Per una volta non parlerò con parole mie.
Parlerò con le parole di un'amica con la quale ieri sera ci siamo messi a ragionare attorno ad alcuni temi. Una ragione precisa c'era, per la nostra chiacchierata via chat, ed è rintracciabile qui.
Perché le parole di Annalisa sono fondamentali, soprattutto quando immaginiamo, da genitori ma anche, più semplicemente, da uomini e donne, cosa significhi una "educazione" ai modelli di genere. Cosa significhi riprodurre invece, qualche volta persino inconsapevolmente, vecchi stereotipi. Quanta violenza si nasconda dentro le nostre parole, dentro i gesti. Dentro innocenti battute.
Le "parole per dirlo" potrebbero essere le mie (e lo sono, anche) ma ringrazio lei per averle trovate e tirate fuori. Le lascio qui. Queste:
Credo che sia necessario trovare le
parole per descrivere come ci si sente prima di tirare un pugno in
faccia alla donna che si ama. Come ci si sente quando la donna che
abbiamo davanti non rispetta il nostro essere “maschi” e pensiamo che i
suoi genitori avrebbero dovuto insegnarle meglio l'educazione. Non c’è
bisogno di arrivare al femminicidio, lo stress nel confronto di genere
parte da molto meno.
Queste altre:
Le donne hanno passato decenni a
chiedersi cosa voglia dire essere donna, se davvero vuol dire qualcosa,
alternando momenti di assoluta negazione (siamo tutti uguali, non ci
sono differenze) a momenti di esaltazione estatica del femminile materno
ed avvolgente fino all’asfissia. E gli uomini, quando e quanto si sono
chiesti cosa vuol dire essere maschi? Quando e quanto hanno preso di
petto gli stereotipi per, finalmente, negarli ed essere liberi di
prendere un’altra strada, pur dolorosa ma libera ed autonoma? Il tema
della violenza costringe ad interrogarsi sulla definizione del maschile
per trovare le motivazioni e anche la compassione, nel senso etimologico
del termine del ‘soffrire insieme’, che merita ogni essere umano. E la
compassione è quella che tiene indissolubilmente legate molte donne che
subiscono violenza ai loro carnefici, la radice della sofferenza è la
stessa per entrambi. Ed è strano perché quando vedi la tua amica con
l’occhio nero vorresti renderglielo a quello stronzo ma quando passano
le settimane e i mesi e ascolti davvero con il cuore la tua amica, ti
accorgi della verità di quel dolore e che, al momento, non ci sono vie
d'uscita.
E, soprattutto, queste:
Intendo che se sei consapevole che ogni
tuo gesto, ogni tua parola ha un valore nella costruzione dell'immagine
che loro si portano dietro, di maschio e di femmina; se ti lasci gli
spazi per raccontare come si sentono nel loro corpo, se gli piace, se
sono contente di essere femmine, se vorrebbero essere maschi, ti diverti
un sacco e costruisci insieme a loro femmine e maschi nuovi perché
anche i loro amici costruiscono il loro essere maschi dallo sguardo
delle femmine.
ho avuto vicino a me una di quelle donne: intelligente, emancipata, un lavoro importante che le consentiva tutta l'indipendenza economica che voleva, una lingua affilata con chi voleva, quando voleva.
RispondiEliminaFuori non trapelava nulla, quando la pentola si è scoperchiata era un abisso malato in cui era piombata la coppia, davvero spaventoso