lunedì 28 dicembre 2009

Natalizio

Mia figlia, a otto anni, sa leggere la musica sullo spartito come se leggesse Topolino. Da un paio d'anni a scuola hanno un corso base di musica (il solito amichevole flauto), da qualche mese strimpella frequentando un corso di piano (tanto che Babbo Natale ha giustamente portato un tastiera - ché il piano in casa proprio non ci stava...): niente di trascendentale, quindi, è solo che i tuoi skills, se li coltivi da subito, te li ritrovi appresso come se nulla fosse. Fanno parte di te, della tua crescita, come saper fare le addizioni o ricordare il nome del fiume che ti scorre sotto casa.
Quando io avevo otto anni, mio padre modellava legno con le sue mani. I suoi skills li aveva ereditati da suo padre che, a sua volta - banalone, eh?! -, li aveva avuti da suo padre e chissà fin dove, risalendo la genealogia. Quando avevo otto anni passavo lunghi pomeriggi in quella che il lessico familiare ha sempre definito la "bottega": non un laboratorio artigiano che dà l'idea di prodotti buoni da vendere, no. Proprio, semplicemente, "bottega", una bottega di falegnami. Perché, in effetti, mio padre aveva un fratello e i falegnami erano due.
Io, da parte mia, coltivavo i miei skills: facevo l'apprendista bambino e quei lunghi pomeriggi spesso avevano il sapore del silenzio (ché i fratelli erano taciturni) e del ronzio degli arnesi: la sega elettrica, la pialla, il tornio, il compressore per la laccatura. Martello e chiodi erano proprio l'abc e non producevano ronzii ma sonorissimi colpi. La colla invece sgugolava, per così dire, sotto il pennello.
Ah, parole mitiche: "impiallacciatura", chi, a otto anni, può dire di aver giocato con tali meraviglie sulla lingua?!
Per me Natale era un pomeriggio come tanti altri a veder sgobbare due falegnami sopra l'arredo di un intero soggiorno (per la nostra casa; mio zio non si è mai sposato e di certi "lussi" non ha mai avuto bisogno...), dal tavolo ai ripiani delle scansie fu tutto fatto a mano e colla e tornio e chiodi e.
Natale per me durava sette anni. Perché, lavorando nel tempo libero dal lavoro "vero" (entrambi falegnami industriali in una banalissima fabbrica), quei due ci misero sette anni a portare a termine l'impresa, scalpello alla mano, praticamente come nel Rinascimento. Se escludiamo l'elettricità, infatti, il metodo era quello di allora.
Insomma, io a otto anni facevo prove di Rinascimento, vedevo la maturità di due giovani uomini, la loro passione tattile per la materia legno, consumarsi in quei lunghi pomeriggi talvolta torridi (in agosto), altre volte gelidi (non c'era mica il riscaldamento, nella "bottega").
Per me natale comincia ad avere la lettera minuscola, da anni ormai, perché è più familiare e godereccio ricordare in piccolo che non vivere pomposamente una festa strabica.
Mia figlia, che a otto anni legge le note musicali come un pensierino sul quaderno, non saprà nulla di quella epopea durata quasi quanto il viaggio di Ulisse.
Perché Ulisse, oggi, non lo racconta più nessuno e anche se lo racconti, non è mica così trendy.
Perché i mobili, oggi, te li compri all'Ikea.
Perché al posto di quella decrepita "bottega" (a proposito, erano davvero quattro muriccioli sottili e sghembi ed un tetto appoggiato a poche assi. Le finestre erano torte e un vetro pure rotto), oggi c'è una lucrosa lottizzazione di orribili casacce geometrili.
Sopra i miei skills di apprendista bambino, sopra quelle storie.
Sopra il mio minuscolo natale.
Che skills!

7 commenti:

  1. Ci si sente un po' dinosauri... Dal Rinascimento al Digitale il passo non è breve.
    Auguri per il 2010.

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  2. Auguri per il natale (con la 'n' minuscola, allora). Anch'io, figlio di sarto con fratello di papà a sua volta sarto e scapolo, ricordo natali tranquilli e senza derive, così come botteghe modeste dove gli abiti belli erano esclusivamente regali dei e per i clienti.
    Quanto alle skills, non ne ho ereditate di sartoriali, disincentivato da sempre, sconsigliato per la vita troppo dura che avrei menato, ricca soltanto di sacrifici e di delusioni.
    Eppure il mio viaggio di Ulisse l'ho compiuto lo stesso...e forse sto un po' ancora in mare aperto. Sono tornato a Itaca tante volte e ci ritorno spesso: sull'isoletta ritrovo sempre mio padre, perso troppo presto.
    Lo ritrovo ogni volta che guardo gli occhi di mio figlio, che non hanno il colore del mare ma nei quali faccio sempre e volentieri naufragio.

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  3. @lalla: oh no, non mi sento così dinosauro, il passo è già fatto e ci siamo. Però mi interrogo, mi interrogo quando penso, quando ricordo, quando scrivo. Adoro il punto interrogativo: speriamo nel 2010 di averne abbastanza. Auguri anche a te!!!

    @cristiano: è proprio quello che dico nel post: all'epoca non ci hanno tramandato le loro arti perché le vedevano come una condanna a una vita di lavoro e fatiche, "vita troppo dura" così le nostre competenze si sono fatte lungo il viaggio. Così la nostra fatica (sempre la medesima, nel lavoro...) si è fatta daccapo, trovando mappe nuove, carte del navigare incerto. Un bel naufragio è quanto di più poetico ci possa capitare: grazie per la bella immagine! E buon 2010 anche a te!!!

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  4. ciao, auguri e grazie per il bellissimo racconto. però non è vero che tutti i mobili oggi li si compra all'ikea già fatti. un bacio a te e ai bambini musicali.

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  5. @bravamamma: il problema non sono i mobili fai-da-te o il pane fatto in casa (la profe lo fa); il problema sono, tristemente, i numeri e le contraddizioni: quanti siamo a vivere così in questo Paese, oggi?! Per non dire poi che noi abbiamo la casa piena di mobili Ikea: più contraddittorio di così... :-(
    Un abbraccio e un 2010 sempre più "numeroso". Ciao!

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  6. E' uno scritto molto bello, e ti ringrazio.
    Ma non comprendo pienamente questa visione delle cose che si trasformano quasi non fossimo stati noi stessi a modificarle accettando - passo dopo passo - un compromesso che oggi ci vede tutti perdenti.

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  7. @amatamari: non sai quanto io sia d'accordo sulla responsabilità individuale nel mondo, sono talmente d'accordo che non mi piacciono affatto le affermazioni tipo "è sempre "colpa" di qualcun altro". Le cose non si trasformano da sé, ma le cambiamo ognuno per il suo pezzettino. La storia che ho raccontato parla di come, ad alcuni di noi, non siano state tramandate dai padri, in questo caso, arti antiche (skills?!) solo perché avrebbero significato una vita di lavoro sofferta e faticosa, lasciandoci invece in pasto ad una modernità senza radici, una modernità senza sviluppo né progresso. Ma, a quanto pare, non sono stato capace di raccontarlo nel modo migliore... Sarà per la prossima volta!

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