano vinto i Righeira.
Per un attimo è successo di tutto. Hanno persino svegliato Renzi mentre pensava ai nomi per la segreteria.
Poi le cose, per fortuna, si sono sistemate: hanno dovuto annullare il voto. Si sono resi conto che le schede elettorali erano quelle del 2017.
Pericolo scampato. Per fortuna.

venerdì 6 dicembre 2013

Il colloquio

Al colloquio con gli insegnanti può capitare davanti a te una mamma (molto più raramente un babbo) visibilmente spazientita. Nel suo visone-finto-astrakan-bordato-prada si agita. Con stile.
Perché la scuola è "la più pvestigiosa della città" (testuale, nemmeno fosse Harvard) e la fauna è spettacolare come si conviene. La signora, peraltro con signorile-accento-montenapoleone-blasé-millesimato con tanto d'evve moscia, comincia una sua filippica. A signorile voce alta.
Che non si pevmetta, la signova insegnante di fvancese, di andavsene quando il suo (dell'insegnante) ovavio lo vichieda pevché altvimenti lei, altisonata blasé milanese purosangue docg, cosa è venuta a fave fin qua se non può pavlavci?! Non ha mica tempo da pevdeve, lei.
Perché noi, invece.
A niente vale far notare alla signova che, magari, la prof di francese è lì a scuola da stamane all'otto, che ha tenuto testa a una serie di bimbetti scalmanati preadolescenti tra i quali c'era magari anche il/la suo/sua (la mia di sicuro), di pargolo/a. Che magari tenere testa anche ad un branco di genitori vocianti non è proprio il massimo del relax.
 In fondo è il lovo mestieve, se non hanno voglia possono sempve sceglievsene un altvo.
Della serie: io pago e pvetendo. Cafonaggine melangiata potere d'acquisto.
Quando, appunto, all'ennesimo spvoloquio, ecco girarsi verso di lei un'altra mamma. Ragionevole e competente, che prova a spiegare alla panterata-upper-class che "anche" le insegnanti hanno un contratto nazionale di lavoro; il quale, mediamente, prevede degli orari di servizio e che andrebbe possibilmente rispettato, almeno finché c'è; che l'insegnante ha metà cattedra nella nostra "pvestigiosa" scuola e metà in un'altra per cui, per rispetto verso i genitori dell'altra scuola, dovrebbe ad un certo punto salutare noi e raggiungere anche quelli.
La divinità dagli occhi di bragia e dal cervello imbullonato al culo, a sentirsi redarguita in quel modo (per di più citando contratti di lavoro e roba in odor di sindacalese; vecchi avnesi di un vecchio mondo, immagino che pensi), solennemente sbrocca: "Guavdi signova, lei savà anche un'insegnante e, in fondo, ognuno ha il cuvviculum che ha".
Peccato non avere braccia lunghe abbastanza: gliele avrei girate intorno al collo tante volte. Stvette stvette, alla megera.

lunedì 2 dicembre 2013

Famigliuole

Stasera la città era ostaggio di una partita di calcio. Fiorentina-qualcosa, non so bene cosa.
Per fare quella manciata di chilometri che separano l'ufficio da casa - che nel traffico serale del rientro sono dieci, quindici minuti - ci ho messo un'ora e venti.
Questo ha significato il salto di ogni programma: niente judo per la donna grande e un paio di suoi amici, visto che ero io l'incaricato al trasporto comune verso il dojo. Ma questo è il meno che possa capitare all'ignaro (e sinceramente un po' coglione) individuo che si aggira per la propria città senza pensare ai sacrosanti diritti di chi di calcio vive.
Le strade in mano a trogloditi armati di scooter che potevano fare quel che volevano: passare col rosso, scavalcare gli altri, salire sui marciapiedi, invadere la corsia del tram (mentre il tram era lontano, of course...). Qualcuno di tali cavalieri senza cervello e senza regole (regole?!?! Mai sentita la parola, proprio) aveva persino da scuotere la testa, incredulo di tanto caos (come se lui, lo scuotitore, non fosse parte attiva di quel caos).
Neanche sottolineo che, ad un certo punto, un attempato gentiluomo in moto mi si è stampato sulla fiancata dell'auto urlando dietro il finestrino ben chiuso "ma che fretta c'hai?!?! Fammi passare!!!". Figuratevi che fretta avessi, marciando a 7 kmh.
Ma tant'è. Il calcio, questo sport per famigliuole.
Che stimola comportamenti così virtuosi.
È reato sperare che la squadruccia retroceda fino in serie C? Magari le famigliuole troverebbero qualcosa di meglio da fare, il lunedì sera.

lunedì 25 novembre 2013

L'amore ai tempi di whatsapp

L'amore ai tempi di whatsapp è insopportabile.
Pare che funzioni così: due si mettono insieme. Poi mandano un messaggino e lo dicono a tutta la classe.

- Scusa, donna grande, ma come fanno a capire che si piacciono?
- Ma che ne so, io?!
- Cioè, si piacciono a seconda di chi scrive la frase più ganza? Oppure è una gara di emoticons?
- Ma che c'entra. Magari si piacciono davvero. In fondo siamo in classe insieme.
- Ah, occhèi. Continuiamo.
- Beh. Ci sta che uno di noi che legge il msg magari conosce un'altra persona a cui dà la grande notizia che poi conosce un'altra persona che ne conosce un'altra ancora e va a finire che alla fine anche il Presidente degli Stati Uniti sa che Pinca e Panco si sono messi insieme.
- Ah, ecco... Ma, scusami eh, donna grande: ma Pinca non stava già con Ponco?!?!
- Fino a ieri. Ma poi oggi ha mandato un nuovo msg....
- Ferma, ferma. Dove l'ha mandato? Non ti seguo più.
- L'ha mandato a noi della chat di classe...
- ...Marx?!?!.....
- Come dici, babbo?
- No, niente, lascia perdere. Vai pure avanti.
- Insomma se vuoi che ti spieghi lasciami parlare. La Pinca ha mandato un msg sulla nostra chat di classe. Vuoi che te lo legga, babbo?
- Non ci penso nemmeno. Riassumilo tu.
- Ah, facile: "Raga, sono Pinca! Ho appena mollato Ponco. Ma state tranqui, non sono single. Adesso sto con Pinco". Aaahh, non sono carini?!
- Ma donna grande, non lo so. Ma Ponco che dice, non c'è rimasto male per essere stato mollato così, su uòzzap?!?!
- Ma che deve dire. E poi Ponco è proprio grullo, chi vuoi che stia con lui più di dieci giorni!
- E Pinco? È contento di essere subentrato così, via sms?
- Guarda la sua risposta, babbo! Ci sono persino i cuoricini..... Ha detto anche "sì, mi piace proprio".
- E quando glielo avrebbe detto?
- Ma uffa!, guarda qui, due righe sopra c'è il suo msg, coi cuoricini t'ho detto!!!

Ecco.
L'amore ai tempi di whatsapp è davvero insopportabile: tutta questa leggerezza.
E libertà.
Ed emancipazione.

sabato 16 novembre 2013

Instamondo

Stamattina la donna grande è venuta da me, piuttosto perentoria.
- Babbo, oggi con la mamma dovete discutere del mio account Instagram!!!

Ok, discussione aperta.
- NO!
Chiusa la discussione.

(O no?...).

lunedì 11 novembre 2013

Solo otto

- Babbo, ho paura.
 Stranguglione: glom.

Compito di matematica, stamane: - E perché, donna grande ?! 
- Perché la mia amica A prenderà 9, la B prenderà 9 e mezzo, la C, 9. E io prenderò solo 8.

