martedì 20 luglio 2010

Una cosa delirante che faremo ancora (2)

Domenica mattina, mentre ti avvicini all'ingresso dello stabilimento balneare (a proposito, nella città balneare gli stabilimenti vengono comunemente chiamati chalet. Per brevità, d'ora in poi, li chiameremo così), ti rendi conto che il tuo fine settimana al mare deve ancora cominciare ma, nello stesso tempo, sta già per finire.
Domenica sera ripartirai perché se è vero che profe e pargoli resteranno a godersi la loro meritata vacanza nel dolce verde marino, è altrettanto vero che tu sei ancora nel pieno del marasma lavorativo. E lunedì mattina ti aspettano, si fa per dire, in ufficio.
Che poi camminando sul marciapiede che ti porta allo chalet ti rendi conto (ma di questo avrai consapevolezza soltanto molto tempo dopo, quando sarai già rientrato in città e starai scrivendo questo post) che si tratta del medesimo marciapiede dove più di trent'anni fa accadeva questo e capisci, come dice la tua amica letterata, che le trame esistono, non sono soltanto l'invenzione di un qualche sceneggiatore ma che accadono nella realtà. Esse sono.
Insomma, arrivi ed entri. Lo chalet, a dispetto del nome in minore, è una specie di reggia e l'entropia regna sovrana. Quando individui una specie di reception ("sì, dev'essere lui il boss, fuma il sigaro!") ti avvicini e ti presenti. Abbiamo prenotato, per due settimane, sì ombrellone e due lettini, ecc.
Il boss ti guarda, interrogativo (e continuerà a tenere lo stesso sguardo ogni volta che gli ti parerai davanti le volte successive quindi: o non capisce cosa io voglia da lui, o sono trasparente e quindi è spaventato dalla mia voce che viene dal nulla, o cerca qualcosa nella sua memoria e non lo trova), poi riprende coscienza e grida un nome.
Attenzione adesso, focalizzate la situazione!
Gente vociante che si muove in ogni direzione, bambini e suppellettili che si intersecano, baristi che girano come trottole, familiari del boss. Malgrado siamo ancora sul cemento, la sabbia scricchiola sotto le tue infradito. Si sente strusciare: un vecchietto piuttosto male in arnese sta dando il cencio in terra cercando di aver ragione di tutta quella sabbia. Ogni altra volta che lo vedrò, d'ora in avanti, starà sempre facendo la stessa frenetica azione: un vero specializzato.
In questa nuvola di caos, pian piano dei contorni si fanno nitidi; si staglia una figura che avanza, fendendo tutto: sabbia, bambini, poltroncine.
Ti trovi di fronte un Big Jim in versione carne ed ossa. Lo stesso colore bronzeo della cute ma molto molto molto più muscoloso: egli è l'equivalente dell'arca di Noè per steroidi, anabolizzanti, ormone della crescita. Li contiene tutti, di ogni tipologia presente sulla Terra, come se dovesse salvare quelli dal diluvio invece degli animali.
A ben guardare, c'è qualcosa che stona. Anzi due.
La prima è una testolina piccola piccola in cima al suo collo diametro 64. La seconda è che... sembra non avere indosso nemmeno il costume da bagno. Orrore...
Se poi guardi bene, fiuuuu!, ti accorgi che ce l'ha però è rimasto nascosto nelle pieghe dei muscoli, tra la tartaruga addominale e i quadricipiti femorali.
Big Jim ti guarda, interrogativo (ma cos'è, un'abitudine della casa?!), poi riprende coscienza e guarda il boss che, a sua volta, prova a chiarirgli chi siamo, cosa vogliamo, dove andiamo.
Big Jim ha un guizzo, l'unico, negli occhi. Forse ha capito qualcosa. Estrae da sotto l'ascella (nuda) una specie di libro mastro il cui formato, giuro!, è di un metro per sessanta centimetri e lo apre con voluttà. Lo consulta come se si trovasse di fronte il libro delle profezie di Ezechiele.
In realtà, il voluminoso volume altro non è che una piantina della spiaggia con gli ombrelloni, disposti regolarissimamente in file di otto. Individuato il nostro posto (siamo al 177) quasi sorride e ci rassicura: "vi accompagno". Fa tre passi verso la spiaggia (ho detto tre) e solleva un braccio: "è quello là".
In quel momento incrocio il suo sguardo. Come ve lo immaginate voi lo sguardo di un siffatto Big Jim? Truce? Di superiorità? Sprezzante? Aggressivo? No, niente di tutto questo. Lo sguardo del nostro Big Jim ti dice una cosa e una soltanto: "voglimi bene almeno tu, oh turista sconosciuto" (e anche gli errori di grammatica sono inscritti entro i confini delle sue pupille), poi abbassa lo sguardo, si gira sui talloni e se ne va.
Allora mi chiedo: "Chi? Chi ha potuto non voler bene al nostro caro Big Jim tenerone, in vita sua? Chi è potuto essere tanto crudele"?
Chi lo ha ridotto così?
(continua...)

