Se da noi la riforma Gelmini sta continuando impunita lo scempio thatcheriano della scuola pubblica, in questi stessi giorni i francesi si interrogano sul perché il loro sistema scolastico, "le collège" (più o meno l'equivalente italiano delle scuole medie inferiori), sia diventato uno dei più iniqui e inefficaci tra quelli dei Paesi Ocse. Qui le statistiche del P.I.S.A.
Lo spunto viene da un articolo su Le Monde di qualche giorno fa, in occasione dell'uscita del libro (un po' di pazienza: l'apertura completa di questo link la richiede!) del sociologo François Dubet che, senza giocare a fare il sofisticato, denuncia il fallimento del modello dell'ascensore sociale, che l'ultra-liberismo politico di questi anni ci ha allegramente elargito come la panacea di tutti i mali di tutte le società.
Dubet individua invece nella riduzione delle differenze di partenza (ossia di classe sociale) tra gli scolari l'unica possibilità di rimettere in piedi un sistema scolastico efficace. Che raggiunga cioè gli scopi che ha, che permetta a tutti i partecipanti le stesse condizioni. Egalité.
Se in Francia, negli ultimi dieci anni, i ragazzini svantaggiati dalle condizioni socio-economiche non hanno raggiunto, al termine del ciclo scolastico, un livello di apprendimento accettabile, è evidente come questa filosofia della scuola quale eden delle opportunità, premi pochi e lasci invece sul campo tanti caduti.
I numeri per la Francia dicono che su 10 ragazzi della classe media entrati al collége nel 1995, 8 erano ancora studenti dopo dieci anni e solo 1 aveva abbandonato gli studi senza alcun diploma. Un po' diversa la situazione se scendiamo ad un livello sociale più basso: su 10 ragazzi, solo 3 proseguono gli studi fino alla maturità mentre 5 abbandonano la scuola prima di arrivarvi.
In altre parole, il libro di Dubet sostiene che, vista dalla scuola, la società francesce si accontenta di mettere delle toppe qua e là alle ineguaglianze invece di pensare una società più giusta.
In maniera ancor meno elegante, il sociologo francese giunge alla conclusione che questo gap di risultati tra ragazzi di diversa estrazione non va risolto con l'aiuto individuale ma tagliando alla radice le sperequazioni: l'aumento dei salari. Ancora una volta, si passa di lì.
Insomma, oltralpe il livello della discussione e dei contributi teorici sulla scuola mantiene quote che qui da noi non riusciamo neppure a vedere: i tagli selvaggi contro l'interrogarsi, la privatizzazione contro l'uguaglianza effettiva, concreta e materiale, tra le persone.
"Continuiamo così, facciamoci del male" oppure siamo in grado di trovare anche noi un'alternativa un pochino più decente?
Rifletto spesso su questo fatto: che io, filgia di un operai, frequentando la scuola pubblica, ho avuto l'ooportunità di laurearmi in una disciplina tecnica che ha richiesto impegno di studio a tempo pieno (nel senso che non ho mai lavorato mentre studiavo) a entrare nel mondo del lavoro ad un buon livello e a costruirmi una professionalità di alto livello (quanto poi sia riconosciuta lasciamo perdere, ma questo non ha a che fare con le mie origini - a nessun colloquio mi è mai stato chiesto che lavoro facesse mio padre- quanto con il mio essere donna e per di piu' madre di due figli). Sono cresciuta in un'epoca d'oro destinata a scomparire?
