Perché non te le ricordavi, le tue domeniche di quinta elementare. D'inverno, quando il mare soffiava umido verso la città. E il sussidiario era un libro divulgativo rispetto alla complessità multidisciplinare di oggi.
Così hai potuto millantare quanto tu fossi veloce e ligio, nel fare i compiti, sempre da solo, senza genitori a ronzarti intorno. E, dopo che li avevi finiti, via a giocare, ad appiccicare figurine in un album (la stagione delle raccolte adesive era più o meno la medesima di questa), a spostare soldatini dentro un forte di compensato.
Questo hai detto, per scalfire la noia dei tuoi pargoli e istigarli a "darsi da fare".
In realtà stare lì, sotto le coperte, a ripassare l'antica Grecia, la geografia (fisica, demografica ed economica) del Piemonte, i cinque sensi con tutti quei nervi che trasportano stimoli elettro-chimici fin dentro il cervello è stata una gran bella cosa. Un'immersione totale dentro un mondo lontano, non tanto antico o moderno ma proprio distante.
Una distanza abissale, di metodi, di tempi, di cultura. Persino il Piemonte sembra cambiato, visto dall'oggi.
E rotolarsi con quei due, uno alla volta per non mescolare materie e programmi, come due compagni di classe è un privilegio di valore inestimabile: vedere uno sguardo che guizza quando la mente ha trovato la parola esatta, cogliere l'incertezza di fronte ad un accento difficile, ridere assieme di una parola storpiata in maniera irresistibile è più di un regalo. Più di un premio, forse un impegno. Leggero, tenue come un alito di zefiro.
E domani, il lunedì, sarà più facile. Senz'altro.
domenica 20 novembre 2011
martedì 1 novembre 2011
Pensieri su strade bianche
Oggi la donna grande era su un altro pianeta. Ha camminato quasi tutto il giorno a testa bassa, capelli sugli occhi.
Pensava.
Trascinava i piedi ma senza noia, senza ritrosia. Era solo un'andatura, un modo di procedere.
La donna grande, come dice la parola stessa, sta diventando grande. Sempre di più. Pensa, comincia a impigrire, prova a fare qualche resistenza ai programmi imposti dall'alto. Una sorta di preadolescenza. Ormai, si vede lontano un miglio. Anche standole accanto. E coccolandola, dentro i suoi silenzi.
Oggi, però, la giornata è stata quasi magica. Sarà stato il tempo, tutto sommato clemente e caldino. Sarà stata la passeggiata, organizzata dagli amici del cuore (e per fortuna che nei cuori ci si sta tutti, in tanti...), la campagna colorata come in un Van Gogh.
Perché il Chianti, al di là delle cartoline o proprio per quelle, è davvero qualcosa di unico. Vigne e rossi e gialli e querce e cinte senesi brade al pascolo e tronchi tagliati che stillano resina profumata e borghetti che si vedono sui crinali come sull'onde. Insomma, paesaggio da sogno e passeggiata dolce, su strade bianche.
Qualcosa tipo questo:
Pensava.
Trascinava i piedi ma senza noia, senza ritrosia. Era solo un'andatura, un modo di procedere.
La donna grande, come dice la parola stessa, sta diventando grande. Sempre di più. Pensa, comincia a impigrire, prova a fare qualche resistenza ai programmi imposti dall'alto. Una sorta di preadolescenza. Ormai, si vede lontano un miglio. Anche standole accanto. E coccolandola, dentro i suoi silenzi.
Oggi, però, la giornata è stata quasi magica. Sarà stato il tempo, tutto sommato clemente e caldino. Sarà stata la passeggiata, organizzata dagli amici del cuore (e per fortuna che nei cuori ci si sta tutti, in tanti...), la campagna colorata come in un Van Gogh.
Perché il Chianti, al di là delle cartoline o proprio per quelle, è davvero qualcosa di unico. Vigne e rossi e gialli e querce e cinte senesi brade al pascolo e tronchi tagliati che stillano resina profumata e borghetti che si vedono sui crinali come sull'onde. Insomma, paesaggio da sogno e passeggiata dolce, su strade bianche.
Qualcosa tipo questo:
domenica 30 ottobre 2011
Colpi bassi
"Eh no, mamma, tu non ci sai proprio fare con l'ironia".
Parola di donna grande.
Parola di donna grande.
giovedì 20 ottobre 2011
E' passata catena!
No, non stiamo parlando di una riedizione in DVD Blu-Ray del classico "Radici". Né delle catene da perdere in una qualche rivoluzione. E neppure dell'ennesimo prodotto della famiglia Fiorello.