Ecco, questo è quello che vi ritroverete, quando sarà radicato in loro quel fantastico senso della competizione (scolastica; ma anche di vita, prossimamente) che avevate sempre pensato fosse un po' latente. Certo, le avete insegnato che non si gareggia sempre. Che ci si prepara, si studia, si guarda e si fa il proprio lavoro. Poi si da' il meglio di sé. Si raccoglie il frutto della fatica, sereni con la coscienza.
Però poi forse, un subliminale pensierino ad una certa carenza di voglia di competere, nel senso di mettere in campo anche l'amor proprio e cercare di soddisfarlo, l'avevate fatto.
Confessate.
Eh, sì.

Bene. Ora siamo preoccupati che si pigli solo 8.
Non sarà che va anche bene così, donna grande?!?!?!

sabato 9 novembre 2013

Parole sante

Popolo di viaggiatori, dice.
E infatti, come se non bastassero uscite scout, vacanze di branco, impegni scolastici, campi invernali, compiti e via giaculando, l'uomo piccolo è appena partito per il suo fine settimana judo, a sudare in una palestra su al nord.
Ogni volta l'organizzazione di questi eventi stra-ordinari sembra insormontabile. Eppure c'è saggezza nell'universo. E praticità.
Guardate cosa c'è scritto nel mail che convocava l'uscita:

"(...) Il cambio di vestiti non dovrebbe essere necessario (...). Meglio una borsa piccola e facilmente trasportabile che bambini puliti".

Ecco, talvolta le regole di vita sacrosante stanno anche dentro una comunicazione di servizio.
Parole sante. E sagge. Senza se e senza ma.

E buona domenica, judoisti.

martedì 1 ottobre 2013

La festa dei nonni

Ricevo e, nel delirio del periodo, rifletto. E condivido.

- Cara mamma...
- Ehm, veramente sarei un babbo.
- ...cara mamma, il 2 ottobre ritorna la festa dei nonni!
- Ah sì? Mah. Veramente non ne avevo mai sentito parlare.
- Questa ricorrenza cade il 2 ottobre di ogni anno per celebrare l'importanza del ruolo dei nonni...
- Ah beh, ora che ci penso, è proprio vero...
- ...il ruolo dei nonni all'interno delle famiglie e della società....
- Ecco, sì, parole sante. Riconosciamo anche il fondamentale spazio dei nonni...
- ...con il loro straordinario potere di trasmettere la memoria, le emozioni del tempo...
- Ah, che bella immagine, avete proprio ragione: i nonni come veicolo della memoria, come tramite tra le generazioni. Bellissimo il rapporto tra nonni e nipoti e.....
- ...Appunto. A tal proposito volevamo venderti un paio di splendide babbucce in pelle di muflone newyorchese. Perché non c'è nonno che non abbia bisogno di babbucce in pelle di muflone newyorchese. Compragli uno splendido paio di babbucce. Il pacco regalo è compreso nel prezzo. Ah, e non dimenticare di seguirci su facebook, su twitter, su qui, su là, su pinco e su pallino. Cara mamma....
- Ma. Veramente sarei un babbo...
- ...cara mamma, come ti vogliamo bene.

Ecco.
Altro che chiacchiere.
Una società in vendita, siamo.
I nonni, baciperugina della modernità.

mercoledì 25 settembre 2013

Radio Mamma?!

La mattina davanti alla scuola. Momento rilassante, prima di cominciare la giornata. Si conversa, andiamo a prenderci un caffè insieme ai genitori coi quali, nel corso degli anni, siamo diventati amici.
Si conversa, soprattutto.
E c'è sempre una curiosità da svelare, un consiglio da chiedere, qualche dubbio da condividere, magari sul futuro scolastico: le medie. Le voci più autorevoli da raccogliere sono naturalmente quelle di chi, alle suddette medie, ci insegna.
- No, qui non ci andate, gli insegnanti non sono più quelli di una volta.
- Mah, quella scuola è molto buona, ha delle ottime sezioni musicali.
- Per carità! Mai lì, li ammazzano di compiti.
- No, non quella, è una scuola per lavativi.
- Non so cosa dirvi, perché non chiedete a chi ha già figli alle medie? Radio-mamma funziona sempre.

Ecco, sono anni che vivo (e vivrò ancora per lungo tempo) l'ambiente scolastico dei miei figli e c'è questa costante immutabile che ho sentito ripetere tante, troppe volte: radio-mamma. Le insegnanti soprattutto, donne fra le donne?, hanno spesso in bocca questa espressione: radio-mamma funziona sempre...
Come se le donne, e solo loro?, siano depositarie del verbo scolastico dei figli.
Come se fosse una sorta di chiacchiericcio da tribù, il tam tam del pettegolezzo (perché, niente da fare, questa espressione si porta dietro un vago senso dispregiativo: il volgo da marciapiede, al massimo da tavolino del bar; comunque un amplificare la vox populi come "il" verbo).
Come se quello che è andato bene per decenni (secoli?) fosse sempre e comunque valido, al di là dei tempi, dei metodi, dei modelli, delle persone che cambiano.
Come se i padri "cosa vuoi che ne capiscano loro"?
Come se non ci fosse speranza che, appunto, anche i padri, po'rini, comincino a guardarsi un po' attorno ed occuparsi del mondo che li riguarda, insieme ai loro figli. E qualcuno avrà pure cominciato a farlo, no?
Come se, in quella espressione, ci fosse il limite stesso, il confine, la gabbia di qualcosa che non deve cambiare mai.
Radio-mamma forever?
Abbasso radio-mamma!

giovedì 29 agosto 2013

Conversazioni estive

Tra la profe, che tentava di cantare, e l'uomo piccolo.
- Mamma, te non sei stonata come una campana. Te le fai stonare, le campane.

Ah, rilassanti le vacanze.

martedì 20 agosto 2013

Brontoenglish

Avete mai sentito pronunciare il brontoenglish?

L'uomo piccolo ha avuto la sua folgorazione: i Beatles. Che per uno che ha cincischiato fino ad oggi con quelle canzonacce subnormali che si sentono in giro, è senz'altro un bel (ri)partire.
(Certo, abbiamo avuto De Andrè, Fred Buscaglione e qualcos'altro, ma questa mi pare sia un'altra cosa, una folgorazione seria).
Così ha deciso che bisognava procurarsi una serie di album dei suddetti (e ha scelto lui, chiedendo "Yellow Submarine", "Yesterday" e, letterale, "quel disco tutto bianco". Chissà dove ha avuto tutte queste informazioni...).
Ha orecchiato per un po' alcune di queste canzoni e ha capito che "Back in the USSR" era il suo pezzo.

- Babbo, lo so che ti chiedo troppo, ma mi stamperesti il testo di "Bckndseserre", com'è che dicono?
Troppo? Pur di evitare qualche tormentone post-decerebramento, ti stampo anche un testo di Nilla Pizzi, ti stampo.
- Ma certo, uomo piccolo. Però non ho capito la canzone che vuoi...
- Ma babbo, "Bocinzeussr". Uffa come si diceee?!?!
Va be', va be'. Ho capito, la faccio breve. Sarà che alle elementari l'inglese è solo una chimera. In pochi secondi il testo è stampato e consegnato.

