giovedì 7 maggio 2009

Passaggi

Per me, il ciclismo è una scritta su un muro.
Fatta con una storia che mi raccontò mio padre quando ero bambino.
Eravamo a Ripatransone, antico borgo tra i più belli che io conosca, luogo d’origine della mia famiglia paterna. Un pomeriggio, mi prese per mano e mi portò sotto un arco medievale. Là in cima, appena sotto la volta, a pennellate di vernice nera, c’era la scritta.
W GUERRA
C’era già nel ‘44 quando mio padre, con genitori e fratelli e sorelle, era sfollato lì per fuggire le bombe della costa.
Mi raccontò che lui undicenne, ancora terrorizzato dai fischi delle granate, rimase sconvolto nel leggere la scritta: chi poteva inneggiare alla orribile guerra?
In quella storia, i cui tratti salienti si sono persi ormai irrimediabilmente nelle nebbie della mia memoria, c’era in realtà una semplice vicenda di partigianerie sportive: GUERRA era Learco, il ciclista, la locomotiva umana. E come in ogni storia ciclistica che si rispetti (e che diventi leggenda) c’era un dualismo anche allora: Guerra era l’avversario dell’immenso Alfredo Binda e qualcuno lasciò quella scritta proprio in nome di tale rivalità.
Per me, quel vezzo da tifosi (che credo sia ancora al suo posto, su quell’arco) ha sempre rappresentato l’imprinting di un amore senza amata, di un platonico dolce sentimento popolare, di una passione che, prima ancora di diventare la mia, era stata di mio padre ragazzino. Sì, perché delle sue diverse passioni (un’altra la lirica, il melodramma), da grezzo “ribelle”, non ho colto molto. Anzi molto ho perduto.
Il ciclismo invece è per me quella scritta. Come un titolo di giornale. Come un libro che apre mondi e racconti dietro la testata W GUERRA. Oggi, come un ricordo.
Ricordo le sue lunghe assenze per lavoro ma ricordo anche la sacralità di quei sabati o di quelle domeniche. Il rito di apertura della Milano-Sanremo che guardavamo assieme davanti alla tv in bianco e nero. Classiche del nord: Freccia Vallone, Roubaix, il Giro delle Fiandre, Liegi-Bastogne-Liegi (la sua preferita) erano nomi che avevano per me il colore esotico di una rivelazione e il sapore di polvere fango e fatica. In quel vento che sentivi soffiare persino sullo schermo.
E poi c’era il Giro, più del Tour che restava questione quasi secondaria, quel Giro d’Italia vero viaggio iniziatico all’amore per questo sport. Le rincorse lungo la strada, quando passava dalle nostre parti, e la carovana pubblicitaria lanciava gadget pre-moderni agli spettatori assiepati ai bordi delle strade come fossero ori da elargire ai bisognosi. Un’altra Italia, allora.
Poi un viaggio a ritroso, a ritrovare antiche storie, antiche vicende di rivalità sportive accesissime che poi finivano in una bottiglia scambiata tra i due campioni o in due striscioni speculari che inneggiavano entrambi, i Coppi/Bartali, i Guerra/Binda, i Moser/Saronni.
Quel viaggio a ritroso che poi, con uno scatto bruciante, arriva al più grande di tutti, al Pantani della storica impresa doppia, Giro/Tour dopo “millenni” che a un italiano non riusciva più. A quel Pantani per il quale vidi scorrere una lacrimuccia sul volto di mio padre, ormai malandato in salute, per una emozione che non ricordava più e che tornava a trovarlo, quasi a scuoterlo, dai giorni antichi della sua giovinezza.
Oggi quel viaggio è finito, dentro un mondo che si è ucciso da sé, suicidatosi con le armi della medicina distorta, delle sostanze proibite ma che tutti assumono.
Oggi resta che, per me, il ciclismo è una scritta su un muro.
Resta la mano di un bimbo dentro la mano di un padre, a conoscere le storie, le memorie della vita.
Un passaggio di consegne.
Passiamo.

10 commenti:

  1. commuoversi a quest'ora? ancora impantanata nei fili del sonno?
    così è.

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  2. bellissima questa storia,e anche raccontata bene, pensaci, desian, a queste storie di provincia,hai stoffa, dear

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  3. che bel racconto! Mi è venuta voglia di ciclismo. Sono daccordo con piattini: hai stoffa!

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  4. @monica: oh che grande responsabilità. Grazie.

    @piattini: grazie anche a te, Anna. Dici che dovrei provare a farmi uno splendido vestito, con quella stoffa?... :-)

    @serena: ...oppure aprire una sartoria?

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  5. x me il giro d'italia è uno dei ricordi che ho di mio padre: faceva le corse x essere a casa e guardare le tappe. io lo trovavo un po' noioso e anche immorale che si guardasse la televisione a un'ora che nn fosse serale....
    e adesso quando sento chè c'è il giro penso a mio padre che diceva: quando arriva il giro è iniziata l'estate.
    che bello quello che hai scritto desian

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  6. @emily: anche mio padre, quando poteva cioè nel fine settimana, non le perdeva mai le tappe. Era per lui una specie di appuntamento con la passione. L'ho imparato da lui, questo sentimento del mondo.

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  7. @laura.ddd @renata: grazie a voi del complimento... son contento vi sia piaciuto :-)

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  8. Che bel racconto, che ho scoperto per caso e che mi ha fatto tornare alla mente tanti ricordi.
    Anch'io seguivo il Giro d'Italia, quand'ero una ragazzina...
    Van Looy, vincitore di un paio di tappe negli anni '60, poi Adorni furono i miei campioni preferiti.
    Un po' di tifo negli anni successivi per il conterraneo Francesco Moser e, in tempi più recenti, per Gilberto Simoni, fratello di una mia ex alunna.
    E il ricordo di giorni tragici, quando morì Casartelli al Tour de France, con la voce rotta dal pianto di Adriano De Zan e quello in cui crollò il mito di Pantani, quel sabato del 1999, inizio per lui di una terribile china discendente...

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