lunedì 11 gennaio 2010

Bon voyage... Eric



L'ho scoperto tardi, con "Il raggio verde".
Nei tristi anni Ottanta, per me quel film fu letteralmente una folgorazione, una luce, un raggio cosmico nel mistero dell'orizzonte. A quasi vent'anni cominciava di nuovo la mia educazione sentimentale, alla vita, al mondo. Devo a lui, a quel film e a tutti gli altri che ho recuperato, visto e rivisto, la mia passione per il cinema: un folle amore giunto già adulto. Adulto io e adulto anche il sentimento. Non l'ho più abbandonato.
Per me il cinema è sempre stato Eric Rohmer.
Ogni suo film è stato un pezzo della mia formazione: non ho sognato sui grandi classici della fantascienza ("Blade Runner"?) o sui western o sui più-o-meno classici americani. Io ho sognato sulla vita, sui dialoghi interminabili, sulle inquadrature classiche ed impeccabili ma al tempo stesso quasi artigianali dei suoi Six Contes Moraux o delle Comédies et Proverbes: il gusto della bellezza (titolo del suo più importante contributo critico), che non lo ha mai abbandonato.
Per me Rohmer è stato il più anti-moderno dei grandi maestri, non per nulla la Nouvelle Vague l'ha "inventata" lui (e pochi altri): non propriamente un classico, non negli anni in cui è vissuto visto che la nuova onda frantumò molto del vecchiume precedente, ma un perfetto soggettivo, uno che componeva partiture visive lasciando agli attori riempire lo spazio e il tempo. Uno che raccontava. E allora: più classico di così...
Tra le sue dichiarazioni, una mi ha sempre colpito più di tutte. La cito a memoria quindi potrò essere impreciso: mi interessa il senso, altri mi correggeranno. Diceva "a me non interessa affatto mostrare un uomo decapitato dalle pale di un elicottero, tra mille schizzi di sangue. Quella è una situazione che nessun essere umano si troverà mai davanti. A me interessa mostrare qualcosa che chiunque può vivere".
Oggi, malgrado tutte le accelerazioni della violenza, quella frase resta viva: ciò che ci fa differenti è la vita per come la conosciamo e la viviamo. La nostra umanità. Quella frase è il faro estetico che mi guida quando scelgo un film, un libro, un quadro.

Padri e maestri: gli uni e gli altri. Li troviamo, li amiamo (sempre ricambiati dai loro insegnamenti, anche involontari, anche distanti), li perdiamo.

Adoro Rohmer per quello che mi ha insegnato.
Oggi se n'è andato.
Lascia un vuoto enorme, dentro di me.

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