"E' passata catena" vuol dire che ora siamo negli scout. Cioè, ad essere precisi, sono i pargoli che sono negli scout, da nemmeno una settimana, hanno già fatto la loro prima giornata in tana e domenica prossima ci aspetta la caccia.
Così, ieri sera è passata catena ovvero "la" (per antonomasia) successione di telefonate con le quali ogni bambino passa al suo compagno di gruppo la notizia che arriva da akela. Che in tempi di tecnologia suona davvero con un clangore fuori dal tempo eppure i vecchi lupi ci confermano che, quando ancora il mail era di là da venire, i gruppi scout hanno sempre fatto così. E tutto ha funzionato, ogni informazione è riuscita a sopravvivere. Ormai gli scout, nel mondo, hanno più di cent'anni. In barba al mail.
Insomma, l'evento clamoroso non sta tanto nella telefonata in sé. Sta piuttosto nella reazione dei pargoli.
Va premesso che i due, pur essendo tecnologicamente più che alfabetizzati (mail, appunto, ma anche giochi su internet, nintendi vari, mario bros e chi più ne ha più ne metta), hanno una fortissima idiosincrasia col telefono. Lontano anni luce dalla scena di "Caro diario" in cui un Nanni Moretti costernato aveva a che fare sempre con dei bambini che rispondevano al telefono, i nostri pargoli non hanno mai familiarizzato col ferrovecchio di Meucci: non rispondono mai quando squilla, non amano usarlo per parlare con amici o parenti lontani, ne hanno quasi un timore reverenziale.
Invece ieri sera, non appena ha squillato, è partito il grido di giubilo: "è la catena, è la catena. Ci chiamano per la caccia di domenica"!
E così è andata: immediatamente dopo aver preso appunti (vedere il casinista uomo piccolo prendere carta e penna e appuntarsi diligentemente tutto quanto veniva detto dal suo compagno telefonico mi ha creato un certo sconcerto. Mi ha fatto anche capire come le cose fatte e imparate da sé abbiano un valore che nessun "insegnamento" può eguagliare), l'uomo piccolo è corso alla lavagnetta dove ci sono i numeri di telefono del gruppo. Ha composto il numero sulla tastiera, quasi senza aiuto, ed ha chiamato akela per dire che la catena era passata anzi, con lui, si era chiuso il cerchio telefonico.
"Sì, tutto a posto. Pronto?! E' passata catena. Ci vediamo domenica, vero?... La parola d'ordine è 'abbecedario'. No,... sono l'uomo piccolo".
Insomma, si era persino dimenticato di dire il suo nome, tanto era l'entusiasmo.
La donna grande, invece (perché in tutto questo entusiasmo generalizzato, i due sono pure in due gruppi diversi), ha raccolto la sua telefonata con il solito aplomb. Ha preso appunti sul solito foglio (ha immediatamente rinfacciato al fratello di essere stata molto più precisa e ordinata, nello scrivere - ah, un po' di santa cattiveria!), dopo aver chiuso il telefono ha riletto ogni cosa per capire meglio di cosa si stesse parlando. Poi ha guardato l'elenco dei numeri telefonici e individuato chi dovesse chiamare.
"Pronto, sono la donna grande. Sì, mi ha chiamato la mia compagna di gruppo per dirmi che domenica c'è la caccia. Volevo dirti che mi ha detto questo e quest'altro e bla bla e bla bla. Sì, certo: pranzo al sacco. Sì, biglietto dell'autobus. Due, sì certo...... Come, parola d'ordine?!... Quale parola d'ordine"?!?!?!
E' rimasta di sasso. La sua compagna si era dimenticata di lasciarle la parola d'ordine.
Se questo è l'effetto, il primo giro di telefonate scout, li lascia strafatti di emozioni, 'sti pargoli.E domenica, prima caccia.
P.s.: per tutti quelli che, come me, degli scout non hanno mai saputo niente, nelle prossime puntate cercherò di svelare il significato di alcuni termini che possono sembrare esoterici. ("Akela" proprio vi è rimasto sullo stomaco, eh?!). :)
"E' passata catena" vuol dire che ora siamo negli scout. Cioè, ad essere precisi, sono i pargoli che sono negli scout, da nemmeno una settimana, hanno già fatto la loro prima giornata in tana e domenica prossima ci aspetta la caccia.
