domenica 11 aprile 2010

Primavera pixelata (all'ossido di carbonio)

Tanti anni fa, a Rupetraversa, faceva primavera in modo molto simile ad oggi: l'aria diventava tiepida, la luce era d'improvviso abbagliante e carica di profumi, sugli alberi spuntavano prima gemme e poi fiori. Colorati.
Più d'ogni altra cosa, però, quel che cambiava davvero la stagione era la possibilità, per un gruppetto di ragazzini che avevano appena finito di svernare il loro inverno chiusi in casa (al massimo parlandosi da un balcone all'altro, tanto minuscola era la distanza), di poter finalmente riprendere possesso di un piccolo terreno incolto, lì dietro l'angolo delle case, e ricominciare a rotolarsi sopra (o dentro...) un cumulo di sabbia.
Quel cumulo è stato lì per anni, me lo ricordo e lo vedo, ora, come se ce l'avessi davanti agli occhi.

Stamattina, nel teporino, siamo usciti per andare a comprare il pane. A Firenze, non a Rupetraversa.
Un percorso che facciamo quasi tutti i sabati, poche centinaia di metri nel nostro quartiere. Non attraversiamo una highway americana ma neppure troviamo, dietro l'angolo, un cumulo di sabbia. Oltre un alto muro giallo, però, a pochi passi dal portone di casa, abbiamo un giardino verdissimo, aperto (e bontà del volontario che lo tiene aperto!) solo in certi orari: un orizzonte d'avventura a tempo, un negozio del relax al fresco dei platani. Insomma, per capirsi, un po' di schizofrenia dello spazio urbano aggiornato al nuovo millennio. Quasi un ultraspazio.
Facendo il nostro solito percorso, dicevo, avremmo dovuto trovare appunto il teporino, quell'aria limpida piena di profumi, fiori colorati sui rami.
All'improvviso invece, come lo strappo che c'è tra il film che stiamo guardando in tv e l'irrompere becero della pubblicità, la nostra passeggiata ha preso il terribile puzzo del traffico sui viali, l'aria limpida è subito diventata pesante e laida, l'ossido nero di carbonio lo abbiamo respirato a fondo. Una bella spalmata sui polmoni, come una crema malefica su un pane fattosi crosta secca.

Rupetraversa ha cominciato a balenare laggiù in fondo alla memoria, col suo cumulo di sabbia, con la non-sicurezza di ragazzini che giocavano da soli in strada, uscendo, casa per casa, e trovandosi in un punto prestabilito, senza auto e anche senza adulti. Ragazzini e basta.
I miei figli quella cosa lì non potranno averla mai, una Rupetraversa, un cumulo di sabbia ghiaiosa nel quale rotolarsi, una partita di pallone in strada, stretti tra una 127 rossa restaurata con lo stucco murale e una Ritmo verderamarro che funge da palo della porta.
E segnare di sponda, senza che il proprietario della Ritmo dietro la finestra se ne accorgesse, diventava prodezza sublime.

Non voglio far finta di nulla, non mi passa nemmeno per la testa di rivangare i bei tempi andati come un eden perduto. Oggi è oggi, se c'è qualcosa che è ormai perso, tanto altro abbiamo guadagnato.
Il progresso scientifico, la tecnologia, la scienza medica che ha fatto passi da gigante. E anche il quotidiano: abbiamo suv enormi dentro i quali ci sentiamo così sicuri (tanto che investendo il malcapitato pedone non ne sentiremmo nemmeno lo schianto), centinaia di canali televisivi pieni di programmi bellissimi (che riempiono a meraviglia lo spazio tra gli spot pubblicitari), città invase di posti dove poter comprare merci, merci qualsiasi, merci di cui, spesso, non abbiamo mica bisogno.
Tutto questo progresso fantastico, tutte queste città (ormai anche Rupetraversa, là in fondo, è una città per quanto di provincia...) che sembrano errori umani ripetuti all'infinito, accumulo di fallaci illusioni sdoganate al primo condono possibile, non saranno mai così raggiungibili come quel cumulo di sabbia.
A meno di non voler inserire nell'apposito campo vuoto le parole chiave "Rupetraversa" e "cumulo di sabbia": Google Earth potrebbe fare il miracolo di ritrovarli. O no?

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