Ecco.
Adesso in macchina c'ho questo tizio, nel sedile dietro, che grugnisce come un brontosauro una specie di idioma preistorico. Sostiene di cantare, lui.
Però, vuoi mettere che soddisfazione aver superato di slancio gli One Direction?

venerdì 10 maggio 2013

Fallimenti

L'uomo piccolo scende dal tatami e mi passa davanti come una folata di vento. Nemmeno mi guarda. E, con una faccia che è tutta un programma:
- Babbo, sono un fallito.
Poi, si chiude nello spogliatoio.
In un baleno ho compreso l'espressione un terribile quarto d'ora. Il prossimo.
Che tragedia esistenziale sarà successa (a nove anni...)?! Cosa faccio per rimetterlo in carreggiata? Il mio cervello parte in quarta: esame delle possibili crisi, qualche amico lo avrà deriso, il sensei gli avrà gridato sul viso, ha sbagliato la verifica di scienze, la maestra lo avrà cacciato dall'aula... Boh.
Ripasso qualche frase fatta, una di quelle buone per tutte le tragedie e mi preparo al peggio: la crisi devastante con annesso pianto disperato.
Ecco. La porta dello spogliatoio si apre. Sì, è lui.
- Ehm... uomo piccolo... insomma, raccontami. Perché hai detto così, prima?
- Sono un fallito, babbo. Non riesco più... a fare la ruota.

Ma vafaaa, và.

giovedì 9 maggio 2013

Fahrenheit e i padri

Una delle trasmissioni più interessanti di Radio Tre. Dove non si conversa solo di libri ed autori e letteratura ma dove si ragiona molto anche intorno ai temi sociali, civili, culturali in senso allargato.
Una trasmissione a dir poco benemerita. Un'oasi di intelligenza, un paradiso di spunti di riflessione e di contributi sempre vivi al nostro pensare il mondo.
Fedele a questa tradizione, ieri c'è stata una conversazione assolutamente imperdibile tra la conduttrice Loredana Lipperini (qui c'è il suo blog personale, altro luogo di ottimi spunti) e due sociologhe dell'Università di Trento, Annalisa Murgia e Barbara Poggio.
La conversazione, che partiva dal libro delle docenti (qui i riferimenti), verteva intorno alla figura del padre e ai nuovi confini che essa sta acquistando, soprattutto per merito dei padri più giovani (ma non solo, aggiungo io), in questi ultimi anni.
Una conversazione per molti versi illuminante, soprattutto nell'illustrare le caratteristiche di questi nuovi modelli di paternità oppure quando si raccontava di come il congedo parentale maschile sia ancora visto un po' come fumo negli occhi da aziende e organizzazioni che già mal sopportano quello femminile. E questo spiega molto del Paese nel quale viviamo e di come i diritti delle persone siano concepiti.
Non voglio fare il riassunto perché la conversazione è reperibile in podcast e può essere ascoltata nella sua interezza. Lo merita davvero.
Qui il link, una sola avvertenza: il link reindirizza alla pagina generale dei podcast di Fahrenheit. Al momento in cui pubblico questo post la conversazione di cui parlo è in cima alla pagina e immediatamente individuabile. Se doveste capitare qui a distanza di tempo, abbiate la pazienza di scorrere l'elenco, la troverete più in basso, tra le altre. La data da cercare è quella di ieri, 08/05/2013.

venerdì 3 maggio 2013

Il mio primo fucile

Lo so, il tema è drammatico. Eppure, da anni ormai, non mi basta più praticare lo sgomento muto e il buon senso non mi ha mai consolato.
Mi interessano le domande, la muffa che soffiano via. Sono abituato a grattare la crosta del mondo col ditino, a infilarcelo anche, se necessario, dentro la piaga. Perché lo trovo necessario. Troppo importante provare a capire.
Mi sopporterete. Oppure volterete pagina.

Non sono un consumatore pacificato. Men che meno del dolore. E non mi accontento più (non l'ho mai fatto, forse, dall'adolescenza in poi...) di fioriture di candeline, fiori e peluche e folle piangenti che sempre, in casi del genere, spuntano all'improvviso sui luoghi degli omicidi.
Non li sopporto più perché sono l'incarnazione delle risposte che non sappiamo, o non vogliamo, darci. Spesso anche l'alibi per non essercele nemmeno poste, le domande.
Un fucile vero ad un bambino di cinque anni.
Certo, il dolore e la tragedia si presentano nelle nostre vite in varie forme. C'è l'ineluttabile, c'è la malattia, il destino incomprensibile. Ma ci sono spesso anche le scelte.
Le azioni educative intraprese oppure no.
I modelli abbracciati e quelli rifiutati.
I comportamenti responsabili e quelli no.
Con tutte le sfumature di grigio che ci sono nel mezzo, sia chiaro.

Qualche volta è anche questione di modelli culturali, di come educhiamo i bambini, di come li proiettiamo nel corpo sociale (quello che per Thatcher nemmeno esisteva). Perché, se la vogliamo guardare da un'altra prospettiva, la tragedia di Burkesville, Kentucky è anche l'ennesimo femminicidio. La morte in casa, dentro le pareti della famiglia: al maschio regaliamo il fucile; alla femmina una bambola o un fornello se va bene, un babydoll di pizzo nell'ipotesi peggiore.

(P.S.: li ho visti coi miei occhi completini osé uscir fuori dagli incarti di compleanno di bambine di 9 o 10 anni. E se persino Woody Allen si scherniva a regalare alla Diane Keaton adulta-dei-suoi-desideri un pagliaccetto sexy, qui e oggi non si schernisce più nessuno).

Così mi chiedo se sia più umano pentirsi o uccidere, scegliere o accorrere. Espiare le colpe in eterno o provare a capire, a riconoscersi in un evento tanto devastante? E come, se non esiste nemmeno un termine diretto per nominare la perdita di un figlio?
Cosa sarà adesso dell'esistenza futura di questo bambinetto/assassino? E cosa di questi genitori?
"Non sapevamo che fosse carico" pare sia stata la giustificazione disperata. Scusatemi, ma non sembra affatto una giustificazione. Non lo è.
E' la più atroce ammissione di colpa. Quasi una rivendicazione.

domenica 28 aprile 2013

Qualche volta scatto (1)

Portoferraio Dreamin'

Anche se la frequento solo per lavoro, l'Elba ha un fascino tutto suo. E Portoferraio, alla fine, non è nemmeno la componente principale. I suoi scorci sulla strada per Procchio, la spiaggia a Marina di Campo, i saliscendi sono diversi che altrove perché il mare, che non sempre vedi, può comparire all'improvviso tra i campi o in fondo a una ripa. Portoferraio però è dove la lasci, quest'isola, e allora prende le ombre di un sogno. O una malinconia.

mercoledì 24 aprile 2013

Recensione

La donna grande, animo etico ma anche vagamente puritano della famiglia, adocchia su un ripiano di casa il libro di Cracco. Legge il titolo.
- Ma babbo, ma che titolo gli hanno messo a quel libro?
- Perché, donna grande, cosa c'è che non va?
- Mah, non lo so. E' che mi sembra stupido, volgare. E poi che vuol dire, fare il figo? Cos'è, un mestiere?!

Ci sarà anche un conflitto di interessi con suo padre (e non gli ho nemmeno detto di quanto sia simpatico l'autore...) ma mi piace proprio come viene su, la ragazza.