Così, ieri sera è passata catena ovvero "la" (per antonomasia) successione di telefonate con le quali ogni bambino passa al suo compagno di gruppo la notizia che arriva da akela. Che in tempi di tecnologia suona davvero con un clangore fuori dal tempo eppure i vecchi lupi ci confermano che, quando ancora il mail era di là da venire, i gruppi scout hanno sempre fatto così. E tutto ha funzionato, ogni informazione è riuscita a sopravvivere. Ormai gli scout, nel mondo, hanno più di cent'anni. In barba al mail.
Insomma, l'evento clamoroso non sta tanto nella telefonata in sé. Sta piuttosto nella reazione dei pargoli.
Va premesso che i due, pur essendo tecnologicamente più che alfabetizzati (mail, appunto, ma anche giochi su internet, nintendi vari, mario bros e chi più ne ha più ne metta), hanno una fortissima idiosincrasia col telefono. Lontano anni luce dalla scena di "Caro diario" in cui un Nanni Moretti costernato aveva a che fare sempre con dei bambini che rispondevano al telefono, i nostri pargoli non hanno mai familiarizzato col ferrovecchio di Meucci: non rispondono mai quando squilla, non amano usarlo per parlare con amici o parenti lontani, ne hanno quasi un timore reverenziale.
Invece ieri sera, non appena ha squillato, è partito il grido di giubilo: "è la catena, è la catena. Ci chiamano per la caccia di domenica"!
E così è andata: immediatamente dopo aver preso appunti (vedere il casinista uomo piccolo prendere carta e penna e appuntarsi diligentemente tutto quanto veniva detto dal suo compagno telefonico mi ha creato un certo sconcerto. Mi ha fatto anche capire come le cose fatte e imparate da sé abbiano un valore che nessun "insegnamento" può eguagliare), l'uomo piccolo è corso alla lavagnetta dove ci sono i numeri di telefono del gruppo. Ha composto il numero sulla tastiera, quasi senza aiuto, ed ha chiamato akela per dire che la catena era passata anzi, con lui, si era chiuso il cerchio telefonico.
"Sì, tutto a posto. Pronto?! E' passata catena. Ci vediamo domenica, vero?... La parola d'ordine è 'abbecedario'. No,... sono l'uomo piccolo".
Insomma, si era persino dimenticato di dire il suo nome, tanto era l'entusiasmo.
La donna grande, invece (perché in tutto questo entusiasmo generalizzato, i due sono pure in due gruppi diversi), ha raccolto la sua telefonata con il solito aplomb. Ha preso appunti sul solito foglio (ha immediatamente rinfacciato al fratello di essere stata molto più precisa e ordinata, nello scrivere - ah, un po' di santa cattiveria!), dopo aver chiuso il telefono ha riletto ogni cosa per capire meglio di cosa si stesse parlando. Poi ha guardato l'elenco dei numeri telefonici e individuato chi dovesse chiamare.
"Pronto, sono la donna grande. Sì, mi ha chiamato la mia compagna di gruppo per dirmi che domenica c'è la caccia. Volevo dirti che mi ha detto questo e quest'altro e bla bla e bla bla. Sì, certo: pranzo al sacco. Sì, biglietto dell'autobus. Due, sì certo...... Come, parola d'ordine?!... Quale parola d'ordine"?!?!?!
E' rimasta di sasso. La sua compagna si era dimenticata di lasciarle la parola d'ordine.
Se questo è l'effetto, il primo giro di telefonate scout, li lascia strafatti di emozioni, 'sti pargoli.E domenica, prima caccia.
P.s.: per tutti quelli che, come me, degli scout non hanno mai saputo niente, nelle prossime puntate cercherò di svelare il significato di alcuni termini che possono sembrare esoterici. ("Akela" proprio vi è rimasto sullo stomaco, eh?!). :)
venerdì 2 settembre 2011
Altri tempi
Giornata d'altri tempi, oggi. Mentre la profe professava la sua professione altrove, tra collegio dei docenti ed esami di riparazione, il sottoscritto si caricava sulle (metaforiche) spalle ben quattro pargoli (ai due d'ordinanza s'erano aggiunti un paio di amichetti), faceva uno zaino di mera sussistenza (acqua e qualche biscotto - quasi come Pollicino) e partiva lancia in resta, deciso a farli sganzare al fiume.
Sì, eravamo in campagna e passeggiare lungo il fiume è una cosa della massima naturalezza, quasi come l'asfalto in città.
