martedì 1 dicembre 2009

Giorni rotondi


Ne avevo già detto qui, promettendo di parlarne ancora.
Ebbene, come uscire dall'impasse di dover mettere mano a un'epopea, seppur piccina, seppur di provincia?
Una città di neanche 50.000 abitanti ha racconti che nessuno, di solito, si prende la briga di mettere in fila. Spesso sono narrazioni tradizionali, qualche volta storici locali si applicano a sistematizzare vecchi documenti e memorie ancora più nascoste, qualche poesia vernacolare.
Eppure quella città, proprio perché provincia diffusa, ha bisogno di uno sguardo altro, di un'osservazione che, partendo dall'interno, vi si riaccosti in un viaggio a ritroso. Un ritorno.
Tornare è una parola complicata, uno stato della vita che mette di fronte a scelte precise, a sentimenti che potevamo credere gestiti, a ferite che ancora suppurano.
Tornare è una memoria, è la scelta di farlo, quel percorso. Di scavare nell'oralità cannibale che, talvolta, cambia i connotati alla realtà. A volte li infiora. Oppure racconta, parla.
Scopre.

Nel 1981, quando la Storia di questo libro sembra cominciare, avevo la bellezza degli ignari 15 anni: un po' poco per esserci, troppi per sottrarsi davvero. Ma la Storia, in questo libro, comincia ben prima: diciamo nel 1970, il 23 dicembre.
Quella sera, sì era buio ormai, una nave di pesca oceanica che tornava da Venezia dove aveva fatto manutenzione, con un equipaggio di 10 persone, viene rovesciata dal mare in tempesta, crudeltà del destino, a poche miglia (una vera manciata) dal rifugio nel porto sicuro. San Benedetto del Tronto.
All'improvviso, l'antivigilia di Natale diventa, per una città intera (piccola e di provincia, ma intera) il peggiore degli incubi, la rappresentazione biblica dell'impotenza assoluta.
Il mare è grosso, una vera tempesta, nessuno si prende la responsabilità di uscire in mare per tentare il salvataggio. Giorni interi passano, con la nave rovesciata che va alla deriva, senza che nessuno intervenga. Dalla possibilità di trovare superstiti si passa direttamente ai cadaveri certi.
Dieci.
Il Natale per dieci famiglie sarà la tragedia più grande.

La rabbia della città, di fronte all'incapacità di far fronte all'emergenza, si trasforma in furia: manifestazioni, blocco della stazione ferroviaria, blocchi stradali.
Una città e la sua popolazione in rivolta.
La comunità si cementa attorno al suo immenso dolore.

Silvia Ballestra si è caricata sulle spalle questa responsabilità e, partendo da questa storia (una sorta di mito fondativo per tanti che come me avevano 4 anni nel '70 e questa vicenda l'hanno sentita raccontare, favoleggiata nella sua tragicità), ha raccontato in questo romanzo che piega prese quella rivolta che diventò prima consapevolezza poi lotta politica poi momento di conquista di diritti (la stipula di un Contratto Collettivo Nazionale della pesca, che fino ad allora non esisteva, si fa risalire al lavoro politico e sindacale fatto in quegli anni dai giovani di sinistra sambenedettesi) poi degenerò in devianza terroristica poi nella falce mortale della droga e infine, a saldarsi con la tragedia primigenia, in nuova tragedia e immenso dolore. La vendetta brigatista colpì il fratello inerme e innocente di Patrizio Peci, il primo pentito BR: il 10 giugno 1981 Roberto fu rapito da un commando; il 3 agosto fu barbaramente giustiziato da quei pazzi.
Il sangue, ancora, su una famiglia che non c'entrava nulla con le degenerazioni della Storia italiana.
Molte cose finirono quel giorno, la nostra innocenza svanì. Se col naufragio del Rodi avevamo perso dieci uomini di mare e acquisito una coscienza collettiva, coll'assassinio di Roberto Peci perdemmo l'innocenza: il senso di tutto quello che era stato prima era morto. Sepolto per sempre nel dolore che vedevamo dove non avrebbe dovuto essere. La città, ancora una volta, si strinse al dolore altrui.

Mi dicono che in questi giorni, il libro è uscito da poco, laggiù a San Benedetto del Tronto si stia scatenando un enorme, doloroso, polemico dibattito che talvolta prende forme un po' contorte, altre volte scade in vecchie polemiche di campanile e/o di presunte negazioni delle origini: Ballestra vive lontano da anni. Come me, d'altronde.
Altre volte si chiedono alla realtà forme che questa non sempre sa prendere: un romanzo non è un trattato di storia (e molti sono gli angoli bui...) ma ha il pregio di spalancare le porte, di sbattere le finestre. Molti miei concittadini (storici, politici, professori universitari, persone che c'erano allora) sono assolutamente più titolati di me per aggiungere qualche voce a questa narrazione.
Io ho voluto parlare di un libro (che tra l'altro non è così cupo e doloroso come l'ho descritto finora: ci sono aspetti divertenti e malinconici, si ride e si piange, si scherza e si riflette e altro ancora), di un pezzo di quel racconto, perché anche la mia terra, come tutte le terre, ha le sue ferite. Io, che ero bambino e poco più all'epoca, di quelle ferite sentii solo il sapore ferroso del sangue: le mie erano estati felici di ragazzino. Ho recuperato lembi di memoria, leggendo questo libro oggi. Ho recuperato una parte di me che non conoscevo (non sapevo di averla sfiorata, vivendo in quegli anni?) e sono cresciuto di un altro pezzettino.
Una parte di quel dolore terribile l'ho visto dentro gli occhi, con la loro inarrivabile dignità, di alcuni.
Oggi lo rispetto ancora più di allora.
Oggi lo capisco da adulto.
Oggi.

Poi tutto finì.

4 commenti:

  1. ultimamente sei molto in forma... saranno le lotte sindacali dei comitati genitori ;-)

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  2. Qual è il titolo del libro? Mi è scattata la curiosità suscitata anche dai ricordi, i tuoi ricordi che affiorano intatti, appena velati di nostalgia...
    Forse lo trovo su Anobii? Sotto Desian?
    Grazie per il link che ho ricambiato.

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  3. Trovato! Scusa non avevo seguito il link...

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  4. @lalla: il libro è "I giorni della rotonda" e il link che porta ad anobii è

    http://www.anobii.com/books/I_giorni_della_rotonda/9788817036603/0101c0407986daf485/

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