venerdì 3 maggio 2013

Il mio primo fucile

Lo so, il tema è drammatico. Eppure, da anni ormai, non mi basta più praticare lo sgomento muto e il buon senso non mi ha mai consolato.
Mi interessano le domande, la muffa che soffiano via. Sono abituato a grattare la crosta del mondo col ditino, a infilarcelo anche, se necessario, dentro la piaga. Perché lo trovo necessario. Troppo importante provare a capire.
Mi sopporterete. Oppure volterete pagina.

Non sono un consumatore pacificato. Men che meno del dolore. E non mi accontento più (non l'ho mai fatto, forse, dall'adolescenza in poi...) di fioriture di candeline, fiori e peluche e folle piangenti che sempre, in casi del genere, spuntano all'improvviso sui luoghi degli omicidi.
Non li sopporto più perché sono l'incarnazione delle risposte che non sappiamo, o non vogliamo, darci. Spesso anche l'alibi per non essercele nemmeno poste, le domande.
Un fucile vero ad un bambino di cinque anni.
Certo, il dolore e la tragedia si presentano nelle nostre vite in varie forme. C'è l'ineluttabile, c'è la malattia, il destino incomprensibile. Ma ci sono spesso anche le scelte.
Le azioni educative intraprese oppure no.
I modelli abbracciati e quelli rifiutati.
I comportamenti responsabili e quelli no.
Con tutte le sfumature di grigio che ci sono nel mezzo, sia chiaro.

Qualche volta è anche questione di modelli culturali, di come educhiamo i bambini, di come li proiettiamo nel corpo sociale (quello che per Thatcher nemmeno esisteva). Perché, se la vogliamo guardare da un'altra prospettiva, la tragedia di Burkesville, Kentucky è anche l'ennesimo femminicidio. La morte in casa, dentro le pareti della famiglia: al maschio regaliamo il fucile; alla femmina una bambola o un fornello se va bene, un babydoll di pizzo nell'ipotesi peggiore.

(P.S.: li ho visti coi miei occhi completini osé uscir fuori dagli incarti di compleanno di bambine di 9 o 10 anni. E se persino Woody Allen si scherniva a regalare alla Diane Keaton adulta-dei-suoi-desideri un pagliaccetto sexy, qui e oggi non si schernisce più nessuno).

Così mi chiedo se sia più umano pentirsi o uccidere, scegliere o accorrere. Espiare le colpe in eterno o provare a capire, a riconoscersi in un evento tanto devastante? E come, se non esiste nemmeno un termine diretto per nominare la perdita di un figlio?
Cosa sarà adesso dell'esistenza futura di questo bambinetto/assassino? E cosa di questi genitori?
"Non sapevamo che fosse carico" pare sia stata la giustificazione disperata. Scusatemi, ma non sembra affatto una giustificazione. Non lo è.
E' la più atroce ammissione di colpa. Quasi una rivendicazione.

3 commenti:

  1. hanno sputato sulla vita che loro stessi hanno generato e fortunatamente hanno devastato una sola famiglia, e non era così scontato, il bimbo vivrà tutta la vita col senso di colpa o al contrario si lavorerà così bene sulla sua psiche da cancellare il tutto e si sarà fatto di lui un killer avvezzo al sangue e loro non saranno neppure perseguibili perché non è reato in paese che esporta la democrazia armare la gente, neppure i bambini

    RispondiElimina
  2. Non ci dovrebbe essere neanche da star qui a parlarne e invece...
    spero solo che quel bambino non riceva anche l'ulteriore dolore di crescere con due genitori sopravvissuti ad un errore fatale, non nel senso che ne venga allontanato ma in quello che quei disgraziati riescano a ricomporre il loro dolore in maniera convincente. Mi rendo conto però di augurarmi troppo.
    Che storia triste.

    RispondiElimina
  3. veramente il fucile lo si può regalare pure alle bambine, ormai..io non ho nulla contro le armi giocattolo, ma mettere in mano armi vere, quindi non giocattoli, senza spiegare ai bambini il fatto che non sono giochi ma strumenti che possono causare morte, mi pare criminale

    RispondiElimina

Link Within

Related Posts with Thumbnails