Non c'è nemmeno stato bisogno di convincerli: è bastato pronunciare la parola 'fiume' ed è partita, immediata, l'ovazione. In due minuti erano tutti pronti a partire: lavati, vestiti, calzati come si deve. La passeggiata è iniziata come la spedizione dei Mille: nel tripudio generale. Urrà, evviva, cappelli per aria. Davvero, mancava solo lo sventolio del tricolore.
Inoltre, nella mia infinita magnanimità, avevo promesso una giornata "rules-free": nessun massacramento di maroni, libertà assoluta, niente impedimenti ad un sano divertimento, alcuna censura. Soltanto due semplici raccomandazioni: rispetto del pericolo (traduzione: non voglio cazz.... ehm, cavolate) e immediato ritorno a casa (per cambiarsi con qualcosa di asciutto, of course) in caso di caduta in acqua.
Insomma, mi sono sentito un vero pioniere della babbitudine, un genitore di un'epoca scomparsa (la mia e quella dei miei fratelli, visto che siamo, appunto, quattro) con una siffatta carovana di ultraminorenni al seguito.
Ci siamo divertiti, abbiamo costruito ponti coi sassi tra le sponde, abbiamo corso e saltellato tra una pietra e l'altra, affrontato lastroni scivolosi, piccole cascate, tele di ragno tra rami bassissimi. E ci siamo bagnati, dio se ci siamo bagnati. Come pesci, come trote; chi i piedi, chi le gambe intere, chi è caduto in acqua di sedere, chi di fianco. Chi è caduto dal ramo di un albero, chi scivolando ha portato con sé il vicino, chi persino fotografava (ah!, la gioventù moderna e ipertecnologicamente digitale...).
Neanche un urlo genitoriale, manco la minima raccomandazione. Soltanto: non fatevi male ed andate. Andate dove volete.
Alla fine, quando ho deciso che oramai erano ben zuppi, non ho avuto esitazioni. Come un colonnello sadico li ho richiamati tutti, senza possibilità di replica: "via! È l'ora: adesso si torna indietro".
Vedeste come si sono incazz.... ehm, incavolati. Erano furenti.
Eppure.
Eppure sapevano che il nostro patto era stato rispettato ed aveva funzionato alla perfezione.
Piano piano la furia si è trasformata in consapevolezza e, poi, in condiscendenza. Dall'alveo del fiume siam risaliti fino al sentiero CAI. Abbiamo ripreso la strada di casa.
Li ho sentiti per buona parte del tragitto discutere tra loro se la mia decisione fosse stata giusta o meno. Ma ormai si stava tornando verso casa.
La decisione doveva esser stata giudicata equa.
Oh come mi sono divertito: il potere (di colonnello che li richiama), davvero, da' alla testa!
mercoledì 24 agosto 2011
Il prete e l'esattore
Arrivare a Pietralba, come quasi ogni scorcio da queste parti, crea un effetto vertiginoso. Te lo trovi lì, un po' all'improvviso, questo austero santuario seicentesco. Talmente austero che sembrerebbe piuttosto un collegio, una scuola decisamente d'altri tempi, al massimo un ospedale. Talmente austero che, se non fosse per campanile e cupola a cipolla, resterebbe assolutamente anonimo. Vuoto.
Sembra di volare, su questa strada d'altopiano che ti guida leggera fino ad parcheggio sterrato che pare inginocchiato davanti al prospetto immacolato della facciata. E il santuario ti guarda, in cima a un vialetto d'accesso che pende quasi come una pianura, al confronto con ben altri sentieri d'attorno. Arrivare alla scalinata è un attimo.
Pietralba è il più importante santuario e polo religioso del Sudtirolo: visto dalla cima del Corno Bianco sembra una fortezza senza fossato, una "vigna del Signore" già espugnata ad una fede che, in questi luoghi, si scorge a qualsiasi angolo di strada o di sentiero: un tabernacolo, un crocifisso non mancano mai. Eppure, quando ti avvicini, c'è qualcosa che non ti torna. Sarà il silenzio di un sonnacchioso pomeriggio d'agosto, sarà che in fondo non sei proprio abituato a questa architettura religiosa così in tono minore ma alla fine la sensazione è piuttosto straniante. Ti chiedi cosa davvero possa nascondersi dietro quei muri che già solo dall'imbotte delle finestre si capiscono spessi e massicci. E freschi.
