sabato 18 agosto 2012

Sua Maestà l'Alba

Stamattina il sole non si è fatto pregare. Non c'era foschia e abbiamo potuto vedere già da subito il primo millimetro di idrogeno arancione che bruciava a tutta potenza, imprendibile sull'orizzonte infinito.
Era tutto scuro, in controluce.
C'è un paradosso che sostengo con forza: in spiaggia c'è più gente all'alba che alle 9.00 e non li vedi arrivare. Presenze nere in controluce che spuntano dalla terra, dall'ombra notturna che si solleva pigra.
Camminano.
Sulla sabbia, nell'acqua, sul bagnasciuga, tra le ondine della bassa marea.
Quella vecchina era lì, ci sarà sempre stata, ho pensato, anche stanotte. China fino a terra. E "a terra" è una parola grossa, avendo le mani immerse nel mare. Cercava.
La retina verde strascicata e una mano pigra che cercava, dietro l'occhio, nell'acqua bassa. Poi un guizzo veloce che le fa tuffare le dita sotto la sabbia.
E' una caccia, una minuscola ricerca.

La nostra giornata familiare in spiaggia all'alba è ormai un rito dell'estate, da diversi anni. La sera prima l'eccitazione la si potrebbe incartare in tanti pacchetti di carta luccicante. I pargoli s'inventano quei pochi secondi in cui il sole sorgerà davanti i nostri occhi. Tardano ad addormentarsi, smaniano.
"Faremo un castello di sabbia enorme".
"Faremo il bagno e non ci sarà nessuno".
"Raccoglieremo i granchi, poverini!, morti".
"A che ora ci dobbiamo svegliare"?
E' una festa. Un giorno da calendario.

Se la guardi, la vecchietta è sospettosa. Ti restituisce di sottecchi un lampo, turista strampalato: "che ci fai qui, a quest'ora poi". E continua la sua marcia, a piccoli passi regolari, con metodo, marziale come un esercito anche se di un sol uomo.
Se ti avvicini, però, e le rivolgi una parola curiosa, ti guarda meglio. (I pargoli sono discosti, sbirciano la loro stessa timidezza che gli ha impedito di chiedere). La vecchietta ti spiega cosa fa (tu lo sai già, tua nonna lo faceva, tuo padre anche): raccoglie molluschi. Qualche granchio, se è fortunata, oppure telline. I cannille, sono il meglio del menù.
Mio padre, anche lui come tutti e come lei adesso, li tirava su con le mani, anzi con le dita, infilate fulmineamente sotto la sabbia, dopo aver individuato il foro sottilissimo che li cela. Prelibatezze della povertà, cibo gratuito, lo scopo di una passeggiata in acqua, per le vene.
Varicose, "vedi"?
Sembra tutto semplice, un po' di folklore marinaro.

I pargoli intanto si sono stufati di osservare il loro babbo strambo che si ferma a parlare con la gente, ovunque, e sguazzano in acqua più in là. Gridano allegri, spruzzano, trovano persino un pallone gonfiabile perso da qualcuno e coccolato dalle ondine sottili.
Quando torni da loro, la curiosità torna tutta. Impellente.
"Babbo, ma chi era"?

Quando il filo della conversazione sembra che stia per spezzarsi, la vecchietta ti guarda meglio. Il tuo parlare non è (più) il suo dialetto: "ma tu nen 'cì..." e immediatamente si corregge: "ma lei non è di qui".
No.
Cioè sì.
Io sono (anche) di qui, ci sono nato, ma adesso vivo lontano e forse parlo con un accento lontano. Anche se mi sorprendo sempre quando qualcuno me lo fa notare.
La vecchietta riempie la sua retina da pesca di un vuoto che è sempre lo stesso.
"Pure fjième sta fòre".
"Ogne tante revè, me vè a 'ttrévà".
"Ma qust'anne, ancore, n's'ha vèste".
Una lontananza, la solita. Quella di qualcuno che se n'è andato. A volte per necessità, a volte per scelta. A volte per amore.
Però resta lontano, parla lontano.
E' una caccia, una grande ricerca.

I cannolicchi, invece, stanno qui. Sotto la sabbia, nell'acqua. Vicini.
Basta saperli acchiappare, all'alba, quando ancora figli lontani non sollevano, nelle acque basse, la sabbia.

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