lunedì 22 aprile 2013

Un negozio di giocattoli

- Eh, domani è festa. Mentre tutti dormono sai noi che facciamo? Ce ne andiamo a giocare, nei boschi.
- Ma babboooh. Non mi porterai mica ancora a cercare funghi?! All'alba, in quella nebbia?
- Macché funghi. Fidati. Ho già chiamato pinco e pallino e tizio e caio. Portano anche i loro.... scusa ma come si dice? Loro o suoi?
- Loro, babbo, si dice loro.
- Ecco, appunto, lo sapevo. I loro figli, così non sei da solo. Ti diverti. Anche tu.
- E che facciamo babbo? Nel bosco. E non ci alzeremo mica all'alba?
- Eh, un po' bisogna alzarsi. Presto, voglio dire. Però ci divertiamo, fidati.
- E come?
- Dai, giochiamo ai uorgheimz!
- Che cosa? Ma non puoi dirlo in italiano che io a scuola faccio francese?!
- Uffa, quanto sei pissero. Giochiamo alla guerra, dai, la simulazione. Hai capito, con le tute, le mimetiche, i fucili i mitra le pistole. Bombe a mano no, che ci sporchiamo troppo. Poi la mamma rompe.
- La guerra!!! La guerra, babbo?! Ganzo. E cosa ci portiamo, quelle quattro pistolette dell'altra volta?
- Macché pistolette. Vedrai che sorpresa, vedrai che cosa ho comprato stavolta.
- Dai dai dai, voglio vedere. Fammi vedere cos'hai comprato.
- Guarda qua. Questo sì che spara.
- E che cos'è?!
- Aaah, è un gioiello. Un mitragliatore leggero, si chiama MG36. Lo fanno i tedeschi, lo fanno. Roba buona.
- Sei sicuro, ba'?!
- Oh ciccio, questo è una signora replica, funziona ad aria compressa. Pensa ci vanno dentro le stesse bombolette di gas che usavo per gonfiare i copertoncini forati, quando andavo in bici. E poi lo fanno i tedeschi, Heckler & Koch si chiama la ditta. Mitragliatore leggero, canna rinforzata per sostenere volumi di fuoco elevati ed un caricatore, pensa, un caricatore C-Drum da 100 colpi. Quello vero, naturalmente. Noi qui abbiamo dei gommini colorati ma pensa quanti alberi possiamo impallinare mentre aspettiamo di colpire un nemico. Una figata, credimi.
- E si può sparare a ripetizione, come una mitraglia?
- Giuro, mitragliatrice leggera ma valida, anche cento colpi in sequenza.
- Sei sicuro sicuro?
- Mah, insomma. Boh. Però, dai, lo proviamo. Vedrai che ci divertiamo. Hai tirato fuori la mimetica che la riguardiamo se c'è qualche guasto e lo facciamo sistemare alla mamma? Dai. E l'elmetto? Non te lo dimenticare l'elmetto, eh.
- Ok, vai che mi preparo per domani. .... Senti, scusa. Ma dove l'hai comprato, il mitragliatore?!
- Ah, facile. In quel negozio di giocattoli. Dove comprammo le mimetiche. E il resto.
- Ah, ecco, per fortuna.



giovedì 18 aprile 2013

Fondali, Marini

E' una sensazione che mi capita spesso, ultimamente, a proposito di politica.
Quella di vivere su Marte e di non capirli proprio, questi terrestri.
Ma ieri, quando ho visto comparire il nome di Franco Marini (brava persona, per carità, ma non certo fulgido esempio di rottura e rinnovamento...) come candidato alla carica più alta dello Stato, ho pensato che, più correttamente, dovrei trasferirmici, io, su Marte.

p.s.: il titolo non è farina del mio sacco. L'ho letto da qualche parte in rete ma non ricordo dove/chi. E' solo una citazione. :)

lunedì 15 aprile 2013

Genitori digitali (3)

Questa settimana, su "Internazionale", è la festa dei genitori.

Genitori digitali (2)

Uno dei temi dell'articolo di "Internazionale" sui bambini digitali è che un quattrenne non può sapere come fosse il mondo prima che lui nascesse e che per lui è assolutamente normale fare tante cose con un solo dito e trovare centinaia di giochi in un piccolo dispositivo come uno smartphone.
Se i miei calcoli sono esatti, nessun bambino ha mai saputo come fosse il mondo prima di lui. Spesso gli avi (genitori, nonni ma anche insegnanti, adulti in genere) si affannavano a crescerli ed educarli, i bambini, a tramandare le conoscenze, alcune almeno, insegnandole loro. Oppure tramandavano memorie, oggetti: ad un certo punto della mia adolescenza, mio nonno mi regalò la sua vecchia bici, tutta scrostata. Una leggenda familiare diceva che con quella fosse tornato dalla guerra, attraversando chissà quali terre sconosciute (magari due province più in là), percorrendo chissà quanti chilometri (magari la usava soltanto per andare a lavorare...). All'epoca il racconto mi rapì, oggi so che era, appunto, solo una leggenda.
Mi spiegò come fare per rimetterla a nuovo, togliere la ruggine, renderla presentabile, mi chiese di che colore mi sarebbe piaciuto dipingerla e poi mi portò in una ferramenta ad acquistare il relativo barattolo di vernice. E un pennello.
La mia prima bici da adulto completamente rossa da cima a fondo, se si escludono i copertoni, me la rimisi a nuovo da solo, grazie ad un'app (allora non sapevo si chiamasse app, oggi finalmente lo so): mio nonno. Mi sarei potuto tagliare un dito aprendo la latta della vernice se mi fosse sfuggito il cacciavite con cui facevo leva, ho sicuramente respirato i fumi tossici di quella sostanza tutta chimica, eppure avevo goduto di un passaggio di conoscenze che semplicemente era antico, ovviamente aggiornato nel tempo, di secoli: rinnovare un oggetto vecchio avuto in eredità.
Adesso la situazione di partenza (un bambino di quattro anni che non sa come fosse il mondo prima che lui nascesse) è assolutamente identica ma invece di passare ai nostri figli un insegnamento che venga dal passato, dall'esperienza, in qualche modo dalla storia, gli tramandiamo il presente assoluto. L'adesso inveterato.
Succede qui, adesso, a noi. In casa nostra come in tante altre.
A volte mi dico che forse non abbiamo nulla da tramandare che non sia consumismo integrato (ovvero l'adesso inveterato declinato al superlativo assoluto).
Che gli insegnamenti ricevuti (ammesso che) non ci piacciano più e/o non li riteniamo utili al domani dei nostri figli (per non dire del nostro).
Che, molto semplicemente, non riconosciamo più in queste modalità ancestrali (che pure hanno saputo preservare piuttosto rigogliosamente la specie) il sistema più adatto o quello che più ci piace.
Da un altro lato, invece, è come se volessimo togliere, dall'orizzonte esistenziale dei nostri pargoli, il contatto con qualsiasi polvere, materia, lattina di vernice, cacciavite, bicicletta rugginosa.

Mio padre era falegname, mi portava con lui, il sabato e la domenica, nella sua bottega e mi lasciava strafugnare tra riccioli di segatura, legni, scalpelli e bulini (lame affilatissime, vi assicuro), chiodi, colle viniliche. Qualche volta, se giuravo di fare moltissima attenzione, anche la sega.
Anche se io non me ne sono mai accorto, sono sicuro che mi tenesse d'occhio. Non mi sono mai fatto male (magari qualche dito pesto, col martello), non mi sono mai staccato di netto una mano, giuro: sono entrambe qui, in fondo ai miei polsi. Davo l'impressione che quello strafugnare mi piacesse. Eppure, il mio futuro mio padre lo vedeva lontano da quella condanna di homo faber, di artigiano coi calli. Ogni volta che incontravamo qualche suo amico che, come era stato per lui che lo aveva ereditato da suo padre e da suo nonno, gli chiedeva se mi stesse insegnando il mestiere, lui quasi si scandalizzava. Me lo ricordo, giuro, come fosse adesso: "no, no, deve studiare. Non deve fare il mio mestiere, nemmeno per scherzo".
Mi chiedo ancora oggi, e in questo istante: se mi avesse insegnato a fare il falegname e facessi quello per vivere, avrei le stesse ansie postmoderne nel fare la mia postmoderna professione con le mani pulite e senza calli ma ormai sull'orlo di scomparire? E di un falegname, ci sarà sempre bisogno?

Secondo Maria Montessori, "le mani sono gli strumenti dell'intelligenza", come viene ricordato anche in quello stesso articolo di "Internazionale", ma pare che siamo ormai alla fase delle mani ben al sicuro. Dietro, o sopra, un vetro. Touch.

(La prima parte si trova qui).

sabato 13 aprile 2013

Graaande!