La prima porticina che ti si para davanti è già una scoperta: alla fine di un breve corridoio, che il sole abbagliante da cui arrivi rende ancor più nero di quanto non sia, quella che sembra una cripta eremitica si rivela invece, quando finalmente le pupille tornano a vedere qualcosa, un cimitero, lo scrigno geloso e umido di cadaveri vecchi di tre secoli. Al turbamento che ti sospinge via opponi ancora un poco di fatica, e di attesa, per salire gli ultimi scalini e raggiungere il piano della chiesa e chissà quanta bellezza ci troverai. Tanta devozione artistica, va detto, non viene ricompensata: l'interno è il solito mediocre tripudio di ori e stucchi, di barocco zuccheroso e ridondante. L'epoca era quella, si sa, ma al gusto di chi la vede oggi - almeno al mio, s'intende! - non lascia alcuna traccia. Il romanico o, meglio ancora, il gotico sono proprio un'altra cosa, un altro sentimento.
Eppure, ecco sì davvero il sorprendente: la chiesa è decisamente piccola, quasi uno spazio ritagliato in un angolo. Un sottoscala, un incidente di percorso nella storia sontuosa di santuari simili. E non parlo di grandi strutture dall'appeal internazionale come Loreto, Assisi, Pietrelcina. Basterebbe semplicemente andare in un qualsiasi angolo remoto di Umbria o Marche, giusto per fare un paio di casi, ed ecco comparire chiese di ben altre dimensioni: a Fonte Avellana, misconosciuto monastero sperso nei monti del nord delle Marche, la chiesa "è" il luogo, il resto contorno.
Pietralba no. Te ne accorgi aprendo la porta laterale (la chiesa è a navata unica), alla tua sinistra. Il vero mondo di questo santuario-azienda si apre qui, non appena superata la stanza degli ex-voto che è un autentico trattato di antropologia culturale (e non aggiungo altro). Basta riconquistare l'aria aperta, stavolta dietro la facciata austera, per scoprire la stanza delle macchine, il vero cuore pulsante di un certo modo di fare Chiesa in questo Paese.
- bar
- ristorante
- self service
- hotel
- ufficio informazioni
- museo diocesano
- biblioteca
- centro congressi.
In questo giro d'orizzonte ci sono anche un paio di cabine telefoniche, una specie di grotta artificiale devozionale, un altare posticcio esterno con decine di posti a sedere tutt'attorno ben protetti da un paio di enormi gazebo e, soprattutto, una inquietante enorme riproduzione lignea di un Giovanni Paolo II nell'atto di impartire una benedizione con davanti una specie di terrazzino pieno di gerani rossi.
Ebbene, un oggetto di così malvagio cattivo gusto, confesso, non mi era mai capitato di vederlo. In nessun contesto, mai.
Gli spazi interni del bar potrebbero tranquillamente ospitare una partita di calcio, il self service è una struttura perfettamente attrezzata per servire centinaia di pasti a turno. Non ho visto l'albergo ma non ho motivi per ritenere che potesse essere meno grandioso.
Non mi dilungo sulle macchinette mangiasoldi presenti nel sacro bar (aggiungo solo che le toilette di quest'ultimo occupano la superficie equivalente di un signorile appartamento) mentre il vero parcheggio, quello tenuto ben nascosto sul retro, ha centinaia di posti auto tanto che il parcheggio sterrato sul davanti, di cui dicevo all'inizio, sparisce miseramente o, forse, si rivela un falso segno di umiltà atto ad ingannare il viaggiatore frettoloso.
Insomma, una bella aziendina.
Un'impresa economica a tutti gli effetti che produce lavoro, reddito, profitto.
E tanto, così ad occhio e Croce.
Chissà quanto farebbe di ICI (e di tutte le altre tasse non versate) tutto 'sto ben di Dio?!
Sembra di volare, su questa strada d'altopiano che ti guida leggera fino ad parcheggio sterrato che pare inginocchiato davanti al prospetto immacolato della facciata. E il santuario ti guarda, in cima a un vialetto d'accesso che pende quasi come una pianura, al confronto con ben altri sentieri d'attorno. Arrivare alla scalinata è un attimo.
Pietralba è il più importante santuario e polo religioso del Sudtirolo: visto dalla cima del Corno Bianco sembra una fortezza senza fossato, una "vigna del Signore" già espugnata ad una fede che, in questi luoghi, si scorge a qualsiasi angolo di strada o di sentiero: un tabernacolo, un crocifisso non mancano mai. Eppure, quando ti avvicini, c'è qualcosa che non ti torna. Sarà il silenzio di un sonnacchioso pomeriggio d'agosto, sarà che in fondo non sei proprio abituato a questa architettura religiosa così in tono minore ma alla fine la sensazione è piuttosto straniante. Ti chiedi cosa davvero possa nascondersi dietro quei muri che già solo dall'imbotte delle finestre si capiscono spessi e massicci. E freschi.