RispondiEliminava be', la scuola pubblica avrebbe anche potuto insengnarmi a digitare sulla tastiera :(
RispondiEliminapurtroppo anche noi abbiamo sempre creduto che la scelta naturale dovrebbe essere la scuola pubblica, pero' da insospettabili, tra cui anche maestre "pubbliche" abbiamo ricevuto vari moniti a scegliere fin da subito un percorso privato per la nostra piccolissima, tutti concordi che la pubblica sia ormai da evitare. Purtroppo anche in questo caso non mi resta che crogiolarmi nei miei privilegi, altrimenti che si puo' fare? come lasciava intendere Wikipapa' forse e' meglio scappare perche' cambiare certe cose mi sembra una cosa impossibile; la maggioranza (dei votanti) di questo paese non crede che l'istruzione serva a favorire un ascensione sociale, e le poche e sempre meno risorse preferisce dirottarle verso altri capitoli di spesa. Scegliendo il meno peggio forse potremmo cercare di rendere piu' accessibile la scuola privata, o provare la via della scuola cooperativa. Forse vale la pena considerare che in questo caso il meglio e' nemico del bene e se aspettiamo di riuscire a riportare la scuola pubblica a quella dei nostri tempi rischiamo di lasciare solo che il tempo scorra. Forse pero' poi come nella scelta dell'ospedale in cui partorire, scopriremo che i difetti della pubblica sono niente nei confronti di quelli della privata. Per ora ho tempo per decidere, nel frattempo se qualcuno ha un idea mi unisco alla resistenza.
RispondiElimina@laura ddd: in effetti è abbastanza inquietante vedere come la percezione della scuola pubblica qui in Italia sia abbastanza distorta. Non ci rendiamo più conto di come sia stato merito della scuola pubblica (con tutte le sue magagne che nessuno vuol nascondere) se oggi tutti noi abbiamo condizioni migliori di quelle dei nostri genitori all'epoca.
RispondiEliminaAdesso invece, abituati a rapportarci al mondo come "clienti" scegliamo le alternative (scuole private, studiare all'estero, titoli di studio comprati, andare a lavorare...) come se fossero prodotti del grande mercato in cui viviamo e abbiamo difficoltà a ragionare in termini diversi. Pensa come sono ingenuo: io ho sempre pensato che la scuola fosse "mia", fosse il luogo della cittadinanza dei bambini e non un'azienda che ci vende un prodotto qualsiasi... Dinosauro!
@papex: ciao papex! Che dire? In parte la riflessione è quella che ho indirizzato a laura ddd qui sopra, in parte capisco (non la giustifico, però) la competizione individualista che viviamo in questi anni ("scuola migliore per sé per un futuro migliore per sé"). D'altronde è vero: se siamo una società che, nella sua maggior parte, è abbastanza becera, qualunquista, tutta "bordello e famiglia" come ho letto ieri in un articolo di giornale, qualche motivo di preoccupazione ci sarà. Eppure forse se cominciassimo (in Italia non lo abbiamo mai fatto) a pensarci come una società, come un insieme di cittadini, a trovare coesione nei valori e non nell'ignoranza forse qualcosa di buono potremmo ancora produrlo. Dice il saggio: evitare le questioni non le risolve, le incancrenisce! Ciao!
RispondiEliminaAnni fa ricordo un sondaggio sulla sanità pubblica. I risultati dicevano che tra coloro che non avevano a che fare con ospedali e servizi pubblici, l'opinione sul servizio sanitario era negativa. Chi si trovava a esser curato in strutture pubbliche invece ne parlava bene.
RispondiEliminaAl di là delle analisi su questa ricerca credo che l'elemento interessante sia proprio la distorsione che abbiamo interiorizzato nei confronti di alcuni argomenti. Si tratta di condizionamenti.
Sulla scuola idem, o meglio sulla pubblica istruzione. Il ruolo sociale e democratico della scuola (che se funziona deve portare al diploma il figlio di Silvio quanto il figlio dell'immigrato clandestino) è purtroppo un argomento troppo alto, troppo oltre. Qui da noi si riesce a parlare solo pro o contro un ministro.
Ti dirò che, avendo lavorato presso asili, scuole elementari e superiori, la struttura, il progetto di scuola (le riforme peggiorano le cose ma non cambiano mai molto l'organizzazione generale) sembrano fatti in modo tale che chi opera nell'istruzione venga demotivato e disincentivato. Quasi come se si volesse non far funzionare la pubblica istruzione facendola implodere, sterilizzandola. Non fa rumore ma è tanto efficace una strategia del genere.
Lavorare nella scuola può far passare qualsiasi passione. Ho trovato insegnanti e maestre straordinarie, ho trovato però una follia burocratica e organizzativa alle loro spalle.