Ai giardini, tra mamme, a proposito della bambina di una delle due.
- Nooo, hai sentito?! Ha fatto un rutto!!!
- Che graaande!!!

Ah, che sabato.

venerdì 12 aprile 2013

Genitori digitali

"Internazionale" ha questo di bello, che ogni volta ci apre gli occhi, illumina con taglio diverso la realtà dei fatti, riporta notizie ed opinioni che stavano per sfuggirci. E ci sorprende.
Anche noi qui, in questa famiglia. Ché sull'argomento coltiviamo le nostre contraddizioni con splendida leggerezza, quasi un pollice verde delle contraddizioni.
Sull'argomento, infatti, la profe ed io, siamo scissi e schizofrenici più di quanto oseremmo ammettere. Da un lato siamo drogati tecnologici, spesso connessi, sempre a far riferimento alla rete. Molta parte del nostro tempo libero si gioca, e si spende, lì.
Dall'altro lato siamo talebani sublimi, vorremmo impedire ai nostri figli qualsiasi contatto con gli oggetti hi-tech (di cui pure siamo riccamentissimamente dotati, compreso lo smartphone touch a cui la profe ha finalmente abdicato...), siamo pronti a negare l'accesso alla rete, il giochino su tablet, l'app per quanto educational. Per noi due, Wii non è sinonimo di console ma di senso di colpa (per avergliela comprata). Immagino si possa facilmente capire che florilegio di rimbrotti, litigi, contrattrazioni di bassa lega, punizioni tutto questo comporti e anche, a dirla tutta, cosa voglia dire in termini di gap sociale, soprattutto per la donna grande, se è vero come è vero che alle medie è già tutto un trionfo di iQualsiasicosa, smart e mini, ultra, app e boing e crash e gulp.
Leggetevi un bel libro, giocate con i playmobil, invitate a casa un amico/a.

(Il bello di tutto ciò è che coi playmos - abbreviazione familiare - ci passano spesso delle ore; che amici ne vedono abbastanza; che ormai anche l'uomo piccolo, prima piuttosto refrattario, ha cominciato - evviva! evviva! - a leggerne, di libri).

Leggetevi un bel libro.
Guardatevi un film?...
Poi, appunto, arriva "Internazionale".

(Non che non sia facile ricordarsi come le lobby e le aziende del settore siano potentissime, vero governo della globalità molto più dei Governi nazionali, e ricchissime da potersi permettere di creare statistiche ad hoc, commissionare studi prestigiosissimi. Persino - ovvove! - di pagare giornalisti).

Insomma, godiamoci il problema.
Il ragionamento, questa settimana, è questo (attendiamo fioriture copiose di contraddizioni ancor più belle):

./.. segue qui

mercoledì 10 aprile 2013

Domani è un'altra gara

- Babbo, questa gara non mi è piaciuta per niente.
- Ma no, uomo piccolo, sei stato bravissimo. Hai fatto del tuo meglio.

Secondo me, la prima gara sportiva non è un avvenimento del mondo reale ma somiglia più ad un sentimento provato nel calduccio del proprio essere. Sei lì, in quel palasport pieno ma vuoto (perché sul tatami sei solo, per quanto tu possa allungare uno sguardo sulle gradinate, verso tuo padre), sei accaldato ma tremi, la tensione ti riempie come un orcio. E questo stato d'animo, tuo padre, lo vede anche da lontano, persino da quei gradoni di cemento. Sei uno dei pochi che non sta fermo un attimo, nemmeno un secondo. Mentre aspetti il tuo turno, arrivi persino alle mani, a metà tra lo scherzo e la rissa nuda e cruda, coi tuoi vicini/avversari.

La prima gara buca l'anima.
- Babbo, ma avevano le braccia rigide, non si facevano prendere. Non ho potuto fare nemmeno una tecnica.
- Stai tranquillo, uomo piccolo. E poi devi essere contento, era la prima volta e non potevi sapere come si fa. Vedrai che la prossima volta andrà un pochino meglio, poi meglio ancora la volta dopo, e via e via.
- Dici, babbo?

Sì, provo a dirlo, perché sei tu che ci hai insegnato che "crescendo la vita diventa più bella". E forse non sapevi nemmeno cosa stavi dicendo ma sicuramente avevi ragione. Si viene via mortificati, quando si perde. Ma forse si guadagna un insegnamento, un'affettuosa arruffatina di capelli da parte dell'allenatore, un discorso come tra adulti con tuo padre, di quelli che non è mai facile trovare il momento e l'occasione per fare. E anche, il che mi sembra la cosa più bella, la capacità di scacciare quell'ombra buia dal viso, di tornare a raccontare il tuo mondo, non appena centrifugata la delusione.
Persino la medaglia che tutti avete avuto, identica una all'altra, senza graduatorie rigide (anche se i vincitori - bravissimi! - ci sono stati), diventa un oggetto poco importante.
- Hai visto, babbo, sembra una cosa da bambini piccoli.
Allora non c'è proprio nessuna consolazione? Ma certo che sì: la merenda, biscotti al cioccolato e succo di frutta per tutti. Ché domani, casomai, è un'altra gara.

lunedì 8 aprile 2013

Barry Tamerlane

Chi si ricorda di Barry Tamerlane, il Prepotente de "L'inventore di sogni" di Ian McEwan?
C'è un Barry Tamerlane in ogni scuola, qualcuno ce l'ha in classe. In ogni cortile se ne aggirano almeno un paio.
E, proprio come Barry Tamerlane, il Prepotente può non avere l'aria da prepotente ma possedere uno splendido paio di profondi occhi azzurri, lunghi e finissimi capelli biondi al vento e i vestiti alla moda di una ragazzina che ha ottimi risultati scolastici e che tutti ammirano. Così, invece di strappare di mano oggetti agli altri ragazzini e di "disfargli la faccia" con un pugno, usa un'altra tecnica: individua la sua vittima e la offende, in continuazione, con una perseveranza degna di miglior causa, per qualsiasi stupidaggine o goffaggine o banalità che la vittima possa fare. Se lascia cadere una penna (onta!) o le sfiora inavvertitamente il braccio sul banco, la vittima diventa immediatamente un'inetta da mortificare. Perché, si sa, quanto sia vincente la prepotenza!
E il successo di una Barry Tamerlane del genere non si misura in contusioni e labbra spaccate ma nelle adepte adoranti che riesce a conquistarsi e portarsi dietro, come la propria accolita. Quella pronta a sghignazzare per ogni offesa profusa.

Poi c'è Peter Fortune che è il protagonista della storia, dotato di intelligenza creativa e della capacità di modificare la normalità dell'esistenza sognando, appunto, le alternative ad occhi aperti. La letteratura e i suoi autori migliori hanno proprio questa forza: darci dei personaggi che, pur somigliando a noi tutti, abbiano la risposta che non troviamo mai oppure il bandolo della matassa che non riusciamo a sgomitolare. Insomma, ci insegnano che si può fare. Che un'altra modalità è possibile.