La prima porticina che ti si para davanti è già una scoperta: alla fine di un breve corridoio, che il sole abbagliante da cui arrivi rende ancor più nero di quanto non sia, quella che sembra una cripta eremitica si rivela invece, quando finalmente le pupille tornano a vedere qualcosa, un cimitero, lo scrigno geloso e umido di cadaveri vecchi di tre secoli. Al turbamento che ti sospinge via opponi ancora un poco di fatica, e di attesa, per salire gli ultimi scalini e raggiungere il piano della chiesa e chissà quanta bellezza ci troverai. Tanta devozione artistica, va detto, non viene ricompensata: l'interno è il solito mediocre tripudio di ori e stucchi, di barocco zuccheroso e ridondante. L'epoca era quella, si sa, ma al gusto di chi la vede oggi - almeno al mio, s'intende! - non lascia alcuna traccia. Il romanico o, meglio ancora, il gotico sono proprio un'altra cosa, un altro sentimento.
Eppure, ecco sì davvero il sorprendente: la chiesa è decisamente piccola, quasi uno spazio ritagliato in un angolo. Un sottoscala, un incidente di percorso nella storia sontuosa di santuari simili. E non parlo di grandi strutture dall'appeal internazionale come Loreto, Assisi, Pietrelcina. Basterebbe semplicemente andare in un qualsiasi angolo remoto di Umbria o Marche, giusto per fare un paio di casi, ed ecco comparire chiese di ben altre dimensioni: a Fonte Avellana, misconosciuto monastero sperso nei monti del nord delle Marche, la chiesa "è" il luogo, il resto contorno.
Pietralba no. Te ne accorgi aprendo la porta laterale (la chiesa è a navata unica), alla tua sinistra. Il vero mondo di questo santuario-azienda si apre qui, non appena superata la stanza degli ex-voto che è un autentico trattato di antropologia culturale (e non aggiungo altro). Basta riconquistare l'aria aperta, stavolta dietro la facciata austera, per scoprire la stanza delle macchine, il vero cuore pulsante di un certo modo di fare Chiesa in questo Paese.
Guardandomi attorno non ho potuto fare a meno di ricordare un film documentario di qualche anno fa sulle decine di chiese, sette e congregazioni che letteralmente infestano gli USA, molte delle quali sono - denunciava quel film - ciniche macchine da soldi basate sul tradimento della (buona) fede e della credulità popolare. Se volessimo dirlo in altri termini, per tornare al di qua dell'oceano, qualcosa che sta a metà tra la Napoli di Gigi D'Alessio e Sanremo, inteso come specchio e anima di quella cultura nazional-popolare che ha fatto l'Italia.
Già sulla soglia esterna della stanza degli ex-voto, con un solo sguardo circolare si scorgono le insegne di (e li enumero in elenco perché li si colga meglio):
Già sulla soglia esterna della stanza degli ex-voto, con un solo sguardo circolare si scorgono le insegne di (e li enumero in elenco perché li si colga meglio):
- bar
- ristorante
- self service
- hotel
- ufficio informazioni
- museo diocesano
- biblioteca
- centro congressi.
In questo giro d'orizzonte ci sono anche un paio di cabine telefoniche, una specie di grotta artificiale devozionale, un altare posticcio esterno con decine di posti a sedere tutt'attorno ben protetti da un paio di enormi gazebo e, soprattutto, una inquietante enorme riproduzione lignea di un Giovanni Paolo II nell'atto di impartire una benedizione con davanti una specie di terrazzino pieno di gerani rossi.
Ebbene, un oggetto di così malvagio cattivo gusto, confesso, non mi era mai capitato di vederlo. In nessun contesto, mai.
Gli spazi interni del bar potrebbero tranquillamente ospitare una partita di calcio, il self service è una struttura perfettamente attrezzata per servire centinaia di pasti a turno. Non ho visto l'albergo ma non ho motivi per ritenere che potesse essere meno grandioso.
Non mi dilungo sulle macchinette mangiasoldi presenti nel sacro bar (aggiungo solo che le toilette di quest'ultimo occupano la superficie equivalente di un signorile appartamento) mentre il vero parcheggio, quello tenuto ben nascosto sul retro, ha centinaia di posti auto tanto che il parcheggio sterrato sul davanti, di cui dicevo all'inizio, sparisce miseramente o, forse, si rivela un falso segno di umiltà atto ad ingannare il viaggiatore frettoloso.
