No, nemmeno io l'avrei mai detto.
Poi però oggi, nel viaggio di ritorno dalla nostra parte di vacanza marina (un ritorno molto lento e confortevole, fatto di strade secondarie, pochissima insopportabile autostrada) è avvenuto il fattaccio. E anche il parcheggio è entrato di diritto nella lista degli accessori del babbo.
E' successo che ci siamo fermati in un minuscolo borgo della Valnerina (attraversatela, se vi capita, questa splendida appartata valle che in qualche tratto sembra un canyon fuori dal tempo...) e in quest'area di parcheggio un signore stava dicendo all'amico che lo accompagnava che un tale Luca era irreperibile.
La parola mi ha colpito e immediatamente ho pensato che anche a me piacerebbe molto rendermi irreperibile ogni tanto, per un po'. Una volta si sarebbe detto "scomparire dalla vista di qualcuno".
Così mi sono chiesto cosa volesse dire oggi, per noi abitanti di quest'epoca di connessione globale, la parola irreperibile.
Non più scomparire dalla vista di qualcuno, quello adesso lo facciamo molto più spesso di pochi anni fa: vacanze lontane, lavoro lontano da casa, abitando in città anche i contatti con gli amici e gli affetti sono più distanti e più sporadici. Essere irreperibili oggi vuol dire forse non far sapere dove siamo, scomparire dall'orizzonte mediatico: telefonino spento, niente internet, no mail. Puff, nessuno saprebbe più dove ci troviamo.
Sfuggire dal controllo.
Dopo un altro mezzo secondo si è attivato (strano con quel caldo, era circa l'una sotto il sole cocente, o forse proprio per colpa del caldo) un ulteriore stravagante neurone, una connessione (un'altra?!) imprevista: ma questa ossessione del controllo non ce l'abbiamo noi coi nostri figli?
No, eh?!
Sempre addosso sulle regole di comportamento (ossessione improvvisa di massa per il galateo?) come se volessimo normalizzarli, nessuna eccezione è concessa: tempo addietro i bambini (io per primo) si sporcavano mangiando dolci col cioccolato o rovesciando il bicchiere con l'aranciata. Oggi no, oggi non si può più. Con la scusa dell'autonomia (autonomia la chiamiamo, eh?!) bisogna imparare a comportarsi come in caserma. Forse abbiamo paura di sporcare il completino nuovo nuovo da 200 euro...
Sempre addosso sul "dove state andando?".
Oggi, vicino quel parcheggio, c'era un torrentello. Appena i pargoli si allontano di un metro col chiaro intento di scendere sul greto, noi due in coro saltiamo su, con mezzo panino ancora tra le fauci: "dove state andando?! Aspettate che uno di noi due venga con voi!!!".
Quando ero bambino, sono sceso sul greto di un torrentaccio sporco e maleodorante che scorreva vicino la mia casa di allora centinaia di volte tutto solo, al massimo coi miei coetanei. Eppure sono sopravvissuto. E anche le statistiche non parlano di "morte da scomparsa nei torrenti" dei pargoli, non almeno in maniera significativa. No.
Eppure noi lì, addosso. Controlliamo.
Controlliamo che in casa abbiano i calzini antiscivolo (potrebbero cadere e battere il naso nel parquet da 10.000 euro il metro quadro. Rovinandolo? O facendosi male loro, poverini?!); controlliamo che non piglino caldo/freddo, che non sudino troppo, che non sudino poco ("avrà qualche disfunzione chi suda poco?"); controlliamo che non cadano dalla bicicletta (col risultato che imparano ad andarci davvero solo a 22 anni, se hanno fortuna). Insomma controlliamo controlliamo controlliamo...
Ma.
Siamo onesti.
Diciamo(ci) la verità: ma stiamo controllando loro oppure controlliamo le nostre ansie e le nostre paure?!
Insomma, continuando così, i nostri figli potranno o dovranno bellamente cancellare dal loro vocabolario la parola irreperibile: li doteremo prestissimo di telefonino senza tasto off, possibilmente in diretta connessione con la loro corteccia cerebrale (ricordate "Strange Days" di Kathryn Bigelow?) col quale potremmo sapere non più solo dove sono e con chi ma addirittura controllarne il chilometraggio negli spostamenti e vedere il volto di chi è con loro e conoscere le loro sensazioni. Sapere come stanno. Quando stanno.
Poi però dovrebbero chiamarci in continuazione per farsi spiegare, passo dopo passo, come pedalare senza interruzioni o come cadere dalla bici facendosi meno male possibile. E per allacciarsi le scarpe (cosa che non gli insegniamo più, da quando ci sono le favolose scarpe col velcro) frequenteranno un esclusivissimo master. Naturalmente dopo la laurea.
In un'area di parcheggio succede anche questo.
Non crederete mica che ci si possa anche dare la risposta, vero?
Lì, su due piedi, sull'asfalto rovente?!