Perché infine c'è chi, in carne ed ossa, deve provare a convivere ogni giorno con la sua di Barry Tamerlane e non è affatto facile trovare le risorse che trova Peter oppure i trucchi e l'esperienza che hanno gli adulti. Si torna a casa scocciate, insolentite, mortificate perché la Tamerlane ha avuto da ridire su ogni cosa, persino la più banale, facendolo davanti a tutte. Qualche volta, quando la ferita è particolarmente profonda, viene da urlare persino che non si vuole più andare a scuola.
Roba grossa.
Noi adulti la vediamo in un modo, che è il nostro e che offre risposte buone per una certa stagione della vita. Se invece ci mettiamo, come fa proprio McEwan, all'altezza della stagione della loro, di vita, e dei loro sentimenti di undicenni, si capisce come la piccola Prepotenza e l'offesa che ne deriva diventino intollerabili perché minano la cosa più preziosa di questa età: la personalità in costruzione, la stima di sé e del proprio posto nel mondo, l'autorevolezza (perché si chiama così anche questa) nel contesto del loro piccolo luogo sociale, che sia una classe di scuola, un gruppo scout, una compagine sportiva.
E una Barry Tamerlane diventa giustamente insopportabile e farne la sociologia quotidiana (si comporterà così perché è viziata oppure perché non viene considerata da nessuno oppure perché conosce solo questa modalità oppure oppure oppure) non serve a nulla, a volte ti viene voglia di allungarglielo tu un pugno sul naso.
O forse, alla fine, ha davvero ragione la letteratura: tu non esisti, Barry Tamerlane, e non mi fai paura. Guai a te se ci provi ancora, questo è il mio spazio e, se vuoi, possiamo condividerlo altrimenti non ci provare nemmeno Barry, stammi alla larga.
Fatti i fatti tuoi.
Smettila, sei ridicola.

venerdì 5 aprile 2013

La profe della profe

Stiamo andando a vedere Parma, stamattina. A dire il vero, partiamo per incontrare una persona, che io non ho mai visto, ma che per la profe è molto importante.
Eppure, giuro, sono stato io a pensare di andarci: qualche settimana fa ho preso una telefonata. Una voce molto dolce chiedeva della profe, che quella mattina non c'era.
La voce raccontò di sé, in pochi secondi, tutto quel che volevo sapere, compreso una velatissima amarezza per una "vecchia promessa" mai mantenuta, quella di andare a trovarla. Può, in pochi secondi, una promessa diventare una sorta di dovere morale?!
Può.
Così son qui che guido. Verso nord, nel grigio, con l'animo pieno di attese.
Abbiamo caricato il nostro solito armamentario, che da quando la donna grande e la profe sono state diagnosticate celiache è aumentato ancora (comprendendo pane, biscotti, cibo speciale), se mai poteste immaginare una grandezza già notevole crescere ancora.
Abbiamo i nostri giacconi, una valigia, due sporte di stoffa, uno zaino, la custodia con la reflex e tre ombrelli. Portiamo anche il primo disco di questa interprete di musica brasiliana. Veronica Fascione, si chiama, ed ha una voce chiara che passa una mano di freschezza sui brani che canta. Io e la donna grande proviamo a ricalcarne il portoghese: ci divertiamo.
La pioggia non la mettiamo noi, è abbondante di suo. Sull'appennino la nebbia ci sommerge.
Quando arriviamo a destinazione, Parma galleggia ormai come un canotto. Pozzanghere dappertutto, scrosci impietosi. Vedremo poco della città ma l'incontro con la promessa, finalmente mantenuta, è folgorante.
Ci accoglie una signora piena di vita, di energia, di spirito. Circondata da ogni ben di dio tecnologico sembra un'adolescente alle prese con il suo domani. L'uomo piccolo la guarda incantato, letteralmente a bocca aperta. Si ridesta soltanto quando lei lo tocca sbarazzina sul naso.
Ha organizzato il pranzo in un ristorante per celiaci. Parliamo e ridiamo, di tante cose. Ci confessiamo il reciproco malumore per il grillismo. Parliamo di libri, di romanzi, di vecchie edizioni con la carta un po' ingiallita. Ha persino, e mi sorprende non poco, un libro di Palahniuk lì in un angolo.
Pesco nella sua libreria un libro di Sandro Veronesi, uno dei pochi che non avevo letto, e mi si accendono nella testa alcune lampadine, saltando tra pagine e "liste di cose che vorrei dire", con la voce inconfondibile dello scrittore pratese.
Ancora un caffè e noi adulti ci perdiamo in mille rivoli di chiacchiere.
I pargoli sono impazziti dalla gioia: immersi tra tablet, iMac e smartphone, possono finalmente dar fondo ai loro appettiti tecnologici. E l'invenzione geniale arriva: dopo quasi due ore di ipnosi hitech, Maria Teresa li guarda, sorniona, che continuano a smanettare poi si avvicina e cinge loro le spalle. Passa lo sguardo dall'uno all'altra, con lentezza studiatissima: "bambini, dovete ringraziarmi: vi ho regalato un pomeriggio libero".
Un genio, un ribaltamento così non si era mai visto.
Maria Teresa è la profe di lettere delle medie della profe, un gioco di specchi perfettamente riuscito. E, sinceramente, memorabile.

giovedì 4 aprile 2013

Domande difficili

Comincio ad essere in difficoltà, con le domande difficili.
Sarà l'età, la crisi pre-adolescenziale, la confusione mentale sui ruoli che bisogna ricoprire.
Capitemi.
"Babbo? Scusa babbo, come si dice stasera in inglese"?
"Scusa babbo, cosa vuol dire great"?
"E come si dice troppo presto"?
"Scusa babbo... Babbo? Come si dice mi dispiace ma Johnny dorme da noi, stasera..."?
 "...e, scusa, quello che viene dopo di me si chiama Brian"?

Mi gira la testa. Non ce la faccio mica...
Ma due belle domande sul sesso, no?!?!?!


martedì 2 aprile 2013

Animali(sta)

L'uomo piccolo si è scoperto un animo da animalista.
Dice che è colpa nostra se ancora non è iscritto al WWF.
Spesso la sera (santo il maestro Manolo) lo trovi a letto che spulcia un suo libro sugli animali.
Chiede informazioni su questa o quella specie, sugli habitat (senza sapere che si chiamano così...), su certe prestazioni in velocità, dimensioni, peso.
Ci aspettiamo, da un momento all'altro, che dichiari di voler fare il veterinario, da grande.
Un cane, lo avrebbe sempre voluto (e noi rigorosamente sordi - un cane non ce la faremmo, già la gatta ci impegna).
Nemmeno i pesci rossi, nello splendido acquario che avevamo approntato, hanno resistito. Eh no, il pollice maculato (è quello degli allevatori di animali da compagnia, oh!) noi non ce lo abbiamo.
Ecco.
Al massimo un canarino.
O una meno impegnativa tessera del WWF, appunto.

venerdì 29 marzo 2013

Fuscello nel vento

"Mi sento come un fuscello nel vento".
La donna grande non fa che ripetere il suo mantra, in questo periodo. Lo trovi scritto nei bigliettini, in un suo tema, lo dice quando sconfortata cerca riparo tra le nostre braccia di genitori.
Arrivata sulla soglia della sua adolescenza, si sporge per vedere oltre e vede i dubbi, le incertezze, la fatica di crescere. Dover crescere.
Io me la ricordo bene, la mia adolescenza. Le differenze che non erano un valore ma una ferita. La timidezza che era un macigno trascinato con le catene. La paura di diventare grande l'incognita più profonda.

Però la vedo tanto più allegra, anche sotto il carico degli impegni di prima media: studiare, studiare, studiare. E doversi portare dietro uno zaino che, quotidianamente, pesa 10 chili (regolarmente pesato sulla bilancia). Una serenità, degli slanci che fino a poco tempo fa non aveva.
Dei traguardi raggiunti, qualche paura gettata via.

Io non me lo ricordo proprio bene se mai mi sia capitato, allora, di sentirmi un fuscello nel vento. Forse è questa la sensazione che si prova a crescere: abbandonare le sicurezze dell'essere bambini per affrontare il mare aperto, la vela dell'adolescenza.