Insomma, una bella aziendina.
Un'impresa economica a tutti gli effetti che produce lavoro, reddito, profitto.
E tanto, così ad occhio e Croce.
Chissà quanto farebbe di ICI (e di tutte le altre tasse non versate) tutto 'sto ben di Dio?!
mercoledì 10 agosto 2011
Scoperte!
L'uomo piccolo ha scoperto la voluttà delle automobili. Ripete come un mantra marche, modelli, allestimenti, potenze. Di ogni auto che incontra nella sua visuale chiede informazioni. Tanto che la donna grande, sinceramente, non ne può più!
All'ennesima richiesta ossessiva lo ha squadrato in tralice: "senti uomo piccolo, ma che programmi hai per l'anno prossimo"?!
Secondo me sta pensando di mandarlo in vacanza su Marte...
E poi mi piacerebbe tanto chiedere ad un neuroscienziato perché il cervello dei ragazzini riconosce meglio (e preferibilmente) le Porsche da, che so, una normalissima Pandina. Al massimo una Clio.
Invece no: siamo lì immersi tra listini prezzi (eh sì, perché l'uomo piccolo è uno che ha sempre badato al sodo) della Porsche e della BMW, indecisi tra una classe 5 tourer (è così che si dice, vero?) e una di quelle "babbo, com'è che si chiama? Che ha quel nome strano, che la fanno vicino casa della zia R"? - oddio, sta parlando della Lamborghini...
Insomma, non abbiamo pace. Che poi sono io, in realtà, quello che subisce l'onda del suo innamoramento motoristico. Io che distinguo a malapena un parabrezza da un lunotto e che confondo regolarmente il cilindro col pistone (e viceversa).
Ieri pomeriggio, dopo aver smanettato lungamente su internet, è arrivato raggiante:
- babbo, babbo ho trovato una Porsche. Costa 87.000 euro, la compriamo?
- ma, uomo piccolo, è quasi quattro volte quel che costa la macchina che abbiamo.
Ha fatto un po' di calcoli mentali, poi giulivo:
- e vabbene, ma almeno una volta nella vita.
Ecco, ho deciso che passerò le ferie a spiegargli alcune cosette...
All'ennesima richiesta ossessiva lo ha squadrato in tralice: "senti uomo piccolo, ma che programmi hai per l'anno prossimo"?!
Secondo me sta pensando di mandarlo in vacanza su Marte...
E poi mi piacerebbe tanto chiedere ad un neuroscienziato perché il cervello dei ragazzini riconosce meglio (e preferibilmente) le Porsche da, che so, una normalissima Pandina. Al massimo una Clio.
Invece no: siamo lì immersi tra listini prezzi (eh sì, perché l'uomo piccolo è uno che ha sempre badato al sodo) della Porsche e della BMW, indecisi tra una classe 5 tourer (è così che si dice, vero?) e una di quelle "babbo, com'è che si chiama? Che ha quel nome strano, che la fanno vicino casa della zia R"? - oddio, sta parlando della Lamborghini...
Insomma, non abbiamo pace. Che poi sono io, in realtà, quello che subisce l'onda del suo innamoramento motoristico. Io che distinguo a malapena un parabrezza da un lunotto e che confondo regolarmente il cilindro col pistone (e viceversa).
Ieri pomeriggio, dopo aver smanettato lungamente su internet, è arrivato raggiante:
- babbo, babbo ho trovato una Porsche. Costa 87.000 euro, la compriamo?
- ma, uomo piccolo, è quasi quattro volte quel che costa la macchina che abbiamo.
Ha fatto un po' di calcoli mentali, poi giulivo:
- e vabbene, ma almeno una volta nella vita.
Ecco, ho deciso che passerò le ferie a spiegargli alcune cosette...
domenica 7 agosto 2011
Il bagno all'alba
Chi vive nelle città di mare, e ha meno di sessant'anni, non è mai arrivato in spiaggia in vita sua prima delle undici (mezzogiorno, avendo dei pargoli - tanto per prendere in pieno quello che si potrebbe definire "orario pediatrico"): difficile spiegarne il perché; forse una sorta di tronfio senso del possesso: la spiaggia è lì, sempre lì, tutta l'estate, tutto l'anno, sempre. Non c'è fretta.
Non credo di esagerare, almeno non troppo, è languidamente così. Anche per me, che non abito al mare da ormai più di dieci anni, vale lo stesso modus: quando ci torno, nella mia città di mare, non ho più fretta, non devo correre mai. Non devo scavalcare nessuno.