sabato 17 luglio 2010

Una cosa delirante che faremo ancora (1)

Le premesse sono due, la prima brevissima: ebbene sì, sto leggendo "Una cosa divertente che non farò mai più" di David Foster Wallace e lo trovo geniale.
La seconda è un po' più articolata ma necessaria.
Le nostre vacanze al mare sono, di default, su spiagge libere, quelle senza stabilimenti balneari, senza assistenza per le famigliuole vogliose di relax (a che prezzo, il relax! Costa decisamente più dello stress). Potendo scegliere, come negli anni passati, dislocate oltretutto nel mese di giugno.
Corsica, Sardegna o Costa degli Infreschi, abbiamo scelto spiagge lontane, a volte anche raggiungibili previa non brevissima scarpinata (l'anno scorso a Scario, per arrivare, ci facevamo anche una stupenda mezz'oretta di barca) con addosso tutti i nostri fagotti, giochi, ombrellone, pranzo al sacco.
Insomma, siamo decisamente fuori da qualsiasi ricerca di marketing che vuole le famigliole italiane con pargoli tutte votate alla spiaggia full-optioned praticamente dentro il salotto, con ombrelloni, bagnino muscoloso, bar-ristorante-toilette-ricovero-pizzeria-discoteca-piscina-baby parcheggio-infermeria-ecc.
Abbiamo scelto la libertà di fare mare senza (necessariamente) essere degli intruppati. In luoghi straordinariamente belli. (Mi pare sia arrivato anche il momento di precisare che non siamo martiri-della-vacanza-fai-da-te ma anzi ci siamo concessi tutto lo sbraco necessario).
E siamo stati benissimo: in compagnia, rilassati, senza pensieri.
Quest'anno invece, per motivi logistici e organizzativi differenti, la cosa migliore ci è sembrata affidarci al famigerato stabilimento balneare per famigliuole.
L'ho dichiarato già nel titolo, lo "faremo ancora", quindi nessuna preclusione e nessuno snobismo.
Una cosa delirante che vale la pena raccontare.
(continua...)

lunedì 12 luglio 2010

Ping pong

L'uomo piccolo, al telefono.
Dal mare.
- Babbo, babbo, stiamo giocando a ping pong. Però senza rete...
- E come fate?!
- Eh, abbiamo cominciato che la pallina rotolava. Poi abbiamo fatto qualche saltello piccolo. Ancora non siamo arrivati ai saltelli grandi da professionisti. Ora stiamo provando altri saltelli. Ah!, non ti offendere ma stiamo giocando con le tue racchette, di quando eri piccolo.
- Mmmh, ho capito e vi divertite? Stai imparando?
- Sì. Vabbè resta al telefono, devo andare di là a giocare. Ti saluto.

Ti saluto?!
Una volta si diceva "ciao babbo, mi manchi tanto, quando torni"?
Adesso "ti saluto".
Ho capito, passami la mamma, penso.

Ti saluto...
Ti saluto a chi?!

sabato 10 luglio 2010

Ieri silenzio...

...e oggi il ducetto ha ricominciato a dire bestialità.
Qui, l'articolo di Repubblica (ma avete visto che espressione ha in quella foto?!).

Dice, il ducetto, che la libertà di stampa non è un diritto assoluto.

Evidentemente non ha mai letto la nostra Costituzione.
Evidentemente non conosce la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo.
Evidentemente non ha mai sentito parlare di Rivoluzione Francese, Illuminismo.
Evidentemente... ma dove diavolo ha studiato?!
Ma, la conosce la Storia?

martedì 6 luglio 2010

Depenalizzazioni

L'estate è così, cambia le prospettive. Senza scuola i pargoli si sentono più liberi, senza scuola gli adulti hanno meno fretta.
Le chiacchiere si rincorrono tra i muri freschi e il caldo, fuori, è solo un lontano ricordo. Il verde ci accalappia, rotolandosi nell'erba, e ci stringe il cuore. Si ride.
Le regole si allentano come una cintura troppo stretta in vita. Si respira. E sembra più naturale rispettarle, quel poco.
Si corre, in bici o sui pattini inseguendo un proprio pensiero, che sia un desiderio di divertimento o un esercizio per migliorare. A volte, mentre scherziamo, ci sembra tutto più semplice. Regole, comportamenti, sfottò. Così l'altro giorno ci siamo lasciati andare.
Abbiamo derogato, mollato la briglia.
Così avremo un intercalare, innocuo, in più.
Siamo un po' meno formali.
...abbiamo depenalizzato il "che palle"!

venerdì 2 luglio 2010

Al fresco (l'importante è partecipare...)