Che soffi, il vento.

giovedì 28 marzo 2013

Fiducia e speranza

Ho nutrito una grande fiducia nello sforzo che in questi giorni Pierluigi Bersani ha fatto per dare un Governo a questo Paese. Anche una enorme speranza. Che qualcosa potesse accadere, che le donne e gli uomini del "vaffanculo" avessero un sussulto di responsabilità. Ma chi usa argomenti politici così strutturati, precisi e profondi come il "vaffanculo" cosa altro può articolare?! Una lallazione, un bavoso rigurgito.
Torno a Bersani, che oltretutto non ho votato, non direttamente almeno. A differenza di quasi tutti, ho stima nell'uomo politico e nelle sue capacità e competenze. Peraltro, da vent'anni a questa parte almeno, quella che si è presentata alle ultime elezioni, insieme a Vendola che nessuno ricorda, era la miglior coalizione di sinistra che si fosse mai vista. Ripeto, di sinistra, con un programma di sinistra. Magari di sinistra moderata, ma sicuramente alternativa all'idea (!) che hanno qualunquisti di lusso come Renzi o Grillo. Per tacere naturalmente degli "impresentabili" che sono tanti e ributtanti. Ma che vogliono pure il Quirinale (e che se continua così lo otterranno, possiamo scommetterci).
Poco fa ho visto la breve comunicazione di Bersani alla stampa, al termine del suo giro di consultazioni. Stasera andrà a riferire al Quirinale. Probabilmente dovrà parlare del suo fallimento.
Riflettendo sul suo sguardo, più ancora che sulle sue laconiche parole e sul suo rifiuto di sottoporsi alle domande dei giornalisti, e sul suo viso che in questi giorni ho visto invecchiato di secoli, mi è sembrato di capire che la tragedia di questo Paese sia sì lo stato in cui si trova ma sia soprattutto la fermissima volontà quotidiana di distruggere e schiacciare le sue forze migliori. Sui luoghi di lavoro, nelle scuole, tra operai ed impiegati, il tentativo quotidiano è quello di spezzare anche le ultime resistenze, la forza di chi qualche responsabilità ancora se la piglia.
E non lo dico solo dei politici ma, come qui sopra, anche di noi lavoratori, in qualsiasi campo e a qualsiasi livello e anche per esperienza personale: lasciare che le cose vadano secondo schemi rigidissimi ed umanamente incomprensibili, porsi come duri e puri solo perché non si hanno parole per dire qualcosa di differente, per riacquistare un senso a quel che facciamo ogni giorno, tutti. Chi cerca uno spiraglio dentro questa enorme pressione o cerca di "metterci del suo", come si dice, ed io nel mio lavoro mi metterei tra questi, viene sbeffeggiato, lasciato andare al suo destino.
I nostri sguardi diventano laconici, i nostri visi invecchiano. La nostra anima avvizzisce.
Auguri.

lunedì 18 marzo 2013

La scienza

Qualche volta la profe inciampa.
Anche se è ora di uscire per accompagnare a scuola l'uomo piccolo. E sono in ritardo.
- Uomo piccolo, ti sembra il momento di stare lì a cincischiare?!?!
(Il tono di voce è impercettibilmente stridulo, nota altina).
- Mamma. Ma, secondo te, osservare il DNA di una banana immerso nell'alcool è cincischiare?! Non hai proprio pietà per la scienza.

E vai.
Buon lunedì, eh.

venerdì 15 marzo 2013

Si aggira uno spettro

Uno spettro si aggira per Firenze.
No, no, tranquilli, non stiamo pensando la rivoluzione (e poi Renzi si potrebbe risentire) ma, ugualmente, uno spettro si aggira per Firenze.
Il maestro Manolo.
E, lo giuro, il nome NON è fittizio per difendere la privacy.
Il maestro Manolo.

L'uomo piccolo ne è entusiasta.
Torna a casa e recita a memoria la tavola dei verbi. Essere, avere, irregolari, congiuntivi. Decisamente meglio di uno speaker di tg.
Il maestro Manolo non urla, parla.
Il maestro Manolo non fa quello che gli passa per la testa ma, qualche volta, ci chiede se siamo d'accordo.
Il maestro Manolo brontola pochissimo e ci porta in giardino a giocare a calcio.
Il maestro Manolo ci insegna bene.
(Da quando c'è) il maestro Manolo, l'uomo piccolo ha cominciato a leggere libri. Compulsivamente.
Il maestro Manolo ha le treccine rasta, è ganzissimo.
Il maestro Manolo, addirittura, piace alle mamme. E uno che piace alle mamme è molto, molto, moooolto più pericoloso del papa e dello zar, di Metternich e Guizot, dei radicali francesi e dei poliziotti tedeschi messi assieme.

Uno spettro si aggira per la classe. Speriamo la sua supplenza duri in eterno.

mercoledì 13 marzo 2013

Habetis

Bergoglio, il Papa che piace ai colonnelli. Ovvero: chiedetegli cosa facesse durante la dittatura.
Qui.
E qui.
E perché qui no?

sabato 9 marzo 2013

mercoledì 6 marzo 2013

The world


Confesso, a leggere questa scritta ("graffito, babbo, si dice graffitooooo!!!") sul diario della donna grande, mi prende una certa inquietudine.
E non so nemmeno perché...


lunedì 4 marzo 2013

Stima

La profe: "nei tuoi confronti nutro una profonda autostima".

Secondo voi era:

1) un lapsus freudiano;
2) una provocazione;
3) una battuta (freudiana?).

mercoledì 27 febbraio 2013

Boy band

E poi arriva il giorno in cui una boy band ti si infila in casa.
Passa strisciando, non la vedi, tra gli stipiti. O sottoforma alfabetica, in quella che sembra un'innocente scritta ("graffito, babbo, si dice graffito! Forse ai tuoi tempi si diceva scritta"...) sullo zainetto della donna grande.
Una foto, il formato di una figurina autoadesiva, che balena con noncuranza sulla scrivania, di pomeriggio. E una conversazione tra ragazzine, colta al volo tra un problema di matematica e un ripasso di musica: "aahhh, è proprio figo, Harry", sospirando.

Sì, ha detto figo. Lo giuro.

Quando poi, in una sera di febbraio, ti ritrovi in casa tua, al buio, in attesa che entri in cucina una torta sormontata di candeline accese e nessuno di noi è nato in febbraio, hai capito che c'è qualcosa che travalica. Che va oltre.
Ti ritrovi a festeggiare il compleanno di uno sconosciuto che non è mica lì con te. Chissà dove se ne sta, questo Harry.
E sulla torta c'è persino scritto il suo nome.
"Aaahhh, come è figo".

Così, all'improvviso (ma ormai te lo saresti persino aspettato), la figurina-formato-figurina si trasforma in un poster-formato-lenzuolo che subito trova il suo posto sopra il letto della donna grande. Si parla solo di Harry, si guardano tutti - dico t-u-t-t-i - i video su You Tube della boy band in questione - alcuni anche n volte -, si recitano a menadito i testi delle canzoni, si ripetono le melodie alla tastiera, si canticchiano brani sotto la doccia.
La mattina, prima di tutto, ci si rivolge al poster, lo si bacia e dopo, soltanto dopo, si scende dal letto.
Roba turpe, troppo forte pure per me.
Ma, quel che è peggio, persino quel povero-incolpevole-uomo-piccolo-che-passava-di-lì si trova travolto dalla boy-band-mania e non fa altro che scimmiottare sua sorella. I suoi deck e le carte di Yu-Gi-Oh! ora si dividono lo spazio con la boy band...
Una tragedia che si aggiunge a tragedia.

martedì 26 febbraio 2013

Pesce marcio

E' successo altre volte. Abbiamo le spalle larghe.
Troppo.
E questo Paese è fatto così: una parte di gente a cui sta bene una classe dirigente ladra e corrotta, laida. Una parte che non ha voglia d'altro se non di urlare, di avercelo duro, di sfasciare. E una parte che si barcamena tra etica, i propri doveri (pochi i diritti), le responsabilità del vivere civile. Quella che si potrebbe definire gente per bene.
La gente per bene, in questo Paese, non ce la fa.
E' minoranza storica. Non urla, non sbraita, non s'incazza (al massimo si sdegna o si arrabbia) e nel sistema mediatico in cui siamo calati non si sente. Chi urla più forte vince, figurarsi che risultato può avere chi parla a voce bassa, chi ha il coraggio di dichiarare "Io non abbandono la nave. Posso starci da capitano o da mozzo ma io non abbandono la nave".

