domenica 15 agosto 2010

Nova Levante

E’ una sensazione che provi soltanto una volta l’anno, quella di sovrastare qualcosa pur sentendoti piccolissimo. Non è come stare in un condominio di città dal quale vedi sotto di te la strada asfaltata e, se sei più su di un quarto o quinto piano, hai persino una vaga sensazione di vertigine. Del tutto artificiale.
Sei su un balcone che aggetta parecchio e sotto di te, ma laggiù piuttosto lontana (e sei soltanto ad un secondo piano), a digradare ulteriormente metro dopo metro, si distende la valle di un verde talmente intenso da sembrare sciroppo di menta in un bicchiere: un taglio profondo e stretto tra due file di colli neanche troppo elevati, che corrono di fronte e dietro di te. La sua forma è quella di una “V” (ma con le pareti molto più alte…) e piega così tanto mentre sale verso te che se anche ti sporgi parecchio dalla balaustra in legno del balcone non riesci a vederne l’inizio, laggiù dalla strada di fondovalle. Ti sporgi e la valle piega, e tu ti sporgi ancora così devi accontentarti di vederla scomparire dietro l’angolo dell’enorme cornicione di abete massiccio chiarissimo.
Ma tutto ciò accade semplicemente a Ponente, in una forma che, come abbiamo detto, resta un mistero giacché non si può guardare direttamente la valle ma soltanto intuirla laggiù, oltre il cornicione di massiccio chiarissimo abete.
Volgendo invece lo sguardo, ecco là Levante che ti si schiude (ma è già aperta) davanti agli occhi. Perché tu sei quassù, su questo poggio comodo e sovrastante, e le casine tutte bianche e marroni (metà muratura e metà legno e tetto) sono in fila perfetta, come militari che aspettano l’ispezione. Le vie, lo spazio tra esse, ormai le hai già perfettamente nella memoria: scendendo in una semi-tortuosa strada provinciale ecco che le sparse case cominciano un po’ alla volta ad aggrumarsi e il paese, d’incanto, appare. La prima piazzetta (dopo la sequela di gast-haus, pension e hof), a sinistra, ha un mini-supermercato e la chiesa ma, quello che più conta, un fantastico piccolo negozio di fornaio con i bretzel più buoni che tu abbia mai mangiato in vita tua. Così buoni che, mentre continui a percorrere mentalmente la strada, la tua memoria è occupata quasi per intero dal ricordo sublime di quella bontà e così rischi di perderti qualcosa.
Invece: subito dopo la piazzetta del fornaio, sulla destra c’è una banca. Anche se stavi quasi dimenticando di citare che poco prima, sempre sulla destra, c’erano il municipio e, ancora un po’ più a monte, una scuola e la sua splendida biblioteca (anche pubblica), tutta in assi di legno e vetro.
Continuando a scendere è un po’ come un vortice perché stai dirigendoti verso il centro e lì la corrente comincia a farsi più forte. Nell’ordine: a sinistra un’affittacamere, un’altra banca, il rinomato (ma deludente) ristorante Pardeller, una infilata di finestre di vari uffici e il marciapiede pedonale che ti permette di bypassare un insidioso incrocio col suo “stop”; a destra un negozio di scarpe, un outlet di articoli sportivi aperto non più di due ore al giorno, un salone di bellezza (forse con annessa parrucchieria?) e il bar “Panorama” che da’ direttamente sulla parete della casa di fronte e sul medesimo incrocio insidioso (e peraltro unico del paese) per cui non si capisce proprio a quale panorama voglia far riferimento quel nome. Improbabile.
Se avanzi ancora con la memoria (perché tu sei su questo poggio sovrastante) ecco che ti viene incontro il downtown: una pizzeria-ristorante non affatto rinomata e quindi molto meno deludente di Pardeller, una macelleria che esiste (dice la scritta sul muro) dal ‘700, un emporione travestito da negozio di artigianato locale che vende qualunque cosa (cartoline, maglioni, cucchiaini di peltro, carte dei sentieri, aberranti oggetti in legno da appendersi in casa, calzettoni, apribottiglie, candele) e nulla che sia neanche lontanamente stato fatto da mani artigiane, l’ufficio dell’APT, un altro negozio di fornaio (i bretzel non sono così buoni come quelli del fornaio più sopra), un supermarket con prezzi da gioielleria. In fondo in fondo, semi-nascosta dietro alcuni posti macchina perennemente occupati, c’è persino una lavanderia: qui finisce il paese. Oltre, esiste solo una strada che porta ai passi (Costalunga, Nigra) e al lago di Carezza.
Infine, volendo, puoi alzare lo sguardo sopra i tetti e dietro i colli neanche troppo elevati (quelli coperti per intero da abeti e larici di un verde impossibile) ed ecco qui di fronte il Latemar calcareo e laggiù in fondo, a chiudere la vista verso est, il Catinaccio color delle rose al tramonto. Pezzi di roccia che non puoi comprare, che resterebbero lì al loro posto anche se non ci fosse nessuno a guardarli a bocca aperta, che fanno di te il minuscolo spettatore di una bellezza senza motivo. Perché così sono questi monti: straordinariamente belli e affascinanti, pieni di scorci e leggende nascoste in ogni angolo, anfiteatro naturale per il tuo piacere, il pieno dei tuoi occhi. E l’anima del turista, come per l'ennesima magia, scompare.

2 commenti:

  1. è già è proprio così:-) confermo

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  2. è tanto tempo che non vado in quei posti, e nelle tue descrizioni riconosco molte impressioni provate. bellissimi. che ti fanno dimenticare qualsiasi voglia di tornare a casa o nella (cosiddetta) civiltà...
    a presto!

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