Pfui.
eh si, il solito dilemma, si sta bene ora, si stava meglio prima? Boh, impossibile rispondere. Sono meglio le scarpe al velcro o quelle ai lacci? E' meglio la lavatrice o sfregare i panni a mano sulla tavola? I miei non hanno lacci, lo confesso. Pero' sanno usare un computer a 5 anni. E' un bene? E' un male? Boh. I nostri genitori (o forse i nostri nonni) non si ponevano troppe domande, era un essere padri e madri istintivo forse, fatto di tradizioni, di emulazione della generazione precedente. Non e' che ci facessero sporcare il muso di cioccolata per un preciso scopo pedagogico, lo facevano e basta. Noi abbiamo letto, siamo consci di varie sfaccettature della paternita'/maternita', cerchiamo di prendere decisioni informate (magari incasinando la faccenda ancora di piu', certo). E' un bene, e' un male? Boh. E' un altro lusso forse, quello di porsi domande, che ci e' regalato da questa generazione, un lusso e una maledizione. Il solito mantra direbbe che il bene sta nel mezzo, ma qual'e' il mezzo? Boh.
RispondiEliminaE ora devo fare un coming out: noi non abbiamo telefonino. Non solo i nostri figli, ma neanche noi. Nessuno dei due. Per scelta, puoi dire anche per snobismo ormai, accetto la critica. Ma quest'e' al momento. Sopravviveremo con questo buco di irreperibilita' appresso? Chissa'.
@supermambanana: ecco, appunto, anche il "boh" entrerà tra gli accessori del babbo. Come dici non è facile (è impossibile?) darsi risposte. L'importante è saper porsi le domande: questa è una possibilità che abbiamo. Non credo si stesse meglio prima. E prima di cosa, poi? Prima dell'avvento della tv? Prima del telefonino? Prima del pc?
RispondiEliminaE chissà cosa arriverà dopo...
Per finire, benritrovata e buon agosto! :-)
Non so Desian. Sono un pò perplessa. Ci sono due pensieri Che mi aggrediscono. Uno si aggancia alla cronaca di questi gg. Mi chiedo se I genitori dei ragazzi smarritisi nei boschi nei pressi di Lecco siano o meno lieti della fiducia accordata. Secondo, dove sarebbero tutti questi ragazzi vincolati da rigide regole di comportamento? Io mi confronto sempre con bambini liberi di fare quello Che vogliono tanto che mi sento una mamma troppo pretenziosa e mi trovo spesso a rimpiagere regole perdute dei tempi di mia nonna. Tutto relativo? Boh!
RispondiElimina@mamma cattiva: non so cosa sia successo a Lecco, ho bucato la notizia ma, in linea teorica, accordare fiducia al prossimo è il modo con cui si è sviluppato il consesso umano. Come potrei non concedere fiducia ai miei figli e al loro modo di stare al mondo?! Poi hai mille volte ragione qiando parli delle regole dell'educazione proprio perché non abbiamo ancora trovato il bandolo. Ai tempi dei miei nonni, i bambini non potevano nemmeno parlare, non avevano diritto di esistere, stavano in un cantuccio e temevano di essere spesso puniti duramente per le loro "malefatte".
RispondiEliminaIn qualche (molti?) caso oggi si è scambiata la libertà della consapevolezza con la libertà del menefreghismo, lasciando fare ai ragazzi quel cavolo che vogliono. Si è abdicato al ruolo educativo credendo che quello permissivo fosse la soluzione. Per il resto, continuiamo ad interrogarci... anche sugli accessori. ;-)
Le mie nonne avevano sette e sei figli rispettivamente: non potevano controllare; si fidavano e cercavano di responsabilizzare...
RispondiEliminaSaranno anche altri tempi, c'era la guerra, si viveva in capagna ma il principio è lo stesso. Solo che non è facile, avremo perso i geni?! Non so, io ci provo ma alla fine controllo, controllo...
Il fatto è che noi viviamo la genitorialità come una missione, leggiamo i manuali, ci informiamo, ne facciamo un lavoro.
RispondiEliminaUna volta i figli capitavano, cercavi persino di non affezionarti troppo a quelli piccoli, tanto un buon quarto ti morivano nell'infanzia e data la quantità ci investivi di meno, anche affettivamente, anche ad averne i mezzi.
Adesso, ragazzi, sempre qui a valutare il pro e il contro se faccio così poi mi diventa cosà, una fatica. comunque tutte le tue considerazioni da parcheggio me le sono fatta in una breve terapia quando è nato Ennio, che di giorno mi impedivo di fare la madre ansiosa e di notte avevo gli incubi.
E nel bene e nel male ce le facciamo tutti e cerchiamo, ognuni per sé di darsi onestamente una risposta.
il problema, secondo me, non è se era meglio prima o adesso ma è :assecondare o meno le proprie ansie riversandole nell'educazione dei figli.
RispondiEliminaOggi ho 48 anni e due figli di 12 e 9 anni e anche quando ero bambina i genitori assecondavano le loro ansie.
Non puoi fare tardi la sera (ero l'unica che a 18 anni doveva rientrare massimo alle 10 a casa), devo conoscere chi frequenti ...
Ma i genitori devono educare e aiutare i propri figli a vivere nel mondo in autonomia e ciò anche per assecondare le prorpie ansie, la madre di un amichetto di mio figlio (10 anni) quando esce per strada gli tiene sempre la mano (facile che la prima volta che il figlio si allontana rischia di finire sotto una macchina.
Per cui appoggio pienamente la riflessione fatta da desian il controllo eccessivo nasconde le nostre paure e non ha nessun valore educativo.