I bambini hanno un occhio, un occhio lungo che è quasi utopico perché non conoscono ancora certe sottigliezze dell'essere adulti. Le scaltrezze.
Ci sta che quando tu gli spieghi quel che è successo, quali siano stati i risultati, li vedi che diventano silenziosi. Si potrebbe dire pensierosi?
Perché una loro sintesi la fanno. Ed è molto efficace. Molto.

"Babbo. Ma è come se gli italiani avessero dovuto scegliere tra un lecca-lecca e un pesce marcio. E hanno scelto il pesce marcio".
Ecco, loro non capiscono altro che questo.
Noi adulti, invece, chissà.

domenica 24 febbraio 2013

Buon voto


"L'Ur-Fascismo si basa su un "populismo qualitativo": In una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, ma l'insieme dei cittadini è dotato di un impatto politico solo dal punto di vista quantitativo (si seguono le decisioni della maggioranza). Per l'UrFascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il "popolo" è concepito come una qualità, un'entità monolitica che esprime la "volontà comune". Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale. Per avere un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo più bisogno di Piazza Venezia o dello stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo Tv o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la "voce del popolo". A ragione del suo populismo qualitativo, l'Ur-Fascismo deve opporsi ai "putridi" governi parlamentari. Una delle prime frasi pronunciate da Mussolini nel parlamento italiano fu: "Avrei potuto trasformare quest'aula sorda e grigia in un bivacco per i miei manipoli." Di fatto, trovò immediatamente un alloggio migliore per i suoi manipoli, ma poco dopo liquidò il parlamento. Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento perché non rappresenta più la "voce del popolo", possiamo sentire l'odore di Ur-Fascismo". (Umberto Eco).

Buon voto.

martedì 19 febbraio 2013

Yu-Gi-Ho!

What we talk about when we talk about deck.
Avrebbe detto Carver.

sabato 26 gennaio 2013

Dilemmi

"Babbo, ho un dilemma. Ma, secondo te, perché una ragazzina presa da sola è molto ordinata e precisa mentre un maschio è casinista e disordinato e, invece, le ragazzine in gruppo diventano disorganizzate e vulnerabili mentre i maschi all'improvviso sono una squadra e vanno diritti come un treno"?!?!?!
La donna grande è tornata da una festa di compleanno.

giovedì 24 gennaio 2013

Rapporti

Un rapporto (disciplinare) è un rapporto è un rapporto.
Eppure arriva sempre un momento in cui una mamma (curiosamente sono quasi sempre le mamme che si occupano di questi aspetti) si indigna.
E contesta.
Ché l'insegnante è alle prime armi ed inesperta.
Ché è ingiusto punire tutta la classe se a far confusione sono solo tre o quattro (mediamente sempre qualcun 'altro').
Ché bisogna dirlo (fare delazione) agli altri insegnanti e vedere cosa ne pensano loro.
Ché altrimenti i ragazzini non capiscono più come si devono comportare e se vale davvero la pena comportarsi bene se poi puniscono tutti indiscriminatamente con un rapporto disciplinare.
C'è sempre un perché anche quando forse un perché non ci sarebbe.
Ma ci sarebbe la scuola con le sue regole. I suoi errori, se di errori si tratta. I tentativi di crescere, insieme ai ragazzini. Di essere un corpo vivo.
E noi genitori, talvolta, sprechiamo occasioni per tacere.
Un rapporto (disciplinare) è un rapporto è un rapporto.

giovedì 17 gennaio 2013

mercoledì 16 gennaio 2013

Riemergere

A cena.
L'uomo piccolo stasera era in vena.
Col suo solito tono di voce, AAAAALTO, si è messo a pontificare.
"Il Pds sta progettando un piano malefico per riemergere dagli inferi e dominare la razza umana".
Così, all'improvviso.

Due cose:
1) che ne sa lui del Pds (ha ascoltato noi adulti che, a cena, in vena di rimembranze, citavamo "la gioiosa macchina da guerra")?!?!
2) già che ci siamo, se proprio qualcosa deve riemergere dagli inferi.... non era meglio far riemergere direttamente il PCI?

Per la serie: "ma noi a cena non si potrebbe banalmente conversare di calcio?".

giovedì 3 gennaio 2013

Anche

Ho di fronte a me quest'uomo. E' un venditore di auto usate. Potrebbe sembrare una licenza poetica, una scena di film americano anni '70, ma vi giuro che è vero. Ce l'ho qui davanti.
Un venditore di auto usate che non sta facendo altro che telefonare, di continuo, da quando sono salito su questo treno.
"Io ho il maschio. Poi ho anche la femmina. I maschi sono semplici, li accontenti facilmente, li porti a vedere le macchine, nel piazzale, gli compri la psp e sono felici. Le femmine sono complicate, non le accontenti mai. Sono come quelle grandi, sono stupide".

martedì 1 gennaio 2013

Anno

Mentre l'uomo piccolo si diverte a scorazzare con la sua nuova bici nella piazza deserta.
Provando e riprovando, coi freni contro la velocità, i limiti fisici che lo separerebbero da un brutta caduta sotto lo sguardo severo della statua di Girolamo Savonarola.
Tra le pause di una pioggerellina sottile sottile ma fitta, nella luce bianca di lampioni fine Ottocento.
La piazza ha le sue presenze. Passaggi.
Un gruppo familiare ricco di ragazzini vocianti che la attraversa di sbieco. Si possono immaginare le mani ancora calde di dadi e Monopoli o Risiko. O una tombolata, coi nonni.
Una coppia di anziani signori che si tengono stretti, sottobraccio, mentre camminano incerti e lenti. Vanno in chiesa, è chiaro. Ci dev'essere una funzione, a breve.
Mentre l'uomo piccolo inanella i suoi giri di pista.
Si avvicina, a piccoli passi, un fardello tutto nero. A testa china, non ho mai visto nessuno camminare col collo piegato a tal punto, una suora avanza. Non guarda nessuno, nemmeno quella donna che, contromano, le rivolge un timido saluto. Chissà quanto freddo devono lasciar passare i suoi sandali, leggeri ed aperti alla pioggia.
E ora quelle mamme, spuntate dal nulla (non le ho sentite comparire), col loro fardello di figli che corrono qua e là impazziti di gioia e curiosità per i resti esplosi dei botti di ieri notte. Rincorrono cartoni divelti e macchie nere di polvere da sparo. Dopo pochi secondi, le mamme gridano i loro richiami e quelli rispondono, senza indugi capricciosi, e si avviano sul ritorno.
Due vecchi, che chiacchierano tranquilli ed arzilli mentre i rispettivi cani si godono il quarto d'ora d'aria e di merda nelle aiuole dove poi giocheranno altri ragazzini, da domani. Mani e guinzaglio dietro la schiena, composti e un po' piegati in avanti, come due polene sull'orlo di salpare.
Nel silenzio acquoso delle auto che ci passano alle spalle, rintoccano le campane all'improvviso. La funzione dev'essere iniziata. I canti saranno caldi, l'aria ricolma di respiri.
Mentre l'uomo piccolo continua i suoi giri, il buio si fa più maturo, l'aria gelida come deve essere.
Anno nuovo.
Buono?

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