Eppure esiste un'eccezione, uno di quei riti che nascono quando ci sono forti emozioni da tenere accese: quella di "andare a vedere l'alba sul mare". Per cui, sveglia di buio, colazione velocissima e poi via, di buon passo (e macchina fotografica in spalla - altra cosa che un indigeno farebbe solo con un po' di vergogna...) verso l'arenile. Da lì aspettiamo il sole al varco, l'orizzonte è tutto nostro, non si fa che guardare.
Così, per farla breve, stamattina abbiamo fatto il bagno in mare alle sette.
In un'acqua immota e limpida come una piscina. Una piscina immensa di chilometri, senza un'anima viva se non noi fin dove lo sguardo poteva arrivare. Una piscina privatissima e potenzialmente infinita. Solo gabbiani intorno, persino meno timorosi del solito: il silenzio dell'intimità è cosa che ci rende più simili e vicini, tra tutti.
Abbiamo sguazzato senza freni, nuotato, tuffato, scavato, rotolato.
Persino l'incontro ravvicinatissimo tra la donna grande e una medusa ha causato sì gran dolori e pianti disperati ma è durato poco, solo il tempo di trovare l'ultrasessantenne di cui dicevo all'inizio, sbucato chissà da dove, che senza scomporsi ci ha proposto il rimedio unico e definitivo in questi casi: l'abluzione della parte urticata in abbondante acqua calda. Dopo pochi secondi la donna grande è tornata pimpante quasi (quasi ho detto) come prima. Sì certo, è rimasta il resto del tempo prudentemente a mollo sulla riva ma ha capito che dopo il dolore, per quanto insopportabile possa essere sul momento, si rimane interi.
E chissà che un rito di vacanza come questo non possa insegnare qualcosa. Addirittura senza pedanteria, senza bisogno di lunghe e razionali spiegazioni. È accaduto, si resta interi. La donna grande sembrava convinta. Chissà.
Per ora ci siam goduti il nostro rito marino per il secondo anno consecutivo. E fino al prossimo o, magari, quello dopo ancora.
E ancora, fin quando saremo così divertiti.
Non credo di esagerare, almeno non troppo, è languidamente così. Anche per me, che non abito al mare da ormai più di dieci anni, vale lo stesso modus: quando ci torno, nella mia città di mare, non ho più fretta, non devo correre mai. Non devo scavalcare nessuno.
Eppure esiste un'eccezione, uno di quei riti che nascono quando ci sono forti emozioni da tenere accese: quella di "andare a vedere l'alba sul mare". Per cui, sveglia di buio, colazione velocissima e poi via, di buon passo (e macchina fotografica in spalla - altra cosa che un indigeno farebbe solo con un po' di vergogna...) verso l'arenile. Da lì aspettiamo il sole al varco, l'orizzonte è tutto nostro, non si fa che guardare.
Così, per farla breve, stamattina abbiamo fatto il bagno in mare alle sette.
In un'acqua immota e limpida come una piscina. Una piscina immensa di chilometri, senza un'anima viva se non noi fin dove lo sguardo poteva arrivare. Una piscina privatissima e potenzialmente infinita. Solo gabbiani intorno, persino meno timorosi del solito: il silenzio dell'intimità è cosa che ci rende più simili e vicini, tra tutti.
Abbiamo sguazzato senza freni, nuotato, tuffato, scavato, rotolato.
Persino l'incontro ravvicinatissimo tra la donna grande e una medusa ha causato sì gran dolori e pianti disperati ma è durato poco, solo il tempo di trovare l'ultrasessantenne di cui dicevo all'inizio, sbucato chissà da dove, che senza scomporsi ci ha proposto il rimedio unico e definitivo in questi casi: l'abluzione della parte urticata in abbondante acqua calda. Dopo pochi secondi la donna grande è tornata pimpante quasi (quasi ho detto) come prima. Sì certo, è rimasta il resto del tempo prudentemente a mollo sulla riva ma ha capito che dopo il dolore, per quanto insopportabile possa essere sul momento, si rimane interi.
E chissà che un rito di vacanza come questo non possa insegnare qualcosa. Addirittura senza pedanteria, senza bisogno di lunghe e razionali spiegazioni. È accaduto, si resta interi. La donna grande sembrava convinta. Chissà.
Per ora ci siam goduti il nostro rito marino per il secondo anno consecutivo. E fino al prossimo o, magari, quello dopo ancora.
E ancora, fin quando saremo così divertiti.
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