Non è schizofrenia, se vi ricordate il post di ieri. L'estate è fatta di questi estremi: tra la calura diurna e il fresco delle colline, la sera. E' per cercare un po' di tregua che ci si arrampica verso l'alto, su un nastro d'asfalto che presto lascia il calderone della città per incontrare vigneti, coloniche che ti guardano da sopra, ville medicee e oliveti. Campagna.
Poi, d'improvviso, il bosco e tutto, ancora, cambia. La temperatura si fa dolce e sopportabile, l'umidità non è più appiccicosa di ossido di carbonio ma profuma di foglie ed erba.
Ci si distende: verso la tavolata già pronta, verso il tramonto fantastico, verso il prato. E il campetto di calcio. Due porte ed un pallone fanno la nostra gioia, dei pargoli e "di" pargoli. Anche desian sgambetta. E suda.
Poi chiacchiere rilassate e cibo.
E anche dietro la serata più innocua si nasconde qualche risorsa, se sono dei bambini che ti guidano. Perché a un certo punto ecco saltar fuori una squadra di cinque ragazzini, grandicelli. Cominciano guardandoti da lontano, mentre sgambetti tra i tuoi piccoli. Poi si fanno avanti: vogliamo giocare anche noi, vogliamo.
Giochiamo.
I ragazzini son ganzi, chiaramente semi-professionisti per l'età che hanno. Ce le danno di santa ragione e i pargoli, tutti e cinque quelli che ho attorno, non sanno più che pesci pigliare: la palla nemmeno la vedono più. Sono gol su gol, che subiamo.
Qualcuno comincia ad essere disperato (e piangerà tutta la sera, ben dopo la fine della partita), qualcun altro implora che l'adulto, io, prenda in mano la situazione e annichilisca gli avversari.
Avversari che peraltro sparano parolacce come fossero complimenti, millantano di "spezzare le gambe" e accampano mille scuse non appena perdono il pallone.
Insomma, ragazzini ben educati, pronti per una vita adulta da furbacchioni, da prepotenti. Vogliamo giocare, perché noi vinciamo.
Per fortuna, tra i pargoli c'è un piccolo saggio: "l'importante non è vincere ma divertirsi, giocare e imparare" cercava di consolare i suoi compagni. Inconsolabili, alcuni.
E, mi chiedo, piccoli lord educati a valori diversi e quindi perdenti?

giovedì 1 luglio 2010

Solleone

La scuola è finita da un pezzo ma noi siamo ancora qui, nell'asfalto urbano, sotto un sole ruggente. In attesa delle agognate vacanze (chi prima, chi dopo), i pargoli stanno frequentando i centri estivi.
Passano le loro giornate tra il giardino e i giochi, tra canzoni (che sanno a memoria già il secondo giorno e cantano a squarciagola in ogni momento anche a casa) e gite nel circondario. Fanno nuove amicizie (che magari durano appena lo spazio di due settimane ma che senti vive nei loro racconti), vestono in maglietta e pantaloncini. I sandali sdruciti.
Sembrano bambini di un'epoca remota e contadina, quando la sera la stanchezza li abbrancava e, in un vortice da mago di Oz, li stendeva implacabile nel sonno. Adesso, la sera, crollano addormentati sul divano. Consumati da una stanchezza felice, liquefatti dal loro essere bambini.
E ti viene da pensare che quando erano a scuola arrivavano a sera in modo diverso, anche la stanchezza era un'altra cosa: una tensione, un nervosismo capriccioso. Uno stress.
Così ti dici che la nostra vita, di tutti, organizzata come la conosciamo (scuola-lavoro-casa-mezz'ora di giardinetto di quartiere-compiti-far da mangiare) sembra una follia. Ci consuma ma non ci soddisfa.
Così ti chiedi che bambini sono quelli che alleviamo in certi miti odierni, che adulti saranno (e siamo) da sempre avviati ad un'esistenza fatta di impegni, responsabilità, competizione, ansia da prestazione.
A sei anni, a sette o dieci, l'unica ansia da prestazione che li rende felici e pieni è questa: la stanchezza di una giornata all'aperto, la libertà del gioco. La responsabilità di essere bambini.
Se sapessimo portare con noi, nel nostro viaggio esistenziale, un po' di queste emozioni estive, forse saremmo adulti migliori. Bambini migliori, sicuramente. Chissà.

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