Uno spunto: per i docimologi un insegnante che boccia numerosi alunni è un insegnante scarso perché bocciare troppo significa non saper insegnare.
Io penso che ci si dovrebbe sempre muovere su due livelli: pensare ai massimi sistemi e introdurre però anche piccoli miglioramenti nel quotidiano. Quello che sta succedendo in Italia non è solo che manca una riflessione sul ruolo sociale della scuola, o sull'influenza della classe sociale sul successo scolastico, è proprio che si è persa strada facendo l'idea di dare un senso alla scuola (e mica solo alla scuola). La scuola è diventata un luogo che non appartiene alla collettività, in cui i bambini e i meno bambini stazionano non si sa come, non si sa perché, non interessa neanche sapere perchè. Chi se lo può permettere pensa di cavarsela con le scuole private, come le madri ricche e distratte pensano di guadagnarsi l'affetto dei figli comprando regali: senza pensare.
RispondiElimina@paterpuer: confesso, anch'io come genitore di un comitato ho parlato contro molti ministri, non solo quello attuale più incompetente di molti altri comunque. L'implosione è lo sport in cui molti si sono applicati negli anni: mi chiedo perché. Non voglio e non trovo risposte ma trovo molto sistematico tutto ciò.
RispondiEliminaSul bocciare credo di essere d'accordo, in senso generale: chi più boccia non riesce a trasmettere il sapere in maniera corretta oppure ha di fronte solo somari cronici? Poi so anche che la situazione contingente è quella di ragazzi che spesso sono lì sui banchi solo in attesa di scappare per andare a lavorare miseramente facendo mestieri di basso livello pur di avere in tasca del denaro da poter spendere per "consumare" in libertà. Insomma, parliamone, mettiamo su una conversazione di padri sulla scuola... Ciao!
@LGO: il tuo è un discorso che, parlando di scuola, parla della nostra società: i piccoli passi, per me, son quelli di entrare da genitori dentro la scuola, prenderne proprio possesso fisico, partecipare. Insieme ad altri genitori ci siamo fatti promotori di un comitato di genitori l'anno scorso: sapessi che ftica mettere insieme cinque o sei persone (5 o 6 su una popolazione di quasi 750 iscritti!!!!!!!!!!!!!!!) per creare un gruppo di lavoro più o meno fisso. Questo è il livello. E parliamo di Toscana, non di una terra insensibile alla partecipazione!
Mi sono perso alcuni post in questi giorni. Questo è un argomento che mi sta a cuore, come sai. Sono d'accordo praticamente con tutto quello che è stato scritto, ma vorrei aggiungere solo un paio di cose. Innanzitutto (lungi dal voler giustificare certe situazioni e pregiudizi) la scuola pubblica non è solo uno specchio della società o (magari lo fosse ancora!) un'opportunità di meritocratica mobilità sociale per i meno avvantaggiati, ma è anche il punto di riferimento per la scuola privata. Chiaro che impoverire la scuola pubblica, provare a demotivarne i lavoratori, irrigidirne gli orari e i servizi non fa che abbassare l'asticella con cui la scuola privata si deve confrontare (forte anche dei finanziamenti sproporzionatamente grandi che riceve). Facile poi attirare alcuni genitori con la prospettiva di orari flessibili, strutture moderne e patentini informatici di dubbia caratura.
RispondiEliminaIn secondo luogo, la scuola riflette le visioni della gente, del Paese. Quando studiavo, e quando ho concluso gli studi, sapevo che avrei avuto la possibilità di "giocarmela" e provare a costruirmi un futuro, una carriera, una famiglia in Italia. Lo volevo, ma comunque sapevo, sentivo che la possibilità ci fosse. Adesso è sempre più difficile per i ragazzi e le loro famiglie credere alla possibilità di dare e ricevere qualcosa da questo Paese. Forse è anche per questo che il percorso scolastico è sottovalutato, svilito, soprattutto nel pubblico, e visto da "chi può" come un diplomificio utile a crearsi relazioni e a fare esperienze all'estero.